Cultura
Giorgio Ballario ci aiuta a leggere L’altare del passato di Guido Gozzano
L’intervista con Giorgio Ballario
TORINO – Continua la pregevole iniziativa del Capricorno di riproporre al pubblico alcuni classici della letteratura italiana, piemontese in particolare. Dopo Ciau, Masino di Cesare Pavese, tocca a L’altare del passato, raccolta di racconti di Guido Gozzano, che ebbe ottimo successo all’uscita.
Era il 1918 e la raccolta venne pubblicata postuma (Gozzano era morto nel 1916, appena due anni prima) confermando le caratteristiche che avevano reso l’autore uno dei più apprezzati narratori del suo periodo, pur schiacciato dalla prepotente presenza di altri mostri sacri della letteratura italiana suoi contemporani.
Undici racconti che spaziano da vicende legate al Piemonte a viaggi in terre lontane, di cui sono protagonisti piccoli e grandi personaggi, capaci di delineare storie e sensazioni, linguaggi diversi ed emozioni pure. Nei racconti di Gozzano incontriamo personaggi e luoghi storici (dalla marchesa di Cavour a Palazzo Madama), riflessioni personali di onesti lavoratori, grandi viaggi legati all’esperienza dell’autore. Gozzano ci porta nel suo mondo letterario, in cui ritroviamo appieno la sua poetica, il suo stile, la sua capacità di coinvolgere e raccontare.
Il volume è accompagnato da una lettura di Giorgio Ballario, che abbiamo intervistato.
L’intervista con Giorgio Ballario
Qual è il tuo rapporto con Guido Gozzano?
Sino a poco fa quello di molti ex studenti che l’hanno conosciuto poco e male sui banchi di scuola. Penso sia capitato a tutti di imbattersi in questo autore nei ritagli dei programmi scolastici, quindi di conoscerlo molto poco e di solito soltanto come poeta crepuscolare. Come ho cercato di spiegare nella postfazione del volume, Gozzano è considerato un minore ed è un po’ schiacciato tra le forti personalità degli altri grandi poeti del suo tempo: D’Annunzio, Carducci, Pascoli. Quindi, a meno di essere degli specialisti della letteratura del primo Novecento, ben pochi lo conoscono. E pochissimi conoscono la sua produzione in prosa.
Se dovessi indicare una caratteristica indicativa dell’autore piemontese quale sarebbe?
Innanzi tutto non era solo un poeta ma anche un valido scrittore di prosa, appunto. In particolare di racconti, una forma narrativa in Italia non troppo apprezzata ma ad esempio nei paesi anglosassoni considerata di altissimo livello. E poi dalle sue opere emerge un profondo radicamento nello spirito di Torino e del Piemonte, grazie al quale affronta temi universali con un occhio alle sfumature territoriali, come solo i grandi scrittori possono fare.
Cosa troviamo ne L’altare del passato?
Nelle undici storie raccontate in prosa da Gozzano riaffiorano tutti i temi cari al poeta – la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili – e sono affrontati con un’ironia tanto leggera e disarmante che ancor oggi, a distanza di oltre un secolo, non può che meravigliare il lettore. E non mancano alcune novelle di carattere esotico, frutto del lungo viaggio che il poeta fece in India nel 1912.
Quanto di Gozzano c’è in questa raccolta?
Moltissimo, anzi ogni racconto trasuda “gozzanismo”, se così si può definire. Cioè la straordinaria bravura nell’affrontare con apparente leggerezza malinconica i grandi temi esistenziali, le grandi domande che ci si continua a porre sin dagli albori della civiltà. E Gozzano lo fa in modo molto torinese, questo sì.
Quale dei racconti ti ha sorpreso maggiormente?
Non esagero se dico che sono tutti molto validi e ce ne sono quattro o cinque veramente splendidi. Uno dei migliori a mio parere è quello che dà il titolo al libro, nel quale Gozzano esprime inaspettate doti da scrittore di suspense nel descrivere la misteriosa stanza segreta del conte Fiorenzo, l’uomo dalle cinquecento amanti, nobile d’altri tempi ormai decaduto, che il piccolo protagonista vorrebbe visitare per scoprire, con adolescenziale bramosia, le cose dei grandi.
Cosa può insegnare oggi Gozzano a chi lo legge?
Anche a distanza di oltre un secolo, i temi che affronta sono gli stessi che spesso turbano gli uomini del nuovo millennio: l’angoscia per il tempo che passa, la nostalgia (dell’infanzia, in particolare), la solitudine, la bellezza che sfiorisce, le incomprensioni familiari, la fragilità dell’amore, i problemi di coppia, la felicità fugace. Poiché Gozzano è un artista e non un imbonitore, non dà ricette né soluzioni a tutti questi interrogativi. Però con la sua poetica ci rende meno amara la vita quotidiana.
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