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Cultura

Anatomia di una rapina, intervista con Maurizio Blini

Gabriele Farina

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Maurizio Blini ci presenta una nuova avventura dei fratelli Stelvio, commissario ed ex commissario in una Torino in cui la malavita sembra prendere il controllo, in cui  le bande di controllo del mercato della droga sono sempre di più e sempre più violente.

In Anatomia di una rapina, Edizioni Del Capricorno, sono due gli eventi che danno vita alla vicenda. Un gruppo di rapinatori sta organizzando un colpo al centro  commerciale del Lingotto, un colpo che pare semplice e redditizio, ma che deve essere prepararto in ogni dettaglio (ne scopriremo, appunto, l’anatomia). Intanto, durante un normale controllo, due poliziotti vengono uccisi a bruciapelo, mandando nel panico le forze dell’ordine. Trovate qui la recensione completa del libro.

Maurizio Blini, il nuovo romanzo ha un centro nevralgico ben preciso: il Lingotto. Da cosa è nata l’idea e soprattutto… ma davvero lì sotto c’è tutto quello che racconti?

Già, davvero lì sotto esiste un’altra città? La risposta è sì. Nel romanzo ne parlo ampiamente e devo dirti che l’idea di ambientare tutta la mia storia al Lingotto è nata proprio così, per caso, nel venire a conoscenza di alcuni lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’area. Quella un tempo era la Fiat, il cuore pulsante della città, il centro nevralgico e anche in parte segreto di questo colosso industriale. Poi l’immaginarmi una fuga praticamente perfetta proprio perché sconosciuta ai più mi ha galvanizzato. Il colpo geniale resta nell’immaginario collettivo una fascinazione.

Quella che ci mostri è una Torino nera e violenta, dove vari gruppi si contendono il mercato della droga. Purtroppo questa non è solo fantasia dell’autore…

Purtroppo no. E’ una realtà che i cittadini toccano per mano ogni giorno, nelle grandi città in particolare, dove nuovi fenomeni di aggregazione, spesso frutto dell’isolamento, abbandono e degrado nelle periferie, esprimono la propria rabbia come possono. Droga, certo, nuovo protagonisti e nuove etnie si affacciano sulla scena del crimine, ma anche violenza fine a se stessa, figlia spesso della disperazione sociale di chi veramente non ritiene di avere più altri strumenti e si sente tradito, abbandonato, escluso.

Protagonisti della storia sono quattro piccoli rapinatori, usciti male da un vecchio colpo. Che personaggi sono?

Quattro vecchi amici di una zona per l’appunto periferica della città, la Falchera. Un passato vissuto tra ingenuità, manie di grandezza, sogni, errori, galera, e la voglia di raggiungere traguardi forse impossibili. In loro, il desiderio di rivalsa e successo, unito alla rabbia che li consuma, diventa una bomba a orologeria. Pensare alla grande a volte non è sufficiente, ma i sogni sono gratis, e allora perché non sognare?

Tutta la vicenda è costruita intorno al piano della rapina, il lettore segue passo dopo passo l’evoluzione, l’anatomia del piano. Come ti sei trovato a centrare il racconto su questo tema non comunissimo?

Io penso che le grandi rapine del passato, quelle condotte con astuzia, professionalità, intelligenza, abbiano lasciato nell’immaginario collettivo un certo fascino. Anche io, in realtà, ho sempre tifato per i rapinatori, il che fa sorridere detto da un vecchio sbirro. Ho voluto raccontare una storia particolare, dettagliata nelle sue fasi spesso confuse, contraddittorie, nel desiderio di un eldorado possibile, diverso, giusto, che rappacifichi queste anime in pena con il mondo. Una storia che entra anche nell’intimo dei personaggi, nelle loro fragilità, debolezze. L’anatomia di una rapina non rappresenta solo l’atto finale, ma un percorso, una costruzione, un desiderio, un sogno.

Tra i temi trattati c’è anche quello della violenza di alcuni settori della polizia e delle coperture da parte delle sfere più alte. E’ un tema ancora attuale?

Sì, è un tema ancora attuale che ho già affrontato anche in altri romanzi. Il rischio di una deriva professionale, morale, etica, può nascondersi subdolamente dietro ogni angolo. In fondo siamo solo uomini. Questo vale un po’ per tutti quanti. Certo che se il comportamento che supera la linea della liceità è quello di un poliziotto o appartenente alle forze dell’ordine, la cosa si fa più seria e bisogna interrogarsi su quanto e cosa ci sia a monte. Casi rari, per fortuna, e subito rimossi chirurgicamente. Ma esempi comunque, cattivi esempi che possono produrre danni incalcolabili.

Poi però ci sono i fratelli Stelvio, che sono protagonisti ma rimangono quasi avvolti dagli eventi. Come stanno crescendo i loro personaggi romanzo dopo romanzo?

I fratelli Stelvio invecchiano nella solitudine, entrambi. Moreno ha dieci anni più di Silvano, ora è in pensione, e si trascina con difficoltà nel nuovo percorso che lo ha fagocitato nella terza età. Ma non si arrende, si lascia coinvolgere e assurge a ruolo di consigliere, lui, in fondo può anche permetterselo. Ma il legame con il fratello lo fa a volte traballare. Si preoccupa per lui, continua a proteggerlo come quando erano ragazzi. E sulla loro vita restano ancora cose non risolte, mai digerite, come il rapporto conflittuale con il loro padre. Una storia che prima o poi dovrà venire a galla.

I fratelli Stelvio hanno ancora voglia di combattere in questa società così decadente?

Sì, hanno ancora voglia di combattere ma sono consci delle difficoltà di un mondo che cambia, di una città come Torino che negli anni si sta trasformando, mutando la pelle come un serpente, con etnie criminali che si sovrappongono alle vecchie, con più violenza, prepotenza, nessun rispetto delle regole. Una guerra che diventa difficile da vincere solo con i vecchi strumenti a disposizione. Ci vuole coraggio, determinazione, ma anche fantasia. Entrambi appartengono a un vecchio modo di interpretare le dinamiche della società, alla vecchia maniera. Il nuovo può spaventarli, intimorirli, indebolirli. Loro lo sanno, ed è per questo che si impegnano ancor più. Perché nella selezione naturale, Darwin lo spiegava molto bene, non sopravvive il più forte, ma chi maggiormente riesce ad adattarsi. E questa resta la loro sfida primaria. Sopravvivere al tempo.

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