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Cultura

Michele Paolino ci racconta La Bohème italiana di Emilio Salgari

L’intervista con Michele Paolino

Gabriele Farina

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TORINO – Niente pirati, niente tigri, niente elefanti, niente navi e niente foreste esotiche. La Bohème italiana è l’unico degli oltre 200 romanzi di Emilio Salgari che racconta un mondo completamente diverso. Un mondo, questa è la cosa curiosa, che Salgari conosceva bene. Questa volta siamo infatti nel mondo degli artisti bohemiens e soprattutto siamo a Torino.

L’autore-narratore intraprende infatti un viaggio che è più che altro artistico e filosofico insieme ad un gruppo variegato di artisti (cialtroni) decidendo di vivere insieme, prima in una soffitta in città, poi in una “famiglia artistica” in campagna, a Cavoretto prima e a Lucento poi.

Quello che ne viene fuori è un racconto esplosivo, estremamente divertente, in cui il gruppo di scapestrati bohemiens pensa più che altro a sbarcare il lunario cercando di mettere qualcosa a tavola ogni giorno, che non a realizzare opere d’arte indimenticabili. Siamo di fronte ad un crogiuolo di follia e invenzioni continue. Aste di oggetti improbabili, una commedia scritta in poche ore, delle cene fintamente luculliane e interminabili partite di tresette accompaganti da abbondanti (quando ci sono) fiaschi di barbera.

La riedizione del La Boheme italiana di Capricorno è davvero un regalo per tutti da gustarsi pagina dopo pagina lasciandosi travolgere dalla follia del racconto e dei personaggi. Un romanzo che per Salgari deve essere stato un momento di liberazione, di pura estetica, di fuga dalla pressione dei suoi editori, che continuamente lo opprimevano per avere nuove storie dei suoi eroi letterari. Una sorta di autobiografia artistica, di spazio di rivalsa.

A corredare l’edizione in questione c’è anche un’interessante lettura di Michele Paolino, che abbiamo intervistato.

L’intervista con Michele Paolino

La Boheme italiana è un unicum nella produzione di Salgari. Come si colloca tra i suoi oltre 200 romanzi d’avventura?

Come un tentativo di evasione dai suoi personaggi abituali, dagli eroi a cui la sua incredibile immaginazione aveva dato vita. Un intervallo tra un’avventura e l’altra. Quest’opera viene scritta dopo il primo tentativo di suicidio da parte dell’autore veronese: romanzando un episodio davvero accaduto in gioventù, Salgari ne approfitta per riavvolgere il nastro del suo essere scrittore, e probabilmente della sua stessa esistenza, per lasciare messaggi in bottiglia, ai suoi lettori, innanzitutto, ai quali si rivolge direttamente e al suo editore. E per riaffermare, per altro fuori tempo massimo, l’adesione al movimento della scapigliatura.

Qui siamo di fronte ad un gioco splendido e molto divertente, un crogiuolo di personaggi indimenticabili. Puoi tratteggiare questo gruppo di bohemiens?

Una variopinta compagnia di pittori, miniatori, letterati e perditempo, spensierati e senza un quattrino, che vogliono dar vita ad una colonia artistica, dediti a organizzare scherzi, feste e chiassosi “sconcerti”, ma, soprattutto, a grandi bevute e a pranzi senza un soldo. Spassosi sono i tanti espedienti che escogitano per sbarcare il lunario e per non pagare l’affitto. Di tutti, l’unico di cui sia stata dimostrata la reale esistenza è Quintino, che nel libro sogna di “andare nel Parà”, e che per questa ragione corrisponderebbe a un omonimo partecipante alla spedizione in Amazzonia di Augusto Franzoj.

Altra particolarità del romanzo è che, dopo centinaia di avventure ambientate in luoghi esotici che non ha mai visitato, questa volta Salgari ci racconta Torino, che invece conosceva bene…

In queste pagine la chiama “Grissinopoli”, così come il nostro amato Balon diventa il “Mercato del Pallone” e, allo stesso modo, il banco dei pegni il “Monte di Empietà”. La soffitta in Via delle Scuole potrebbe essere collocata, nella realtà, dalle parti del Convitto Nazionale Umberto I. Fa sorridere pensare che, all’epoca, Cavoretto e Lucento fossero considerate campagna, luoghi dove nascondersi per fuggire dalla città. E che il torrente Ceronda, nella penna del “viaggiatore immobile”, prenda il posto, per una volta, di epici ed esotici fiumi come il Gange, il Nilo o il Mississippi.

Un romanzo così vivo e vibrante arriva in realtà in un momento molto difficile della vita di Salgari. Può essere anche visto come una fuga dalla realtà che stava vivendo?

È una possibile lettura. Un modo per alleggerirsi del pesante fardello di responsabilità familiari, di ristrettezze economiche e di scadenze editoriali che, certamente, lo stavano provando. E anche un tentativo di rivendicare la sua natura di intellettuale, per uscire dalla gabbia di scrittore d’avventura e di romanzi per bambini e adolescenti nella quale si doveva sentir rinchiuso.

Sbaglio a ritenere la scrittura di questo romanzo estremamente moderna, a maggior ragione in raffronto allo stile utilizzato da Salgari nei suoi romanzi più famosi?

Non sbagli affatto. Lo è, grazie alla libertà che Salgari si concede nel non dover per forza compiacere il suo pubblico abituale e l’editore di turno.

Perchè, secondo te, bisognerebbe leggere La Boheme italiana?

Perché è una perla rara che brilla di luce propria in quell’immenso tesoro letterario che il “papà degli eroi” ci ha regalato con i suoi oltre duecento romanzi e racconti.

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