Cultura
Le Donne nella Shoah, intervista con Bruna Bertolo
Della Shoah ormai sappiamo tutto, o almeno siamo convinti di sapere tutto. Eppure ogni nuova testimonianza, ogni raccolta di testimonianze, ogni singola storia ed ogni storia di singoli sono importanti, sono fondamentali e sono da conoscere per scoprire sempre più a fondo quell’orrore e cercare di non dimenticarlo.
E’ il caso di Le Donne nella Shoah, SusaLibri, in cui Bruna Bertolo raccoglie una serie di storie di donne all’interno di quella che è la pagina più orrenda e incredibile della storia del Mondo moderno. Trovate qui la recensione completa del libro.
Bruna Bertolo, quanto è fondamentale continuare a raccontare la Shoah?
La Shoah rappresenta sicuramente il pozzo più nero e profondo del nostro 900: milioni e milioni di persone, uomini, donne, bambini, sterminati senza pietà. Una delle tragedie più brutali e feroci nel lungo cammino della Storia dell’uomo. Sei milioni e più di vite rubate, di vite sommerse. Non fu facile per i sopravvissuti rientrare in una normalità che normalità non sarebbe più potuta essere. Non fu facile cominciare a raccontare. Non fu facile neanche “voler ascoltare”. E’ fondamentale oggi continuare a raccontare, anche quando le voci dei sopravvissuti, per evidenti motivi anagrafici, non potranno più farlo. Goti Bauer, Edith Bruck, Liliana Segre, testimoni di oggi, hanno impegnato – e continuano a impegnare – gran parte dei loro anni di vita a raccontare, a parlare con i ragazzi, a scrivere… per far capire che cosa sia stato l’inferno del Lager nazista. La senatrice Liliana Segre usa la parola “indifferenza” per spiegare l’origine di quell’inferno: “spesso mi chiedono come sia potuto succedere. E io rispondo sempre con questa parola: INDIFFERENZA. Se pensi che una cosa non ti riguardi e ti volti dall’altra parte, è lì che inizia l’orrore”. Raccontare significa anche lottare contro l’indifferenza
Il tuo libro pone l’attenzione su alcune – tante, troppe – terribili storie di donne all’interno della Shoah. Quali specifiche caratteristiche possiamo ritrovare in questa fetta della pagina più nera della storia moderna?
Per molto tempo il modo in cui si pensò all’orrore dell’Olocausto si basò prevalentemente sulle testimonianze scritte ed orali dei sopravvissuti di sesso maschile, anche se le «salvate» avevano prodotto diari, memorie, disegni… ma molto meno citati. Come se fossero meno importanti. Nel 1998 uscì un libro, curato dalle storiche Lenore J.Weitzman e Dalia Ofer, che suscitò un’ampia discussione. Si intitolava “Women in the Holocaust” ed affrontava per la prima volta il tema della Shoah da un’ottica diversa, quella legata al mondo femminile. Nel 2001 ne uscì una edizione italiana, con una ampia presentazione della storica Anna Bravo. Ci si chiedeva, sottolineo nel mio libro, se avesse senso guardare allo sterminio operato dai nazisti da un punto di vista di genere. Il nazismo si era scagliato indifferentemente, nel suo percorso di morte, verso chiunque fosse ebreo: donne, bambini, vecchi, uomini. Essere ebrei era la colpa che il nazismo, in tutti i modi, voleva stroncare. E accanto agli ebrei, anche gli omosessuali, gli zingari, i malati di mente, i portatori di handicap … Solo in anni più recenti si cominciò ad esaminare la tragedia degli ebrei anche da un punto di vista di genere, in quanto sebbene uomini e donne fossero destinati ugualmente alla morte nei campi di sterminio, le loro strade furono diverse, soprattutto durante il primo periodo della deportazione, con obblighi di lavoro diversi, regole diverse anche nella selezione iniziale. Le donne con bambini e quelle in gravidanza vennero immediatamente mandate a morte, salvo pochissimi casi, quei casi in cui il dottore Mengele intervenne perché necessitava di materiale umano per i suoi esperimenti, soprattutto sui gemelli. Nella famosa rampa di arrivo dei treni con i deportati di Birkenau, il campo riservato alle donne, la selezione era immediata. Per le donne in gravidanza e per quelle con i bambini, il gas era immediato.
Ci anticipi alcune delle storie che racconti?
Tra le storie che racconto, ci sono le testimonianze di Luciana Nissim Momigliano, di Frida Misul, di Giuliana Fiorentino Tedeschi, di Liana Millu, di Alba Valech Capozzi, le prime a scrivere del loro inferno. Ma ricordo anche la storia di Settimia Spizzichino, la bella ragazza romana unica sopravvissuta tra le donne deportate dopo la razzia nel ghetto di Roma del 13 ottobre 1943. Tutte mandate ad Auschwitz, con percorsi personali diversi ma avvolti nella stessa brutalità nell’inferno del campo di sterminio. Racconto anche la storia di Laura Levi, ricostruita recentemente grazie ad un lavoro di ricerca di alcuni studenti di Cesano Maderno: una “testimonianza silenziosa” la sua. Mi ha colpito molto la storia di Laura in quanto è …. tutta una storia al femminile. Il papà, farmacista a Cesano Maderno, morì nell’ottobre ’43 per malattia. L’arresto e la deportazione colpirono all’inizio di dicembre ’43 tutte le donne della famiglia: ben sette! La più giovane, Clara, 14 anni, con l’altra sorella maggiore Nora, la mamma, le zie paterne e materne. Si salvò solo lei. Solo lei ritornò, ma sentì sempre il peso di questa sopravvivenza. La sua vita come una dolorosa testimonianza silenziosa: parafrasando Ungaretti, si potrebbe dire che Laura Levi la morte l’aveva scontata vivendo.
Uno dei primi capitoli è dedicato alle stragi in Piemonte, alcune delle quali – penso a quella del Lago Maggiore – sono poco conosciute…
Il libro parte dalle leggi razziali del 1938 per spiegare il clima di emarginazione che crebbe nei confronti degli ebrei. E racconta le feroci stragi del Lago Maggiore, una pagina di Storia rimasta in fondo per molto tempo quasi sommersa, sottolineando soprattutto alcuni personaggi femminili. Subito dopo l’8 settembre ’43, si sviluppò infatti, fin dai mesi di settembre ed ottobre, una feroce caccia all’ebreo attorno al lago Maggiore, in provincia di Novara. Il primo atto della Shoah, in Italia, con l’assassinio feroce di ebrei, uomini, donne, bambini, si sviluppò proprio attorno alle sponde di questo ridente luogo di villeggiatura, con l’arrivo a Novara, fin dal 12 settembre 1943, dei primi reparti tedeschi. Rastrellamenti e uccisioni di ebrei a Meina, Baveno, Arona, Intra, Stresa, Mergozzo, Orta San Giulio, Pian Nava… la “strage del Lago Maggiore”. Tante storie personali, tanti episodi di brutalità. Uno dei più efferati si consumò nell’Hotel Meina, con l’assassinio di tutti gli ospiti ebrei. Per come si svolse, la strage del Lago Maggiore rappresentò un’anomalia rispetto al “consueto” trattamento da parte dei nazisti degli ebrei in Italia che prevedeva, dopo la cattura, la successiva deportazione nei campi di concentramento. In questo caso, invece, i comandanti locali delle SS, dopo l’identificazione degli ebrei e il loro fermo, li uccisero senza pietà depredandoli dei loro beni.
Come hai raccolto il materiale per queste storie?
Ho voluto riprendere la memorialistica scritta delle prime testimoni, delle prime donne sopravvissute alla Shoah che, nell’immediato dopoguerra, dal ’45 al ’47, sentirono l’esigenza assoluta di raccontare ciò che avevano vissuto e subito. La loro testimonianza rappresentò il modo di reagire ad una realtà di brutalità e di orrore che sembrava varcare i limiti dell’immaginazione. E’ stato fondamentale per la costruzione di questo libro ritrovare ed analizzare quelle prime testimonianze scritte. Si tratta di testimonianze affidate a libri per lo più pubblicati da piccoli editori e riservati ad un pubblico locale, spesso esauriti, e solo molti anni dopo destinati a nuove edizioni, questa volta di maggior successo.
Il libro è corredato da parecchie foto che hai scattato personalmente nei campi di sterminio. Si riesce ancora, a distanza di tanti decenni, a comprendere l’orrore trovandosi in quei posti?
Nel 2017 ho visitato il campo di Mauthausen e nel 2018 quello di Auschwitz/Birkenau, diventato un Museo della Shoah. Un vero e proprio percorso nell’orrore, dal quale sono uscita molto provata. Soprattutto da Auschwitz, il campo di sterminio a pochi chilometri da Cracovia. Lì, le immagini, tantissime delle persone uccise dalla follia nazista, i cui ritratti sembravano osservarci dalle pareti, mi avevano davvero sconvolta. Così come i cumuli di oggetti di uso quotidiano, di valigie, di scarpe di tutte le fogge e qualità, di pettini, di occhiali…. Oggetti appartenuti a chi trovò la morte …. E parlando di Birkenau, il campo riservato alle donne, a pochi chilometri da Auschwitz, Primo Levi scrisse che qui la condizione femminile era ancora peggiore: la presenza ossessiva dei crematori con le loro ciminiere nel bel bello del campo non lasciava dubbi sul destino di chi era stato rinchiuso lì. Io credo che dopo aver visitato questi campi di sterminio, ci sia una maggior consapevolezza della barbarie terribile che rubò la vita a oltre sei milioni di persone. E’ lì che ho pensato che avrei voluto dare anche un mio piccolo contributo, anche attraverso un libro. Sono tante le fotografie che ho scattato, molte poi inserite nel volume, ma tante anche quelle che … proprio per la mia profonda emozione … non sono riuscita a fare! Orrore è la parola giusta per descrivere, anche a distanza di tanti anni, ciò che si prova visitando quei luoghi. E, aggiungo, incredulità di fronte alla ferocia che qui si esercitò al massimo livello.
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