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Il Comitato per la difesa del Parco del Meisino: difendere l’ambiente non è un reato, occorre fermare un progetto devastante

Trentanove persone hanno ricevuto un avviso di garanzia in relazione a un’indagine in corso sulla mobilitazione in atto nella riserva

Redazione Quotidiano Piemontese

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TORINO – Il Comitato Salviamo il Meisino nato nel 2022 per difendere il Parco del Meisino, minacciato dalla costruzione di un Parco o Cittadella dello Sport, che poi è stato ridenominato Centro di Educazione Sportiva e Ambientale ha presentato le sue posizioni in una conferenza stampa che si è tenuta nel cortile del Campus Luigi Einaudi a cui hanno partecipato anche molti cittadini.

Il Comitato sostiene che il progetto stia devastando l’unica riserva naturale della Rete Natura 2000, tutelata a livello europeo, nel territorio del Comune di Torino, a pochi passi dal centro ovvero un polmone verde prezioso e oggi totalmente pubblico.

Il Comitato ritiene assurdo che a trentanove persone la DIGOS ha notificato un avviso di garanzia della Procura di Torino in relazione a un’indagine in corso sulla mobilitazione in atto nella riserva naturale del Meisino contro i cantieri del Centro di Educazione Sportiva e Ambientale. I trentanove – dicono ancora dal Comitato – sono uomini e donne tra i 23 e i 79 anni, che studiano, lavorano, sono al momento senza impiego oppure già in pensione, che vengono colpiti per non essere stati indifferenti di fronte alla devastazione di uno dei parchi di maggior valore naturalistico della città e aver tentato di proteggere questo patrimonio pubblico.  “Difendere l’ambiente non è un reato”, concludono.

Il video della conferenza stampa

Secondo il Comitato

La tettoia del Meisino, poco lontana dalla scuola Villata, era stata transennata abusivamente lo scorso 26 novembre, sottraendo questo spazio pubblico alla collettività che la stava vivendo con pranzi e merende e con laboratori di educazione ambientale. Quella transennatura era del tutto illegale. Nessun cartello indicava le sue motivazioni. Messa in sicurezza, apertura di un cantiere? Nessun atto ufficiale giustificava l’operazione, eseguita in accordo tra la ditta e le forze dell’ordine. In data 11 dicembre 2024 i cittadini segnalavano l’abuso alla polizia municipale, che soltanto un mese dopo, il 16 gennaio, rispondeva confermando che non risultava alcun cantiere.

Nonostante ciò, l’area rimaneva cintata, dimostrando ancora una volta che le regole valgono solo quando fanno comodo a chi le impone. Se le istituzioni tollerano o addirittura collaborano alla sottrazione arbitraria di spazi pubblici, viene minata la fiducia nello stato di diritto. Chiunque può oggi appropriarsi di un bene comune senza alcuna trasparenza né assunzione di responsabilità. Anche per questo i cittadini avevano rimosso le transenne al termine della manifestazione del 25 gennaio: per eliminare simbolicamente una delle tante arroganti irregolarità che costellano l’esecuzione del progetto del parco dello Sport, riscontrate ogni giorno, non sanzionate dagli enti preposti.

Le transenne sono state prontamente riposizionate dalla ditta, recintando un’area più ampia, circostante la tettoia, e avviando lavori di scavo, che impattano anche sulle radici dei pioppi secolari che si trovano in questa zona. Inutile dire che il nuovo cantiere è un fortino, difeso come gli altri da unità di forze dell’ordine in numero e assetto tali quali vorremmo vedere attivati contro le cosche mafiose, e non contro inermi cittadini. Ieri, lunedì 3 febbraio, presenziava ai lavori un’ospite d’onore: l’architetto Maria Vitetta, responsabile del progetto, dirigente del Comune di Torino – in una delle rarissime comparsate che queste figure grigie si concedono sui luoghi della devastazione.

I cittadini sono arrivati a monitorare il cantiere alle sette del mattino. Forse a causa dell’illustrissima presenza, non si è perso tempo con pantomime di mediazione. Le forze dell’ordine hanno cercato di aprire immediatamente la strada ai mezzi delle imprese. Tra spinte e strattoni uno di noi è stato fatto cadere a terra, trascinato per lo zaino e colpito sulla schiena con una ginocchiata; la persona che ha provato a frapporsi tra lui e l’agente è stata invece colpita violentemente al torace. È stato necessario chiamare un’ambulanza, e per qualcuno il trasporto in ospedale per accertamenti. Nonostante questo, non abbiamo ceduto. I lavori sono stati bloccati per oltre un’ora e mezza. Quella che abbiamo visto confermata è una linea collaudata: inerzia di fronte alle continue effrazioni delle ditte appaltatrici (ruspe al lavoro senza previa cantierizzazione, caroselli di mezzi pesanti sul prato di una ZPS, tagli e potature fuori progetto, effettuati celatamente e da operai senza protezioni di sorta), solerzia nella reazione contro cittadini in pacifica protesta, col beneplacito dell’amministrazione (ieri a godersi lo spettacolo dal vivo e in parterre).

Se qualifichiamo la nostra protesta come pacifica non è certo per prendere le distanze da altre pratiche, per dire che noi siamo buoni e veniamo trattati da cattivi – al contrario: vogliamo sottolineare come cercare correlazioni di tipo o misura tra le azioni di chi protesta e la reazione di forze dell’ordine sia inutile. Alle tante forme del dissenso la risposta è standardizzata: reprimere, in fretta, con la forza. Non è qualcosa che scopriamo oggi, e non è qualcosa che ci indurrà a fare marcia indietro. Insieme, bloccare i lavori è possibile. Vedere archiviato questo progetto è possibile: fino ad allora, e per tutto il tempo necessario, continueremo a tornare al Parco per difenderlo dalla devastazione. E quando sentiamo ripetere per l’ennesima volta da persone in divisa che “questo è il nostro lavoro, non possiamo farci niente, stiamo solo eseguendo gli ordini”, l’importanza di continuare a resistere appare chiara. Il perché, non ci sembra necessario specificarlo.

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