Società
Roberto Repole è il nuovo arcivescovo di Torino e Susa
Roberto Repole ha ricevuto oggi l’ordinazione episcopale ed è il nuovo arcivescovo di Torino e Susa accogliendo l’eredità di Cesare Nosiglia.
Roberto Repole ha salutato dal sagrato del Duomo i molti torinesi che hanno presenziato alla sua ordinazione.
Il messaggio di ringraziamento di Roberto Repole al termine della Messa della sua ordinazione episcopale
All’alba del secondo millennio, scrivendo ad un amico per invitarlo ad intraprendere la vita povera e solitaria del monastero, che può spalancare le porte della vera quiete, Guigo I (priore della Chartreuse) mette in guardia dal rifulgere negli onori e dall’essere innalzati nelle cariche, perchè si tratta di cosa – dice – «niente affatto quieta; soggetta ai pericoli, esposta agli affanni, sospetta a molti, sicura per nessuno. Tutto ciò – continua – è lieto al suo inizio, oscuro nel suo svolgersi, triste alla fine».
Se l’episcopato fosse annoverabile tra le mille cariche e gli infiniti onori di questo mondo, si dovrebbe rabbrividire leggendo queste parole e non lo si potrebbe onestamente assumere, se solo si porta ancora nel cuore il desiderio di dimorare nella pace di Cristo e di vivere insieme con Lui e in Lui.
Mi conforta, oggi, sapere che l’episcopato non è però niente di tutto questo: è un ministero conferito dal sacramento e alimentato dalla sua speciale grazia, nella Chiesa e per la Chiesa.
Per me personalmente rappresenta un’ulteriore chiamata a lasciarmi incantare, abitare e condurre da quel Cristo Risorto, che mi ha affascinato e folgorato sin da fanciullo. Conservo ancora il ricordo nitido della consapevolezza che si è imposta nella mia interiorità, già da bambino, del fatto che se Cristo era veramente risorto, allora non poteva che prendersi tutto; e questo per la mia personale esistenza poteva significare mettermi a suo servizio da prete.
Dopo tanti anni, dopo studi raffinati di teologia, dopo le prove della vita e persino dopo alcune amarezze vissute (pure nella stessa Chiesa), devo dire che non solo quel fascino non si è spento, ma si è addirittura dilatato a dismisura, nella sua lucente semplicità. “Se Cristo non è risorto, dice san Paolo, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede” (1 Cor 15,14) . A partire dalla mia povera vita, vorrei far echeggiare questa parola, per dire che se Cristo non fosse risorto per me non avrebbe senso proprio nulla, e nulla sarebbe veramente apprezzabile: è invece perché Lui è vivo aldilà della morte ed è presente ed operante in mezzo a noi e in noi che la vita risulta davvero bella. Ho infatti la certezza, nella fede, che nulla di ciò che viviamo in Lui andrà mai perduto; e tutto, anzi, ci verrà riconsegnato, dilatato, guarito e trasfigurato, in un modo per noi oggi impensabile ed inimmaginabile.
È a Lui, perciò, è al Signore risorto, che voglio esprimere oggi tutta la mia gratitudine, chiedendogli che il mio ministero possa indirizzare a Lui e a nessun altro e a nient’altro che a Lui. Con il Signore Vivente e in Lui, ringrazio tutti coloro che, in mille modi, ne sono stati e ne sono testimoni amorevoli.
Ringrazio anzitutto mio papà e mia mamma, perché mi hanno dato la vita e se ne sono presi cura, sempre, con un amore senza fronzoli, ma estremamente reale, affettuoso ed intelligente. Ringrazio mio fratello, a cui mi unisce un legame fortissimo, che è cresciuto nel tempo; mia cognata che è per me una sorella; le mie amatissime nipoti. E ringrazio tutta la famiglia allargata, gli zii, i cugini, tutti; ricordando anche gli zii defunti e la presenza preziosa dei nonni.
Ho avuto la grande grazia di vivere in una famiglia semplice, in cui ho respirato e interiorizzato la certezza dell’amore, che mi ha reso sicuro; e in cui ho imparato ad apprezzare ed accogliere ogni persona, per il semplice fatto che è una persona umana, qualunque sia il grado di istruzione, il censo, il titolo onorifico o il ruolo che riveste.
Ringrazio il carissimo papa Francesco, per la fiducia che ha riposto in me, affidandomi la cura della Chiesa che è in Torino e in Susa. Insieme alla gratitudine, desidero esprimergli la mia sincera fedeltà ed un grande apprezzamento per la sua capacità di riportarci al centro del Vangelo e perché, con il suo ministero, rappresenta oggi un faro nella Chiesa e al di fuori di essa, per tante donne e tanti uomini di buona volontà.
Ringrazio il cardinale Poletto, per il servizio reso alla Chiesa torinese e per la stima che mi ha mostrato in molte occasioni, e che non ha potuto essere presente per motivi di salute, ma si è fatto vivo con affetto e ha pregato e prega per me e per noi. Ringrazio l’Arcivescovo Monsignor Nosiglia che ha accettato benevolmente di essere il principale ordinante e per l’impegno indefesso che ha caratterizzato il suo ministero episcopale qui a Torino, in mezzo a noi e per noi, per tanti anni. Un grande grazie va anche ai due altri vescovi ordinanti, monsignor Badini Confalonieri, vescovo emerito di Susa e monsignor Arnolfo, arcivescovo di Vercelli. Insieme a loro esprimo gratitudine a tutti i vescovi presenti: coloro che fanno parte della Conferenza Episcopale Piemontese, con i quali inizierà un rapporto particolare di fraternità e collaborazione; e quanti hanno accolto l’invito ad essere presenti e a pregare oggi, per me e con me, e con le Chiese di Torino e di Susa.
Ringrazio tutti voi, laiche e laici, diaconi e presbiteri, religiose e religiosi di questa Chiesa, della Chiesa di Susa e di altre Chiese che, per amicizia, per senso ecclesiale o per entrambi, avete voluto essere qui, per celebrare il Signore e pregare insieme, in questo giorno importante per la comunità cristiana torinese e per la Chiesa di Susa; e con voi saluto e ringrazio anche tutti coloro che ci seguono in streaming.
Nell’impossibilità di ringraziare personalmente ciascuno, permettetemi di fare qualche nome di realtà ecclesiale o di persona che ha rappresentato nella mia vita un segno tangibile della presenza e della tenerezza del Risorto.
Grazie alla comunità parrocchiale di Druento. È lì, tra voi e con voi, che sono stato introdotto alla vita cristiana e ho potuto alimentarmi, infinite volte, di Cristo. È stando insieme a voi che ho imparato, prima ancora di riflettervi, che cosa sia la magnifica e pur sempre fragile realtà della Chiesa. Ho avuto anche il privilegio di svolgere parte del mio ministero, in questi ultimi vent’anni, tra di voi, rinsaldando legami di amicizia di una vita e creandone di nuovi. Vi porterò sempre nel mio cuore, perché siete semplicemente parte di me; e mi conforterà ovunque, specie nei momenti di maggiore solitudine, la certezza di essere a casa tra voi. Un grazie particolare va ai preti che a Druento hanno svolto il loro ministero. Ricordo con una gratitudine unica il parroco della mia infanzia e giovinezza, don Francesco Cavallo, che ha avuto il coraggio di propormi l’ingresso in seminario, quando ero ancora piccolo, ma che mi ha poi lasciato camminare e crescere con somma libertà e che, ormai anziano, non mancava di telefonarmi per incentivarmi, quando leggeva qua e là un mio articolo. Grazie a don Lucio Casto, che ha saputo insegnarci o re-insegnarci a pregare, negli anni decisivi della prima giovinezza. Grazie a don Nino Olivero, che mi ha accompagnato con la sua apprezzata bontà discreta e fattiva negli ultimi anni del seminario e nel momento della mia ordinazione diaconale e presbiterale. Grazie all’amico fraterno don Giorgio Garrone, compagno di seminario e poi parroco con cui ho convissuto per nove anni, in una esperienza di fraternità ricca, stimolante ed indimenticabile; all’amico don Dante Ginestrone, da cui mi sono sempre sentito accolto con stima e gratitudine; a don Simone Pansarella, prima mio allievo e ora mio giovane parroco. Ringrazio tutte le suore della comunità di san Giuseppe di Pinerolo che si sono succedute a Druento: un sentimento di gratitudine tutto unico va a suor Serena, che oggi ci accompagna dal cielo, e che ha avuto per me attenzioni insieme filiali e materne.
Grazie anche alla comunità di Givoletto di mia residenza e oggi presente, al suo parroco attuale e al caro amico don Pier Giorgo Serra.
Ringrazio le comunità del Seminario minore con i loro superiori di allora: il compianto don Vittorio Perotti, don Ester Rolando, don Pino Cravero, don Daniele D’Aria e don Antonio Amore. Da ciascuno ho ricevuto molto; e solo oggi, forse, sono consapevole del dono che hanno rappresentato quegli anni da voi spesi totalmente per accompagnare dei ragazzi.
Ringrazio per l’esperienza unica del Seminario maggiore, in cui ci è stata offerta la possibilità di cogliere la decisività di un cammino spirituale autentico e di una vita fraterna e amichevole, che mi ha sostenuto e mi sostiene tuttora e mi fa dire che la parola evangelica del centuplo è vera e viva. Grazie a don Valter Danna, ora vicario generale e allora mio e nostro vicerettore. E un grazie immenso a don Sergio Boarino, allora rettore, un padre intelligente e buono, che sta continuando a vegliare su di me e su di noi da presso il Padre.
Grazie alla comunità di sant’Antonio Abate in Torino, dove ho svolto il servizio di seminarista e al suo parroco di allora, l’amico don Gianni Rege, per la generosità e la simpatia con cui mi ha accolto e accompagnato. Grazie alle comunità parrocchiali di Gesù Redentore e del SS. Nome di Maria in Torino, dove ho mosso, da viceparroco e collaboratore, i primi passi indimenticabili del mio ministero presbiterale: conservo un ricordo nitido e grato di quegli anni e legami di amicizia tuttora vivi e vitali. Grazie a don Gianni Bernardi, a don Serafino Bunino e a don Benito Rugolino, con cui ho collaborato volentieri e da cui ho appreso, in atto, la variopinta ricchezza del nostro presbiterio.
Sento un profondo senso di gratitudine per la nostra Facoltà Teologica, dove sono stato avviato alla teologia e alle colleghe e ai colleghi amici, al personale e a tutta l’ormai fitta schiera di studenti, primi fra tutti i preti e i diaconi, con i quali collaboreremo strettamente. È stata davvero una famiglia teologica: il confronto con i colleghi e l’insegnamento nelle nostre istituzioni sono stati per me uno stimolo prezioso a ricercare e a tentare percorsi di pensiero capaci di far risuonare, nell’oggi, la bimillenaria ricchezza della viva Tradizione. Con la Facoltà dico grazie all’Associazione Teologica Italiana, altra grande famiglia teologica che ho avuto la grazia di abitare per tantissimi anni e l’onore di servire, come presidente. Sono stato arricchito da un confronto teologico continuo, profondo e serio; e ho potuto sperimentare la bellezza di fare teologia insieme, oltre la grazia di nuove e arricchenti amicizie. Nel presidente attuale, don Riccardo Battocchio, e nei presidenti emeriti, don Severino Dianich, don Giacomo Canobbio e don Piero Coda, oltre che nella professoressa Serena Noceti – vice-presidente nel tempo della mia presidenza – , saluto con una gratitudine immensa tutte le socie e i soci.
Grazie ancora al Meic di Torino, al cui fianco ho cercato di camminare, per la stima e il bene che mi avete donato e dimostrato.
Ed infine, un ringraziamento alla comunità che gravita a san Lorenzo, con i suoi volontari; e un grazie immenso alla comunità dei preti: a chi ci accompagna dal cielo, don Franco Martinacci e don Giancarlo Carbonero, e a coloro che sono compagni di viaggio qui in terra, don Giovanni Ferretti, fratello e insieme padre per tutti noi, don Germano Galvagno, don Sandro Giraudo e don Paolo Tomatis. Abbiamo vissuto un’esperienza di fraternità presbiterale arricchente ed indimenticabile: piccolo segno che è possibile fare esperienze concrete di presbiterio tra persone di generazioni diverse e persino di profonda amicizia, quando ci siano la benevolenza e il rispetto sincero.
Concedetemi ancora, al termine, di esprimere un unico profondo desiderio per le nostre Chiese di Torino e di Susa. Iniziando il mio ministero in mezzo a voi, desidero soltanto che siamo e cresciamo sempre di più come comunità cristiane che attendono la venuta ultima del Signore Risorto, insieme a tutti i santi.
Abitiamo un mondo ricco, pieno delle stupefacenti possibilità che ci sono offerte da una tecnica sempre più avanzata. Abitiamo un mondo in cui sembra possibile soddisfare ogni bisogno. E può crescere, anche tra i cristiani, la tentazione nefasta di chiedere ormai tutto a questo mondo, che rimane tuttavia finito, fragile, e in alcuni aspetti persino malato. Dirigere a questo mondo finito il nostro desiderio di vita infinita è però mettersi nell’anticamera dell’infelicità e persino della disperazione. Non c’è proprio bisogno oggi di una Chiesa, che sia il semplice prolungamento di questo nostro mondo. C’è invece ancora un bisogno immenso, dentro questo mondo, del servizio che possono rendere dei cristiani che continuano a rimanere in attesa della venuta ultima del Risorto: è il servizio della speranza, è il servizio di un senso per le nostre esistenze e la nostra umanità.
In una lettera a Rodolfo il Verde, preposito di Reims, il padre dei certosini, san Bruno, confidava di vivere in un eremo con dei fratelli «che perseverando con saldezza nei loro posti di sentinella nelle cose di Dio, attendono il ritorno del Signore per aprirgli subito quando busserà». Ecco, quel posto, quello della sentinella non è solo il posto dei monaci. È il mio posto, è il nostro posto, è il posto dei cristiani che, come dice san Pietro, rimangono sempre stranieri e pellegrini dentro questo mondo.
Se torneremo con nuovo entusiasmo – pochi o tanti che siamo – ad abitare quel nostro posto, allora sbocceranno dalle nostre comunità delle opere benedette, capaci di cominciare a trasfigurare l’umanità. Se diserteremo il nostro posto, potremo anche fare tante opere, ma non ci toglieremo il gusto amaro dell’insensatezza e non avremo davvero niente da offrire ai nostri fratelli in umanità.
Sono certo che se, in questo orizzonte, ci rimetteremo tutti, indistintamente, in un cammino di conversione autentica e se ci vorremo bene nel Signore – non importa che siamo amici o no, e neppure che ci conosciamo o meno – potremo essere ciò che il Signore desidera che siamo, per questa terra di Torino e di Susa e per questo nostro tempo. E questo è anche ciò che ha diritto di essere ancora chiamato, con serietà, lavoro e impegno pastorale.
Che il Signore ci custodica, dunque, e benedica il nostro cammino.
Grazie ancora di cuore a tutti e a ciascuno, con un immenso affetto!
Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese