Ambiente
La memoria di chi vive in Piemonte non ricorda una simile scarsità d’acqua
La Regione ai piedi delle più alte montagne d’Europa, che con i loro ghiacciai alimentavano i nostri grandi fiumi (“Scendono pieni, rapidi, gagliardi…” poetava Carducci), sta diventando sempre più arida e, stando a quanto riportano ormai quasi ogni giorno i giornali, la peggiore per siccità in Europa.
Probabilmente nessuno avrebbe immaginato di vivere tale situazione, con le conseguenze che già si stanno verificando e che sempre più impatteranno sulla nostra quotidianità.
Ma tutto questo non è occasionale o frutto di circostanze sfortunate. Anni di incuria e sprechi, del prevalere di interessi economici e speculativi nella gestione del territorio stanno presentando il conto. Non vale solo per il Piemonte, ovviamente. La crisi idrica è un enorme problema per l’Italia e per l’Europa.
Da parecchi anni la comunità scientifica ha lanciato l’allarme: il riscaldamento del pianeta prodotto delle attività umane è la principale causa dello scioglimento dei ghiacciai, dell’alterazione del ciclo delle piogge, dell’inaridimento di aree sempre più vaste di territorio. E, ammoniscono gli scienziati, il cambiamento del clima e il deterioramento delle condizioni ambientali sono ormai irreversibili, fattori strutturali e non emergenziali, da affrontare con urgenza e in modo prioritario.
Eppure, da parte delle nostre classi dirigenti non è venuta meno la sconsiderata concezione dell’acqua come risorsa inesauribile.
Non è stata programmato un piano organico per il rifacimento degli acquedotti, nonostante le perdite ingenti e la vetustà complessiva delle condutture. Né, da parte delle autorità competenti, ARERA in primis, sono stati posti ai gestori del servizio obbiettivi adeguati per una urgente riduzione delle perdite.
Basti pensare che l’obbiettivo di efficienza fissato da ARERA è pari al 25% delle perdite totali, cioè se un acquedotto perde un quarto dell’acqua immessa è ritenuto “virtuoso” e non vengono richieste azioni di miglioramento!
Per gli acquedotti con perdite superiori, gli obiettivi di efficientamento sono tali da richiedere decenni per essere raggiunti!
La nostra SMAT spa, che perde il 34%, se si attenesse a queste prescrizioni, raggiungerebbe il target del 25% delle perdite totali nel 2043! Ottenuto quest’obbiettivo, ben un quarto dell’acqua verrebbe persa (3 lagni di Avigliana messi insieme), quando la media europea si attesta attorno al 15%3.
A dispetto delle tante dichiarazioni di cui spesso i nostri amministratori si riempiono la bocca, la cementificazione dei suoli ha proceduto inarrestabile ed è persino aumentata negli ultimi due anni.
Oltre a devastare il territorio favorendo dissesti e calamità, a distruggere terreni fertili e specie animali e vegetali, innalzare le temperature, deturpare la bellezza del paesaggio, il cemento impermeabilizza il suolo e impedisce l’assorbimento delle acque piovane, impedendo il naturale ciclo idrico e la normale ricarica delle falde.
Ignorando la volontà popolare espressa con i referendum del 2011 per la ripubblicizzazione del servizio idrico, tutti i governi da allora succedutisi si sono pervicacemente impegnati nella direzione opposta, cercando in tutti i modi di favorirne la privatizzazione. Proprio quando la scarsità della risorsa richiede una gestione pubblica e partecipativa dei cittadini, volta alla tutela dell’acqua nell’interesse collettivo, si sceglie di favorire chi sull’acqua intende speculare e fare profitti.
In un tale stato di cose, non stupisce che poco o nulla sia stato fatto per creare una cultura del rispetto per l’acqua che è una risorsa limitata, e come tale va utilizzata. Mancano quindi interventi strutturali per sensibilizzare in questo senso l’intera popolazione, a partire dalle scuole.
E, forse, ciò si spiega anche con il timore che una diffusa consapevolezza possa turbare lo status quo.
Una forte pressione dell’opinione pubblica su questi temi renderebbe più difficile proseguire con le politiche che provocano l’attuale crisi ecologica, dominate da una micidiale miscela di ignoranza, sottovalutazione dei rischi e cieca determinazione a fare affari.
Insomma, con tali presupposti anche i provvedimenti che in tempi brevi dovranno inevitabilmente essere adottati rischiano di seguire logiche miopi, prive di un’indispensabile visione di lungo periodo.
Si parla insistentemente di realizzare nuovi invasi ma, a parte il loro pesante impatto ambientale, per riempirli occorrono le piogge, che scarseggiano, senza contare il problema dell’evaporazione nei mesi caldi. È invece indispensabile investire subito nella riduzione delle perdite e degli sprechi, determinate da una trascurata manutenzione e dalla mancata sostituzione dei tubi negli anni.
Sempre più impellente è la necessità di politiche lungimiranti, che sappiano riorientare il nostro modo di produrre e consumare, non più limitate da una concezione puramente economicista della realtà, volta ad estrarre valore finanziario da ogni risorsa naturale.
Dovremo attendere che i rubinetti restino a secco prima che questo accada?
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