Piemonte
Il 70% del lavoro domestico e di cura è svolto da donne migranti
I lavori delle donne, e in particolare quelli delle donne migranti, sono caratterizzati da un alto tasso di precarietà, informalità e irregolarità. Quello delle donne è un bacino enorme di “sfruttamento strutturale” che, almeno tendenzialmente, coincide con l’intera area del lavoro femminile. E- quanto emerge dal primo Rapporto sullo sfruttamento delle donne, nel lavoro domestico e di cura, nell’agricoltura e nell’ambito del fenomeno migratorio, promosso dall’Associazione Slaves No More e dalle ACLI e relativo al 2022.
All’interno di questo grande bacino, il Rapporto si sofferma sulle forme di sfruttamento più gravi, lesive di diritti fondamentali, con potenziali conseguenze sulla vita, la salute, la genitorialità, le relazioni, l’inclusione sociale di tante donne.
I dati sull’economia informale nel nostro Paese sono insufficienti e non consentono neanche di produrre stime metodologicamente significative. Ma il numero delle donne gravemente sfruttate è certamente considerevole, se pensiamo che solo in agricoltura, secondo l’ipotesi più accreditata, si tratta di non meno di 50.000 lavoratrici.
Per quanto riguarda il lavoro domestico e di cura, il 70% di coloro che lo svolgono sono migranti. Il settore presenta secondo l’ISTAT un tasso di irregolarità del 57%, a fronte di una media nazionale del 12,6%. A causa delle difficoltà di essere in regola con il permesso di soggiorno, a fronte di un numero di colf e badanti registrate all’INPS di 920.000, si stima che il totale delle impiegate e impiegati nel settore si aggiri sui 2,1 milioni secondo l’Osservatorio Domina. In quest’area di irregolarità possono celarsi le forme più gravi di sfruttamento.
Elementi caratterizzanti dello sfruttamento lavorativo delle donne sono la sottoposizione sistematica a molestie, ricatti e violenze sessuali, la dipendenza dal datore di lavoro, specie nel caso in cui la lavoratrice domestica abiti nella stessa casa, o in cui la lavoratrice agricola viva in un’abitazione messa a disposizione dal datore o dal caporale. Inoltre quando le donne riescono ad avere con sé i figli, le responsabilità di cura sono spesso un ulteriore fattore di vulnerabilità, e una delle ragioni per cui talvolta le donne sono costrette a sottostare ai ricatti sessuali di caporali e datori di lavoro. Altro elemento caratterizzante il grave sfruttamento delle donne è la scarsa o inesistente soggettività contrattuale, dovuta in parte alla dipendenza dai caporali, e in parte ai condizionamenti familiari. In alcuni settori esiste inoltre un consistente gap salariale tra donne e uomini, pur nella comune condizione di sfruttamento. In agricoltura, ad esempio, in alcune zone una donna percepisce 25-28 euro al giorno, mentre un uomo può arrivare a 40.
Il grave sfruttamento femminile, infine, comporta talvolta il transito da una forma di sfruttamento all’altra, tipicamente dallo sfruttamento sessuale allo sfruttamento lavorativo e viceversa. Alcune donne svolgono entrambi per guadagnare di più e ripagare più velocemente il debito contratto con i trafficanti. Si verificano
anche casi di sfruttamento lavorativo emersi a seguito della denuncia di violenza domestica subita dalla lavoratrice ad opera del partner, il che mostra l’intreccio di sfruttamento e violenza nell’esperienza femminile.
Lo sfruttamento sessuale ha dimensioni enormi. Si tratta di una delle forme più coercitive di sfruttamento delle donne, che raggiunge punte di violenza sistematica nel caso delle persone LGBT+, soprattutto di provenienza brasiliana. Il Rapporto si sofferma su alcune tendenze recenti, in particolare la prostituzione indoor e gli annunci online. La ricerca ha riguardato 200 siti web attivi in tutta Italia. Il business che ne scaturisce, secondo stime ISTAT del 2021, è di 4,7 miliardi di euro, un volume di affari doppio rispetto all’intero settore alberghiero.
Il sottotitolo del volume è “Il diritto di essere protagoniste”, poiché la ricerca si sottrae a una rappresentazione vittimistica, mettendo in evidenzia l’agency delle donne, le loro competenze, la loro capacità di prendere decisioni importanti sul proprio futuro e su quello delle loro famiglie pur nella condizione di sfruttamento, le potenzialità di sindacalizzazione e di auto-organizzazione.
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