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Ricercatore di Torino dimostra le origini della popolazione europea: Siberia, Anatolia e pastori delle steppeteppe

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La maggior parte del patrimonio genetico europeo è stato plasmato da migrazioni avvenute negli ultimi 10.000 anni, quando i cacciatori-raccoglitori locali si sono mescolati con gli agricoltori neolitici in arrivo dall’Anatolia e con i pastori delle steppe. Queste popolazioni sono state separate per migliaia di anni e si sono evolute in direzioni diverse e, in seguito a questo incontro, il loro DNA, o genoma, è entrato in contatto mescolando le varianti genetiche che li caratterizzavano.

Finora, basandosi sulle informazioni contenute nei genomi antichi, i ricercatori si erano limitati a predire i tratti biologici delle popolazioni che anticamente avevano partecipato a questi eventi, arricchendo le nostre conoscenze sull’evoluzione di tratti come la persistenza della lattasi, l’altezza e la pigmentazione della pelle, degli occhi o dei capelli. “Con il nostro studio, invece, ci siamo chiesti come la fisiologia e l’aspetto degli europei contemporanei siano influenzati da queste antiche impronte che sono ancora incorporate nei nostri genomi”, ha dichiarato il ricercatore dell’Università di Torino Davide Marnetto, primo autore dello studio appena pubblicato su Current Biology.

“Come caso di studio, abbiamo utilizzato la popolazione estone (che mostra anche alcune componenti genetiche di provenienza siberiana), grazie alla disponibilità di una immensa mole di dati resa disponibile e pubblicamente accessibile dalla Estonian Biobank, che contiene genomi ed informazioni per più di 50.000 individui. Basandoci su questi dati, ci siamo chiesti se avere una determinata caratteristica, ad es. colesterolo alto, fosse associato all’aver ereditato più varianti da una specifica popolazione antica, esattamente in quelle regioni del DNA che influenzano i livelli di colesterolo”, ha aggiunto Marnetto.

“I nostri risultati mostrano che le popolazioni antiche che hanno formato gli europei erano sufficientemente differenziate tra di loro da lasciare un segno caratteristico nella fisiologia e all’aspetto degli individui contemporanei”, ha sottolineato il Prof. Luca Pagani dell’Università di Padova, e autore senior della ricerca. Ad esempio, le popolazioni delle steppe sembrano aver contribuito a una corporatura robusta, con statura alta e più ampie circonferenze della vita e dei fianchi, ma anche a livelli più alti di colesterolo nel sangue, che d’altra parte tende ad essere più basso negli individui che, per questi geni specifici, hanno un contributo maggiore da parte dei cacciatori-raccoglitori. Quest’ultima popolazione sembra anche collegata a un indice di massa corporea (BMI) più elevato, tra le altre cose. Le migliori conclusioni tratte in merito al contributo fornito dalle popolazioni anatoliche coinvolgono invece un rapporto vita-fianchi ridotto (corretto per il BMI) e una frequenza cardiaca più bassa. Si trovano anche differenze sostanziali nel contributo genetico in geni responsabili per la pigmentazione degli occhi e dei capelli, l’assunzione di caffeina, l’età al momento del menarca e per i comportamenti legati al sonno.

Per ciascun tratto biologico analizzato, le conclusioni dello studio si basano su specifiche parti del genoma (quelle interessate dai geni connessi a questo tratto), utilizzando il resto del genoma come riferimento. “Ciò significa che è fuorviante e nella migliore delle ipotesi ingenuo utilizzare un determinato tratto per trarre conclusioni sull’origine o composizione ancestrale dominante nel proprio genoma”, ha affermato il Prof. Mait Metspalu dell’Università di Tartu, coautore dello studio. Per dare un effetto sulla fisiologia di un individuo, non è tanto importante la quantità totale di una certa componente genetica (anatolica, delle steppe e via dicendo), quanto invece quali geni siano stati influenzati da questo contributo, anche per tratti complessi codificati da molti geni. È riduttivo interpretare l’abbondanza o penuria di certe caratteristiche biologiche in aree dell’Europa (ad esempio la statura media di una data popolazione) solo come l’abbondanza di una data componente genetica, senza considerare l’ambiente e altre forze evolutive. “Inoltre, è importante sottolineare che il legame che abbiamo stabilito tra un dato tratto e una data popolazione antica non implica che tale tratto fosse predominante in quella particolare popolazione o assente in tutte le altre”, ha aggiunto Metspalu.

Gli autori sottolineano che l’attenzione rivolta alla popolazione estone, che qui rappresenta quella Europea in generale, è collegata all’enorme quantità di dati disponibili, in contrasto con la drammatica sottorappresentazione di altre popolazioni negli studi genetici. “Non c’è assolutamente nulla che indichi che l’Europa comprenda una maggiore diversità genetica o un patrimonio di biodiversità più complesso rispetto ad altri continenti, anzi: sarebbe necessaria una maggiore copertura di campioni provenienti da tutto il mondo per capire meglio come la storia della nostra specie abbia plasmato la varietà di tratti biologici mostrata dagli individui contemporanei”, ha concluso Marnetto.

 

Figura 1: Le tre popolazioni antiche che hanno formato il patrimonio genetico europeo, con l’aggiunta di una componente siberiana (caratteristica dei genomi estoni analizzati in questo studio) sono qui rappresentate insieme alla stima del contributo (aumento, diminuzione o nullo) che hanno apportato ad alcuni tratti fisici e fisiologici negli individui di oggi. Per il colore degli occhi e dei capelli, i simboli indicano la tonalitá piú associata ad un dato contributo genetico.

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