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Cultura

Lascia che parlino, Gabriella Mosso racconta una donna del secolo scorso

L’intervista con l’autrice

Gabriele Farina

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TORINO – Un amore contrastato negli anni ’20 del secolo scorso a causa di una faida famliare, una giovane donna che non si dà per vinta e decide di proseguire per la sua strada. Questo è l’assunto di base di “Lascia che parlino“, il nuovo romanzo di Gabriella Mosso, ArabaFenice Edizioni, il cui titolo è estremamente significativo dell’intero racconto.

Siamo giusto giusto un secolo fa nelle campagne piemontesi. L’amore tra Elena e Giovanni è impossibile perchè le due famiglia sono in lite da generazioni. Eppure i due giovani non si arrendono e proseguono dritti per la loro strada fino a quando la storia diventa drammatica. E a questo punto Elena dimostra una forza e una lucidità ulteriore, decidendo il meglio nella situazione in cui si trova.

A raccontare la storia è la stessa Elena, ormai nonna, alla nipote. E’ la storia della sua vita ma è anche la storia di una donna sicura, forte, che decide di non preoccuparsi (per tutta la vita) del pensiero degli altri.

La vicenda è puntellata dagli eventi storici drammatici di quegli anni, che la giovane protagonista scopre leggendo il giornale con la massima costanza possibile. Nelle pause tra un racconto e l’altro, Elena ormai nonna prende fiato e riordina i pensieri cucinando.

L’intervista con Gabriella Mosso

Questa è la storia di una donna forte, capace di una lucidità forse non comune in quegli anni. Come è nata questa storia?

Non è autobiografico, è romanzato anche se chi scrive narrativa spesso si ispira al vissuto, in tal caso di reale c’è la personalità forte della protagonista.

Donne, uomini, luoghi, la Storia del mondo. Qual è il fulcro su cui si basa la vicenda?

Mi sono ispirata alla mia nonna materna, grande lettrice e soprattutto fuori dagli schemi del perbenismo, moderna ante litteram.

Nonostante Elena venga fortemente osteggiata dalla famiglia cerca di non rompere mai completamente il legame. Un’altra scelta forte?

Il senso profondo di famiglia è una peculiarità della protagonista, che in tutta la storia mai e poi maI si perde in giudizi sugli altri, dunque non recide i legami.

Elena ha una marcia in più dovuta alla voglia di conoscere cosa succede nel mondo che la circonda. E non sono anni facili per l’Europa. L’espediente della lettura continua del giornale mi pare estremamente significativo…

La storia dell’epoca è quella da lei vissuta, assorbita con la continua documentazione a portata di mano per sapere, per capire, per imparare.

Il racconto è puntellato da una serie di scene di cucina. La Elena nonna è una donna che cucina. Questi momenti di intimità da focolare mi pare tengano stretto nonostante tutto il legame della protagonista col territorio…

La cucina è il suo modo di amare, la cura costante dei suoi cari e, come d’uso in campagna, le ricette tradizionali sono d’obbligo.

Il titolo è molto significativo. Quel “lascia che parlino” è un po’ il segreto per sopravvivere al mondo chiuso (che non è solo) dell’epoca?

Il titolo è una magnifica idea di Alessandro Dutto di Araba Fenice, mi sono sentita onorata dalla sua scelta perchè significa che ha letto e capito il senso della storia.

Ogni capitolo porta come titolo una canzone. Ci racconti questa scelta?

Le canzoni vogliono sottolineare l’atmosfera di quella cucina, del racconto a cuore aperto accompagnato dal sottofondo leggero dalla canzoni in voga, trasmesse alla radio sempre accesa, ogni strofa riportata a inizio capitolo è un accenno al seguito.

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