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Violenza strutturale sulle donne: l’esperimento sociale in piazza Carignano a Torino

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In piazza Carignano, a Torino, decine di persone si stanno radunando dalle 14,30 di oggi (sabato 4 marzo) attorno alla manifestazione contro la violenza strutturale sulle donne. A una figura femminile vestita interamente di rosso sono stati legati mani e piedi con dei fili bianchi, sorretti ai capi da quattro figure vestite di nero e con il viso coperto da una maschera bianca.

Scansionando il QR code posto sulle schiene delle figure nere incappucciate, vi è una breve spiegazione della rappresentazione: “Ciao, sono Claudia Burbulea e questo che stai vedendo è un esperimento sociale contro la violenza strutturale sulle donne. Si tratta della violenza esercitata della struttura politico-sociale in cui viviamo, che è invisibile, senza personalità. I suoi fili lunghi legano e strattonano le donne più povere e più fragili, costringendole a una non-vita.”

A partire dal concetto di violenza della struttura sociale elaborato per la prima volta da Paul Farmer, gli organizzatori (Sandro Marotta, studente dell’Università di Torino, e Claudia Burbulea, scrittrice) hanno voluto mettere in luce l’attualità di questo paradigma. Nella società smaterializzata e ipercompetitiva di oggi, si ha l’impressione che nessuno sia responsabile dei soprusi subiti da altri, perché semplicemente non ne si vedono gli effetti e gli attori. Invece, così come le figure nere mascherate della rappresentazione, pur non avendo volto le istituzioni sono fatte di esseri umani che, senza accorgersene e con piccoli gesti, continuano a perpetuare le disuguaglianze che rendono la società un nemico per l’autodeterminazione delle donne.

Il testo del QR code continua con eventi concreti vissuti in prima persona dalla scrittrice: “É violenza aspettare 18 anni per un passaporto mentre a casa vieni picchiata.” – si legge – “È violenza lavorare per 10 ore in magazzino, con le mestruazioni, al freddo e per 2,70€ l’ora. È violenza dover fare i lavori di casa con tre figli a carico e non avere un euro di aumento. È violenza spendere centinaia di euro per i ticket sanitari. È violento un medico obiettore. È violenza pagare 3 mila euro per abortire. È violenza essere costretta a sostenere un test di ammissione per l’università con la flebo al braccio perché la società non dà a una donna nemmeno il tempo per essere malata.”

La manifestazione ha anche il carattere di esperimento sociale, perché i/le passanti sono invitati a prendere in mano un capo del filo e fare ciò che preferiscono: strattonare, slegare la donna posta al centro della piazza o lasciar cadere il filo. È ricreata così la situazione presente in ogni caso di violenza strutturale, in cui si ha in mano il potere di scuotere o di liberare la vita di una donna (e di una persona in generale).

“Contro la struttura violenta e invisibile, – concludono gli organizzatori – serve una rete di solidarietà che la porti alla luce”.

@Sandro Marotta

 

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