Cultura
Piemonte romano, Sandro Caranzano racconta una storia lunga mille anni
L’intervista con l’autore del libro
TORINO – Il Piemonte e Roma. La romanizzazione del Piemonte. Una storia che dura quasi mille anni,che comincia a metà del II secolo a.c. e sconvolge la vita e la storia dele popolazioni celto-liguri che abitavano queste terre. E’ quello che racconta, con dovizia di particolari e approfondimenti Piemonte romano, Edizioni del Capricorno, di Sandro Caranzano.
Un vero e proprio volume di storia antica che analizza i vari passaggi temporali che hanno portato alla trasformazione del Piemonte. Si comincia con la discesa di Annibale e si analizzano le prime colonie, da Iulia Dertona (Tortona) ad Aquae Statiellae (Acqui Terme), da Vercellae (Vercelli) a Eporedia (Ivrea). Le analisi sono dettagliate, partono dai ritrovamenti e sono corredate da un’infinità di immagini, cartine e materiali.
Le tre parti del libro di Caranzano raccontano le origini del Piemonte romano, il nuovo assetto voluto da Augusto e il periodo conclusivo, con la cristianizzazione. Oltre alla dettagliata raccolta di elementi e racconti ed alla facilità con cui l’autore riesce a mostrare al lettore la sovrapposizione di luoghi antichi e luoghi attuali, colpiscono le varie schede di approfondimento, capaci di stuzzicare ulteriormente l’interesse. Nell’insieme viene fuori un volume molto dettagliato, che incuriosisce e spionge ad andare a visitare personalmente luoghi e ritrovamenti. O, più ancora, luoghi che la storia ha completamente cambiato nel tempo e scoprire così cosa si nasconde in quella piazza di Alba o sotto quel corso di Susa.
L’intervista con Sandro Caranzano
Affrontando “Piemonte romano” ci si trova di fronte ad un volume molto dettagliato. Come è nata la voglia di raccontare questo lungo momento storico del Piemonte?
La nascita del volume sul Piemonte romano segue quello edito circa due anni fa sul Piemonte preistorico. L’idea è nata in sintonia con l’editore allo scopo di rendere disponibile a un pubblico più vasto possibile l’enorme quantità di informazioni, scoperte e dati scientifici che sono stati raccolti soprattutto negli ultimi vent’anni. Grazie agli sviluppi delle nuove tecnologie e all’intensificarsi delle ricerche territoriali la nostra conoscenza sull’antichità è in effetti migliorata in modo impressionante. Riorganizzare queste informazioni cercando di distribuirle su una chiave territoriale e cronologica è stata una sfida affascinante. A ciò si aggiunga il fatto che il lavoro di archeologo mi ha portato a viaggiare attraverso le diverse province romane, dal Nord Europa al Medioriente, ed è stato stimolante osservare il Piemonte da un’ottica più ampia, soprattutto considerato che l’impero romano era privo di confini e globalizzato, come lo è il mondo contemporaneo.
Ho trovato particolarmente interessante il racconto diviso per singole città con alcuni aspetti di cui non ero a conoscenza. Per esempio, ci accenni qualcosa sulla storia di Industria?
Industria ha sempre rappresentato un enigma sin dalle prima scoperte. Si trattò di un centro di dimensioni non grandissime strettamente collegato al Po, alla navigazione, e ai traffici commerciali. Oggi sappiamo che qui, già a partire dalla prima età imperiale, alcune famiglie di commercianti romani attivi sull’isola di Delo e nel Mare Egeo avevano introdotto il culto della dea egizia Iside che sappiamo essere strettamente legato alla navigazione. Le attestazioni del culto si fanno più imponenti nel II secolo d.C., quando la città si dota di un grande emiciclo monumentale posto in prossimità del foro da cui proviene un’ingente quantità di oggetti, anche in bronzo, spesso legati al culto di Iside. Planimetricamente l’edificio presenta qualche punto di contatto con gli emicicli di villa Adriana e soprattutto con il più grande tempio dedicato ai culti egiziani dell’impero, quello del Campo Marzio a Roma. È possibile che la comunità di Industria abbia voluto aggiornare il proprio santuario seguendo la sensibilità architettonica dell’epoca, in particolare quella di Adriano, che sappiamo essere stato fortemente attratto dalla divinazione e dei culti orientali. Quanto a un intervento diretto dell’imperatore nel rimodernamento del santuario questo non è dimostrabile, ma è certo che l’eclettismo e il carattere polisematico del santuario di Industria risentono della temperie dell’epoca. La ricchezza del complesso ci dimostra l’importanza dei traffici fluviali del mondo antico: il Po era costantemente percorso de barche e chiatte, e anche i fiumi minori erano resi navigabili con opportune opere di regimentazione come dimostrano i porti romani scoperti a Ivrea, Tortona e Vercelli.
Qual è, secondo te, la città piemontese più significativa dal punto di vista della storia romana?
Ovviamente non esiste una città piemontese più significativa delle altre. La colonizzazione del Piemonte durò oltre due secoli e ogni città esprime specifiche esigenze e ci racconta di un particolare momento storico. Tortona e Ivrea, per esempio, ci parlano dell’età pionieristica. La prima, arroccata su una collina come le colonie dell’Italia centrale fu un ponte per la penetrazione di Roma nel Piemonte; la seconda fu una vera e propria avanguardia spinta nel territorio dei celti-Salassi, fondata sul responso dei Libri sibillini nel 100 a.C. poco dopo la pericolosa incursione dei Cimbri e dei Teutoni in pianura padana con un occhio interessato, forse, alle ricchissime miniere d’oro della Bessa nel biellese.
Augusta Taurinorum rappresenta invece la colonia romana per eccellenza, con la pianta quadrangolare a scacchiera che rimanda alla mitica “Roma quadrata” della leggenda. Caratteristiche simili, per quanto con il semplice statuto di municipio, presentava la piccola Novaria, mentre Vercelli, con il suo straordinario anfiteatro dall’asse maggiore lungo 109 m doveva costituire una delle città più ricche e popolose della pianura padana. Plinio il Vecchio ricorda infine con favore la ricchezza delle città a sud del Po tra cui dobbiamo annoverare Alba Pompeia, Pollenzo, Acqui Terme; e a proposito di quest’ultima, le recenti indagini ci descrivono una città delle acque organizzata su una serie di vasche, fontane ed ambienti termali particolarmente suggestivi, che vennero mantenuti in vita tra mille difficoltà fino all’alto medioevo.
Quanti resti romani sono oggi invisibili perchè coperti dalle costruzioni successive? Quanta Roma abbiamo sotto i piedi in Piemonte?
La risposta non è semplice. In alcune zone del Piemonte i grandi fenomeni alluvionali, di disgregazione del tessuto urbano e di abbandono nell’altomedioevo hanno creato una sorta di tabula rasa per cui molto difficilmente gli edifici storici hanno potuto appoggiarsi su strutture antiche. Altrove, la situazione è più confortante. A Torino, per esempio, tutto il rettifilo di abitazioni sei-settecentesche di via Carlo Ignazio Giulio è perfettamente allineato alle mura su cui evidentemente si appoggia. Anche l’Ufficio d’igiene di via Consolata si appoggia sui muraglioni romani. I resti della porta decumana di Torino furono intravisti alla fin del XIX secolo negli scantinati di un palazzo di via Garibaldi, ma da allora nessuno è andato più a controllare. Che dire poi del celebre Colosseo di Pollenzo? Un intero borgo di forma ellittica costruito sui resti delle gradinate e dei fornici dell’anfiteatro romano. Fatto sta che sono soprattutto le opere murarie, le torri, le fognature e le strade basolate quelle che si sono meglio prestate a un riutilizzo strutturale. Non fu così per le case di abitazione, perlopiù realizzate con materiale effimero o comunque meno massiccio.
Quanto ritieni ci sia ancora da scoprire della Roma Antica in Piemonte?
Può sembrare entusiastico, ma si potrebbe dire che i Romani siano quasi dappertutto!
Un numero significativo di reperti archeologici è ancora nascosto sotto le strade e i cortili delle nostre città. Con l’intensificarsi delle ricerche e dei ritrovamenti soprattutto in occasione dei lavori pubblici un’altra parte significativa è però già stata scavata e portata alla luce, anche se non sempre i dati sono stati resi pubblici, parte per mancanza di tempo, parte per la limitatezza dei budget. Nelle grandi città la profondità delle cantine e delle fondamenta ha spesso cancellato le tracce antiche ed è dunque nei cortili, sotto le strade e sotto le piazze che si possono avere risultati migliori. C’è poi il capitolo relativo allo spazio rurale che è molto più ricco di quello che si potrebbe immaginare: basti considerare che un’indagine condotta nel territorio di cinque comuni dell’hinterland torinese, pur ampiamente edificati, ha permesso di identificare ben 40 rustici romani con una semplice ricognizione pedestre. So per certo che questa situazione si ripropone tale e quale in gran parte del territorio centuriato del Piemonte, ma il problema è come riuscire ad organizzare una ricognizione pedestre ben fatta, con quali mezzi e con quali tempi.
In chiusura ci segnali un luogo in Piemonte che ritieni assolutamente da visitare per quanto riguarda i resti romani?
Perquanto concerne i luoghi da visitare consiglio sempre un’esperienza nelle miniere d’oro celtico-romane della Bessa, possibilmente in primavera o nella tarda estate. Nell’ambito delle città, anche se le scelte sono moltissime, penso che una visita accurata al patrimonio archeologico romano di Torino possa essere sempre un’opzione valida, tanto più che la città conserva una delle porte meglio conservate al mondo: la Palatina.
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