Cultura
A Santo Stefano Belbo sulle tracce di Cesare Pavese
Un breve viaggio nei luoghi dello scrittore
SANTO STEFANO BELBO – Il rapporto tra Cesare Pavese e il suo paese natale, Santo Stefano Belbo, è sempre stato molto stretto. Qui ha vissuto, questi sono i luoghi che racconta nei suoi romanzi più famosi, da qui partono i suoi personaggi, anche quando vanno alla scoperta del mondo. Pavese ha sempre avuto la capacità di assimiliare racconti e conoscenze per trasformarli in storie e con quelle storie ha raccontato la sua terra.
Santo Stefano Belbo non ha dimenticato il suo figlio prediletto e, soprattutto grazie alla Fondazione Cesare Pavese, è impossibile passare in paese e non imbattersi nei segni che raccontano lo scrittore. A partire inevitabilmente dalle panchine letterarie, vero capolavoro che unisce arte, letterartura e quel pizzico di magia che permette di immergersi sempre più nel mondo di Pavese.
Se poi avete tempo e voglia di entrare nella biblioteca, sede della Fondazione, e lasciarvi guidare dalle immagini e dai racconti, allora potrete scoprire pian piano quel mondo, le Langhe della prima metà del ‘900. Alla base della scala elicoidale che simboleggia l’ascesa della letteratura e della fantasia, c’è una significativa installazione realizzata con alcuni dei libri della vecchia biblioteca, quelli non recupereti dopo la drammatica alluvione del 1994. L’opera è davvero travolgente, con i libri ed il fango inframezzati dalle immagini di Pavese e dai tralci di vite, vero simbolo di questi luoghi. La stessa installazione ricorda un filare di un vitigno.
Il museo di Cesare Pavese
La prima e la terza sala ospitano una serie di libri appartenuti allo scrittore, prime edizioni, libri con dedica e alcuni suoi oggetti personali. La seconda sala racconta invece le vicende umane e professionali di Cesare Pavese, ripercorrendo le tappe della sua vita nei luoghi da lui attraversati. Una serie di postazioni lungo le pareti invita il visitatore a leggere tra le righe di alcune opere dello scrittore, per coglierne le riflessioni più intime. La quarta sala – dal 2022 intitolata a Maurizio Cossa Majno di Capriglio e denominata Dialoghi – spinge a entrare in dialogo con l’opera e la poetica pavesiana, grazie a un nuovo allestimento multimediale interattivo.
Qui c’è una vera chicca. E’ infatti custodita la copia originale dei Dialoghi con Leucò su cui lo Pavese ha lasciato la sua ultima frase, prima di togliersi la vita. Si trova su una sedia (opportunamente conservata) e il visitatore può sedersi sulla sedia di fronte, mettendosi a confronto, in ascolto, in dialogo, con quello specifico libro e con quelle parole: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”
Affascinante è anche l’installazione video che racconta Pavese con le parole (anche di chi l’ha conosciuto) Un video che a cascata parte dalla macchina da scirvere dello scrittore per riversarsi come un’onda sull’Italia intera. Il tutto azionato a mano da una corda che racconta le terre di contadini dove tutto nasce.
A chiudere il percorso la Confraternita dei Santi Giacomo e Cristoforo, un luogo che racconta storia locale (la chiesa originaria è medievale) e che in questi giorni ospita la mostra “Pavese ospita Calvino”, lasciando incontrare due autori tra i più significativi del panorama italiano, con Italo Calvino che mai ha negato la sua ammirazione sterminata per Pavese.
La casa di Cesare Pavese
Usciti dalla Fondazione, proseguendo su via Cesare Pavese (ovviamente) si arriva, dopo una passeggiata di un quarto d’ora circa alla casa natale di Pavese. Il vecchio cascinale ha mantenuto la sua struttura originale, ed il colore rosa lo rende riconoscibile anche a chi passa casualmente dalla strada. La casa è ora allestita a museo e lascia trasparire ancora il senso della vita contadina.
La falegnameria di Pinolo Scaglione
Più avanti ancora lungo la stessa strada è visitabile anche la falegnameria di Pinolo Scaglione, l’amico di una vita intera di Pavese. Pinolo è il Nuto de “La luna e i falò” e la sua casa-falegnameria (anche questa attrezzata a museo) racconta di un uomo colto, abile falegname al punto di garantire per 10 anni le casse dove si pigiava l’uva per farne mosto e di aiutare il fratello liutaio nel realizzare i suoi strumenti musicali. Ma è la libreria che troviamo nella stana accanto al laboratorio a raccontare di un uomo che leggeva e studiava, non proprio il prototipo del falegname di campagna.
Pinolo (all’anagrafe “Giuseppe”) ha raccolto per tutta la vita le confidenza di Pavese e a lui ha raccontato le storie di quella terra. Il pergolato davanti alla falegnameria era infatti un luogo dove gli abitanti di Santo Stefano Belbo si fermavano a riposare, magari bevendo un bicchiere di vino e certamente raccontando a Pinolo le loro storie giorno dopo giorno.
La tomba di Pavese
Prima di chiudere questo veloce viaggio a Santo Stefano Belbo è inevitabile passare dal cimitero, dove riposa dal 2002 il corpo di Cesare Pavese. Occupa una piccola collinetta su cui trova posto anche un ulivo. la lapide è quella originale posata al Cimitero Monumentale di Torino nel 1950, che qui è stata trasferita col corpo per volontà dei familiari.
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