CronacaTorino
Torino, prestiti con tassi fino al 300%: un arresto e tre obblighi di firma per usura aggravata
Operazione “Summus” della Guardia di Finanza: smantellato un sistema rodato di usura nella zona nord della città. Sequestrati 58mila euro, parte dei quali nascosti in una parete.

TORINO – Prestiti a tassi da capogiro, anche del 300% annuo, riscossioni con cadenze prefissate, linguaggio in codice e vittime ridotte in stato di soggezione. È questo il quadro emerso dall’operazione “Summus”, condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Torino e coordinata dalla Procura della Repubblica del capoluogo piemontese. Le Fiamme Gialle hanno eseguito un arresto e notificato tre misure cautelari di obbligo di dimora e firma a carico di quattro persone, accusate di usura aggravata.
Tra loro figurano tre fratelli, due dei quali con precedenti specifici, e un quarto soggetto che avrebbe ricoperto un doppio ruolo: debitore e, al tempo stesso, riscossore. Proprio grazie a questa attività di intermediazione, l’uomo avrebbe ottenuto condizioni più favorevoli sui propri debiti, pur restando coinvolto nella rete usuraia.
Una parete “murata” di denaro
Nel corso delle perquisizioni, svolte anche con il supporto dello Scico – il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata – e l’uso di avanzati strumenti tecnologici, sono stati sequestrati 58 mila euro in contanti. Gran parte della somma era stata nascosta all’interno di una parete, mentre il resto era occultato tra gli arredi di alcuni immobili nella disponibilità degli indagati.
Indagini partite nel 2022, accertate dodici vittime
L’indagine è il frutto di una lunga attività investigativa avviata alla fine del 2022. Gli inquirenti hanno ricostruito almeno dodici casi di usura, messi in atto dal 2020, con vittime tra piccoli imprenditori e soggetti in grave difficoltà economica. I prestiti andavano da poche centinaia di euro fino a 30 mila, con interessi richiesti tra il 120% e il 300% annuo, ben oltre la soglia legale. I pagamenti avvenivano a scadenza regolare, settimanale o mensile, e venivano richiesti usando termini in codice come “grissini”, “pasticcini”, “mutande” o “pane”.
Un sistema collaudato fondato sulla paura
Secondo quanto ricostruito dalla Procura, gli indagati gestivano un meccanismo ben oliato, facendo leva su un linguaggio ambiguo e su un clima di timore. In alcuni casi, le vittime sarebbero state indotte a pagare con la minaccia implicita dell’intervento di altri “creditori” ancora meno pazienti. Un contesto in cui la paura e l’omertà hanno spesso ostacolato la denuncia.
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