Cultura
Teodoro Lorenzo racconta una vita di Rimpalli dalla Piazzetta di Mirafiori al calcio professionistico
L’intervista con l’autore del libro
TORINO – Quello di Teodoro Lorenzo è un libro scritto bene, a tratti molto bene. Sembra una banalità ma vi assicuro che non lo è. Quando incontro un autore capace di convincermi con il suo stile di scrittura è un godimento mentale non indifferente.
Rimpalli, Voglino Editrice, è in fondo il racconto autobiografico di Lorenzo e del suo amore per il pallone. Dal cortile in centro a Torino di quando era bambino, alla Piazzetta a Mirafiori dove è cresciuta la sua passione in compagnia di un gruppo di amici che abitavano in quei palazzoni proprio davanti alla Fiat. E poi le giovanili della Juventus e la carriera professionistica nell’Alessandria. Dal gioco del pallone al calcio con una storia che attraversa il periodo storico (siamo negli anni ’70 e poi ’80) del Paese e tante curiose e irriverenti considerazioni su Torino, i Savoia (non proprio amatissimi), Garibaldi, il teatro (o qualcosa che gli si avvicina molto) e ovviamente i protagonisti del mondo del calcio.
Quello di Lorenzo non è però un racconto di calcio, è un racconto di vita, è la storia di un ragazzo con i suoi momenti di gioia e le difficoltà (alcune toste e significative). E’ più una riflessione sulla vita, sulla società, senza limiti e senza catene.
E poi, ascoltatemi, un romanzo che comincia così, merita assolutamente di essere letto:
Alle 17.28 del 4 maggio 1986 ho capito cosa significa essere felici; perchè lo sono stato. Fino alle 17.30.
L’intervista con Teodoro Lorenzo
Con questo libro ci porti in un mondo che è stato di tanti ragazzi nati negli anni ’60 e ’70 a Torino. Come è nata la voglia di raccontare questa storia?
Il filo conduttore del libro, al di là delle digressioni storiche e saggistiche, è la mia adolescenza e le mie esperienze come calciatore professionista. I motivi che mi hanno spinto a scriverlo quindi sono stati due: il primo, quello più intimo e potente, è stato il desiderio di stare ancora con mia mamma, che ho perso e mi manca immensamente, perciò sono ritornato ai tempi dell’adolescenza. Il secondo è stato quello di scendere nuovamente in campo e giocare l’ultima partita. Ricordare i tempi del calcio è stato per me come riviverli ancora.
Che mondo era Mirafiori negli anni ’70?
Era estrema periferia, quasi aperta campagna. Spazi sconfinati, pochissime macchine. Famiglie perlopiù di immigrati e operai: gente semplice e dignitosa. Quartiere e persone a quei tempi si identificavano: partivano da zero e tentavano di costruirsi un nuovo futuro.
Ci parli ovviamente di calcio ma anche di tanti altri temi, con una parte importante legata al teatro. Ci accenni qualcosa su questa parte della storia?
Teatro nel nostro caso è una parola fin troppo agghindata. Siamo stati solo un gruppo di ragazzi, tutti amici, che abbiamo rappresentato una commedia negli spazi della nostra Piazzetta, il luogo dove di solito giocavamo a pallone. La commedia l’aveva scritta uno di noi, Paolo, parlava di noi e per questo l’abbiamo voluta recitare a casa nostra.
Il libro è pieno di riflessioni, si legge tanta passione per il gioco e tanto fastidio per il calcio moderno. Che differenza c’è tra il gioco del pallone e il calcio?
Giocare a calcio implica un campo regolamentare e poi squadre, allenatori, classifiche, titolari e riserve; e ancora persone tutt’intorno, e più si sale e più ce ne sono. Ognuno porta con sè un interesse personale, anche economico: da qui ambizioni, ripicche, dispetti, invidie. Giocare a pallone non è niente di tutto questo. Si gioca anche per strada, magari quattro contro quattro, non ci sono migliori nè peggiori, si è tutti uguali e non ci sono interessi personali nè classifiche di squadra, perchè non c’è neanche una squadra, visto che cambia sempre. E i giocatori vogliono una cosa sola: stare insieme e divertirsi.
La vita e lo sport sono fatti di attimi. Attimi di felicità e attimi tragici che possono cambiare una storia. Il segreto è conservare il più possibile memoria degli attimi di felicità?
No, perchè tutto rimane dentro di te, niente si dimentica; nè gli attimi felici nè tantomeno quelli tristi o, peggio, tragici. Quello che è stato, bello o brutto, ormai ti appartiene e ti identifica. Il segreto semmai, se un segreto esiste, è quello di non avere rimpianti.
Chi è che ruolo ha avuto nella tua vita il “dio del calcio”?
Chi è per me il ” dio del calcio”? Un padre che non mi ha mai amato.
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