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L’assassino dei pupazzi terrorizza la politica a Torino, il libro raccontato da Gioele Urso

L’intervista con l’autore

Gabriele Farina

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TORINO – Nuova avventura per il commissario Montelupo, nato dalla penna di Gioele Urso. Ne L’assassino dei pupazzi, Golem edizioni, in realtà il nostro eroe ha consegnato pistola e distintivo, deluso dall’impossibilità di portare a termine un’indagine precedente a causa delle pressioni all’interno della polizia. Così ad affrontare il nuovo truculento killer è il suo compagno Ignazio La Spina, che non rimarrà solo a lungo.

Tutto parte da un pupazzo di un coniglio impiccato a Porta Palazzo. Non un peluche, ma un costume dentro al quale si trova il corpo di un noto politico locale. Non sarà un caso isolato e toccherà ad una squadra composta da Montelupo, La Spina, il giovane giornalista Gianni Incerti ed il vigile urbano con aspirazioni da detective Corrado Tarantella affrontare l’indagine con un lavoro non proprio interno alle rigide linee della polizia.

Urso ci porta in un’avventura che è il seguito diretto dei suoi precedenti “Le colpe del nero” e “Calma e Karma“, ma è assolutamente godibile anche per chi non ha letto i due romanzi precedenti. Gli omicidi del nuovo killer sono evidentemente legati alla politica, ma spetta a chi indaga capire quali sono i riferimenti e le motivazioni.

La squadra di piccoli eroi è rodata. Abbiamo il poliziotto esperto e disilluso e il suo successore ancora pieno di speranza. In parallelo ritroviamo l’anziano giornalista che sa tutto della storia politica e criminale della città ed il giovane pieno di voglia di scoprire. Con loro il vigile urbano aspirante detective, che ricopre il ruolo più leggero nella struttura del romanzo. L’insieme dà vita ad una bella squadra, funzionale e capace di affrontare gli orrori della cronaca e la sporcizia della politica.

L’intervista con Gioele Urso

Torna il commissario Montelupo, anche se lo troviamo in partenza un po’ in disparte. Da dove si muove “L’assassino dei pupazzi”?

“L’assassino dei pupazzi” nasce dalla volontà di raccontare una storia un po’ malinconica, ma molto attuale. Si parla di passioni, ideologie e tradimenti. È un libro che chiude una trilogia alla quale ho lavorato diversi anni e che rappresenta un viaggio in una Torino che esiste, ma che in molti hanno deciso di ignorare.

Come è nata questa storia?

Questa storia nasce alla finestra. Più precisamente alla finestra di casa mia. Era una mattina di ottobre del 2021 quando affacciandomi alla finestra noto un orsacchiotto impiccato dall’altra parte della strada. All’epoca avevo già scritto i primi due volumi della trilogia con Montelupo come protagonista e mi mancava un solo pezzo del puzzle per cominiciare a scrivere l’ultima storia. Quell’orsacchiotto ha innescato la mia fantasia, sono sceso a fotografarlo e la sera ho cominciato a scrivere.

Il tuo commissario Montelupo è un personaggio in evoluzione o una figura immutabile?

Montelupo cambia ed è cambiato. Nel primo volume della trilogia, “Le colpe del nero”, era meno disilluso e ossessionato dalla verità. Ne “L’assassino dei pupazzi” invece mette in discussione tutta la sua vita per raggiungere il suo obiettivo, il suo scopo e il suo ideale. È alimentato dal tormento e dalla sete di giustizia.

Tra i vari personaggi mi incuriosisce il vigile urbano Tarantella, che aspirerebbe ad altro. Ce lo racconti?

Tarantella è uno dei miei personaggi preferiti e secondo me meriterebbe prima o poi di vestire i panni del protagonista. A me piace condire le mie storie con momenti di leggerezza e Tarantella è un po’ la mia linea comica. Nasce al bar dove spesso, tra un caffè e un cornetto, vengono raccontate storie imperdibili. Per me lui è quell’amico eternamente insoddisfatto, ma che ci prova fino alla fine. Quello che la sera invece di guardare la televisione studia i mille modi possibili che ha per evadere dalla sua vita. Ed è goffo, anzi goffissimo. Io me ne sono innamorato scrivendolo.

Un ruolo importante in questa vicenda lo ricopre la dottoressa Pulvirenti. Che personaggio è?

È una domanda difficile. La dottoressa Pulvirenti nella trilogia ha un ruolo importante anche se non sembra. È uno di quei personaggi che preferisce stare in secondo piano e fare meno caciare rispetto a Tarantella, ma è risolutiva. È lei a instradare le indagini verso la soluzione dei casi.

E poi abbiamo una coppia di giornalisti in cui non è difficile immaginare qualcosa di autobiografico. Sono loro il tuo sguardo interno al romanzo?

Gianni Incerti nasce come espediente narrativo e poi diventa protagonista della vicenda. Quando ho scritto il primo libro della trilogia avevo bisogno di qualcuno che facesse vedere al lettore il cortile del CPR di corso Brunelleschi, un luogo inaccessibile. Ho immaginato di affidare questo ruolo a un personaggio che mi somigliasse un po’, ma solo dal punto di vista professionale visto che io sono anche un videogiornalista. Così è nato Incerti. È evidente che con lui e Tito Garbellini ho anche voluto raccontare un po’ il mio mondo, quello del giornalismo.

Che Torino è quella che fa da sfondo alla vicenda?

La Torino della trilogia di Montelupo è la Torino degli ultimi. Si parla di immigrati rinchiusi dentro il CPR, si parla dell’occupazione dell’ex Villaggio Olimpico di via Giordano Bruno, si parla di senza fissa dimora e si parla di politici e politica. Alla base dei miei tre noir “Le colpe del nero”, “Calma&Karma” e “L’assassino dei pupazzi” c’è proprio la volontà di mettere in luce gli ultimi che si aggirano attorno a noi e che spesso decidiamo di ignorare.

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