Cultura
Storie di cioccolato a Torino e in Piemonte, intervista con Clara e Gigi Padovani
Una piccola storia del cioccolato a Torino e in Piemonte, dai prodotti alle aziende che lo hanno reso famoso nel mondo
TORINO – Clara e Gigi Padovani hanno realizzato per Edizioni del Capricorno un volumetto che è una vera chicca (ricoperta di fondente, ovviamente) per gli amanti del cioccolato e per gli appassionati di storia di Torino e del Piemonte.
Storie di cioccolato a Torino e in Piemonte è in realtà una vera e propria “storia del” cioccolato a Torino e in Piemonte, con tanto di splendide foto d’epoca che riproducono personaggi, aziende e gli indimenticabili manifesti pubblicitari dei prodotti dolciari dell’epoca.
Torino e il Piemonte (lo sapete) sono la patria italiana del cioccolato, che arrivò alla corte dei Savoia nel ‘700 e non ha più lasciato il territorio da quel momento. Nell’affascinante prima parte del libro si racconta proprio questa storia. Dai Savoia alla Ferrero, passando per i piccoli laboratori cittadini, alle grandi aziende, da Caffarel(li) a Venchi, dal canale del cioccolato all’immenso progetto UNICA di Gualino. Una vera e propria storia del cioccolato piemontese e delle aziende del campo, raccontata con passione e un sacco di curiosità su personaggi e prodotti.
La seconda parte è invece più da consultazione, con un gustosissimo abecedario dei prodotti cioccolatosi tradizionali piemontesi (gianduiotto, baci, bicerin, cremino, ma anche i meno noti Mendiant o Preferito…), un elenco dei principali storici cioccolatieri torinesi (con tanto di breve storia) e un imperdibile piccola guida alla ricerca della migliore cioccolata calda di Torino.
Intervista con Clara e Gigi Padovani
Abbiamo fatto alcune domande a Clara e Gigi Padovani, dopo aver letto le quali potete serenamente concedervi un cioccolatino o una cioccolata calda…
Una storia del cioccolato a Torino ma anche un dettagliato elenco delle aziende e degli uomini che hanno creato questa storia. Cosa racconta il vostro libro?
Siamo dei grandi appassionati di cioccolato, tanto che una giornalista del Corriere della Sera ci ha definito la ‘coppia fondente del food writing italiano’ e in effetti abbiamo scritto già altri libri dedicati al Cibo degli Dei. In quest’opera però ci siamo soffermati proprio sulle storie degli uomini e delle donne che hanno fatto diventare Torino la capitale del cioccolato, fin dal Settecento. Consultando le carte dell’Archivio di Stato e i documenti della Camera di Commercio, intervistando i titolari delle aziende, sfogliando gli archivi online dei quotidiani locali, dal 1867 in poi, siamo riusciti a trovare tante curiosità che nessuno aveva ancora pubblicato. Il libro si divide in quattro parti: la storia del cioccolato a Torino e in Piemonte, dai Savoia alla prossima nascita del museo Choco Story, presso la pasticceria Pfatisch di via Sacchi, prevista agli inizi del 2024; le specialità tipiche al cacao, dagli alchechengi agli zest; due secoli di botteghe e fabbriche, ovvero 64 schede in ordine cronologico sui marchi di produzione, da Giovanni Arturo Bianchini (azienda poi acquistata da Paul Caffarel) del 1820 a Chocolat di Gassino del 2015, ultima nata; infine una vera e propria guida, dopo diversi assaggi, dei migliori locali in cui si può gustare la cioccolata calda a Torino, con un’appendice su gelati e pasticcerie.
Un lungo lavoro di ricerca. Di certo anche l’immagine conta: vi sono tante illustrazioni d’epoca, e poi si prende in mano il volume e si è accolti dalla splendida immagine di Ugo Nespolo…
È uno splendido regalo che il maestro Nespolo ci ha voluto fare, permettendo la pubblicazione di questo suo bel disegno, in cui il gianduiotto, prodotto iconico torinese, si fonde con la Mole Antonelliana. Ci ha dichiarato, commentando quell’opera: ‘L’oggetto stesso è un elemento tipico della torinesità. Identifica la città, forse perché è fatto a forma della cupola della Mole. È una volta architettonica che sembra fatta apposta per essere mangiata: è la forma ideale, non casuale’. Attualmente Ugo Nespolo è l’artista torinese vivente più noto in tutto il mondo e questo biglietto da visita del libro è piaciuto davvero molto a tutti. Il grafico della casa editrice è poi riuscito ad accostarvi anche dei manifesti d’epoca molto belli.
Come nasce questo rapporto così stretto tra Torino e il cioccolato?
Tutto risale al Ducato dei Savoia. Probabilmente non a Emanuele Filiberto, detto ‘Testa di Ferro’, perché egli morì stroncato dalla cirrosi epatica nel 1580, cinque anni prima che il primo carico di cacao proveniente dal Messico sbarcasse a Siviglia, in Spagna. È noto che le fave di Theobroma giunsero in Europa attraverso la corte di Madrid, dove la nobiltà e il clero si innamorarono – agli inizi del Seicento – di quella bevanda calda e corroborante, la cioccolata calda, realizzata con quello che allora era definito il ‘segreto spagnolo’. Si scioglievano le tavolette, poi con il mulinillo si creava la schiuma nella tazza che tanto era di moda. Forse a Torino quel rito giunse con Catalina Micaela, Infanta di Filippo II (nota anche come Caterina d’Asburgo, la casata regnante in Spagna), quando sposò il Duca Carlo Emanuele I, il figlio di Emanuele Filiberto. Correva l’anno 1585: noi siamo convinti di dover ringraziare lei per l’arrivo del cioccolato alla corte sabauda. Però Catalina Micaela morì giovane, a trent’anni, e furono poi le Madame Reali di origine francese a diffondere l’uso del ‘brodo indiano’, come veniva definito: Cristina di Borbone e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Poi finalmente nel 1737 al Palazzo Reale Carlo Emanuele III, detto ‘Carlin’ dai sudditi, istituì l’ ‘Ufficio del Cioccolato e Caffè” con un organico preciso. E da allora nacquero le aziende artigiane fornitrici della Real Casa. Tra metà Ottocento e i primi del XIX secolo si istallarono a Torino, lungo il Canale Ceronda (che forniva la forza motrice idraulica) le imprese che ancora sono sul mercato: Caffarel (1826), Stratta (1836), Talmone (1850, marchio scomparso), Leone (1857), Baratti & Milano (1858), A.Giordano (1897), fino a Peyrano e Pfatisch (1915) e Gerla (1927). Una grande tradizione, che oggi è anche una forza economica, perché il 40 per cento del cioccolato italiano si produce in Piemonte, con il più grande stabilimento europeo, la Ferrero di Alba, e gli stabilimenti Venchi, Novi, Pernigotti nel Cuneese e nell’Alessandrino.
Se doveste indicare un solo nome di un personaggio che più di altri è legato al cioccolato in Piemonte quale sarebbe?
Se ci riferiamo a un imprenditore ormai scomparso, perché il suo ‘sogno di cioccolatiere’ è naufragato, potremmo senz’altro citare Riccardo Gualino: un finanziere illuminato, un mecenate che tanto ha fatto per l’arte e la cultura a Torino, ma che ha anche il merito di aver fondato, nel 1924, la UNICA, Unione Nazionale Cioccolato e Affini, realizzando il più grande stabilimento dolciario dell’epoca, in Strada di Francia, e riunendo diversi marchi storici come Talmone e Moriondo & Gariglio. La fabbrica aveva 3 mila operai, un numero enorme per allora, ma l’impresa fallì nel 1934, in quanto l’impero di Gualino venne travolto dal crack della sua banca d’affari e lui fu mandato al confino a Lipari dal fascismo. L’azienda riprese l’attività come Venchi-Unica, un marchio che molti torinesi con i capelli bianchi ricordano, poi fallito definitivamente nel 1974 per il disastro degli affari del banchiere Michele Sindona. Oggi a Castelletto Stura dei giovani soci da una ventina d’anni hanno fatto risorgere la Venchi, che produce ottimi cioccolatini e tavolette, oltre a gelati distribuiti in tutto il mondo. Se parliamo di un marchio ancora sulla cresta dell’onda, ovvero il gruppo Ferrero, che oggi ha sede finanziaria in Lussemburgo ma ha mantenuto l’impianto produttivo ad Alba, allora dobbiamo essere grati a Pietro Ferrero, il fondatore: era figlio di contadini, nato a Farigliano, nelle Langhe, e dopo aver aperto diverse pasticcerie (a Dogliani, ad Alba, all’Asmara, in Eritrea, allora colonia italiana, e poi a Torino) riuscì nel 1946 a dar vita a un’industria che crebbe rapidamente, grazie alla genialità del figlio Michele (scomparso nel 2015), fino a diventare la terza o la seconda tra le produttrici di cioccolato nel mondo. Tutto nacque dal ‘dolce degli umili’ di Pietro Ferrero, un panetto da tagliare con il coltello e mangiare con il pane. Fu battezzato Giandujot in ricordo del suo antenato di un secolo precedente e poi diede origine alla Supercrema e alla Nutella. Tutto grazie alle nocciole delle Langhe.
Il libro è anche pieno di immagini dei luoghi del cioccolato in Piemonte e delle splendide pubblicità d’epoca. Come mai sono così affascinanti ancora oggi?
Perché sono vere e proprie opere d’arte, realizzate da cartellonisti che appartennero a movimenti importanti, come il futurismo. Ve ne sono di Fortunato Depero per la Unica (che lavorò anche per Perugina), di Marcello Dudovich e Leonetto Cappiello per Venchi, di Luciano Mauzan, del tedesco Roberto Oschner che creò il famoso marchio con i “due vecchi” Talmone e poi Venchi che bevono la cioccolata. Sono immagini senza tempo, che colpiscono ancora oggi, e l’editore ha voluto realizzare un libro tutto a colori per poterle pubblicare, sia pure in un formato di facile lettura, tipo guida”.
Qual è il futuro del cioccolato in Piemonte?
Il successo di una manifestazione popolare come CioccolaTò, che ha ormai compiuto vent’anni, dimostra che la città di Torino si identifica con questo prodotto. E le tante aziende in Piemonte sono oggi sane, realizzano ottimi prodotti e sono conosciute in tutto il mondo. In questi giorni è nata la polemica attorno al disciplinare del ‘Gianduiotto di Torino IGP’, che ha creato un comitato in cui sono presenti sia artigiani sia industrie. Vogliono ottenere la tutela europea e pensiamo che questa sia la strada più giusta per il futuro del cioccolato piemontese. Ora la multinazionale svizzera Lindt, proprietaria del marchio Caffarel, si oppone a quel disciplinare chiedendo l’aggiunta del latte in polvere nella ricetta, oltre a una percentuale più bassa di nocciole. Ma ha torto, come dimostra il nostro libro: il gianduiotto è nato a metà dell’Ottocento, mentre il cioccolato al latte, in Svizzera, è stato realizzato dal cioccolatiere Daniel Peter nel 1875, utilizzando il latte in polvere creato da Henry Nestlé. Dunque il gianduiotto non poteva certo avere il latte nella formulazione d’origine. (qui la vicenda n.d.r.)
Chi vorreste leggesse questo libro?
Gli appassionati di cioccolato, anche piemontesi, che probabilmente non conoscono le belle storie che sono racchiuse in quelle praline o nelle cioccolate calde dei nostri caffè storici. E poi naturalmente i turisti: il book shop del museo Choco Story Torino, che nasce da una iniziativa privata di due imprenditori, il belga Eddy Van Belle (imprenditore del cioccolato per professionisti), e il torinese Francesco Ciocatto, lo metterà in vendita e saremmo molto contenti che uscendo, con il nostro libro in tasca, i lettori andassero alla scoperta delle cioccolaterie della città.
L’ultima domanda è inevitabile: qual è il cioccolatino a cui proprio non sapete resistere?
Il gianduiotto, ovviamente.
Chiudiamo questa intervista con le splendide storiche pubblicità del cioccolato a Torino che ci hanno concesso gli autori del libro.
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