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Cultura

I delitti del dragone, intervista con Maurizio Blini

Gabriele Farina

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Torino torna protagonista nel romanzo di Maurizio Blini I delitti del dragone, Fratelli Frilli Editori. La coppia Meucci e Vivaldi si trova ad indagare su un drammatico omicidio avvenuto in città, una strage che ha distrutto un’intera famiglia.

Siamo a fine 2020, Torino salta da zona gialla a zona arancione ed in una villetta in via Servais una famiglia cinese viene trovata morta, orribilmente deturpati i corpi dei due adulti, uccisi con un colpo alla nuca i due figli piccoli. Intanto al cantiere Tav di Chiomonte un’esplosione uccide due operai. E’ un’attentato? Meucci e Vivaldi dovranno mettere in discussione tutta la loro vita prfessionale per risolvere il mistero. Trovate qui la recensione completa.

Maurizio Blini, I delitti del dragone è un romanzo con ramificazioni enormi, molto tosto e che lascia tanto amaro in bocca. Come è nata l’idea?

L’idea è nata, come spesso accade nel mio caso, da un fatto di cronaca riemerso improvvisamente dalla memoria. Casualmente, non so spiegarmi bene il perché, forse grazie a qualche notizia letta o ascoltata in radio o tv. So solo che i ricordi sono tornati a una vecchia indagine cui avevo partecipato in passato come poliziotto. Per me era una novità, non conoscevo molto bene quel mondo così particolare e, per certi versi, affascinante, della criminalità cinese. Da queste memorie ne è scaturita una storia ancorata a fatti veramente accaduti nel nostro Paese, farcita quanto basta da una buona dose di fantasia. Il prodotto mi è piaciuto parecchio.

Mafia cinese, Dia, servizi segreti… siamo di fronte ad un vero intrigo internazionale?

Sì, la globalizzazione infatti ha prodotto una sorta di liberalizzazione criminale planetaria. La mafia cinese, quella delle Triadi, per intenderci, ha una storia millenaria alle spalle, tanto da far figurare le nostre criminalità, al confronto, semplici educande. Un tumore con metastasi ovunque ha di fatto abbracciato anche il nostro territorio, e da decenni ormai. Mi sono documentato, aggiornato, ho studiato con attenzione le dinamiche e i mutamenti di questo fenomeno e la sua infiltrazione sistematica nei nostri centri, piccoli o grandi che siano. Un fenomeno che per essere affrontato non può più accontentarsi dei tradizionali uffici investigativi, ma deve alzare il livello di scontro. I confini non esistono più. Le frontiere sono un’utopia. Le dogane un miraggio. Oggi la lotta ai grandi flussi criminali, siano essi finanziari, di droga, armi, sfruttamento umano o altro, ha assunto connotati giganteschi e internazionali.

Poi abbiamo la protesta contro l’Alta Velocità in Val Susa, un tema vivo da anni e molto sentito sul territorio. C’è un motivo specifico per cui hai deciso di inserirlo o puramente letterario?

Ho deciso di inserirlo proprio perché è un tema ricorrente legato non solo alle popolazioni della Val di Susa. Ho acceso i riflettori su di un fenomeno legato anche alla grande criminalità. Dove ci sono appalti si possono nascondere facilmente loschi affari. In questa indagine sono andato a scavare anche dentro le persone. Tra gli sbagli della polizia nel giudicare troppo velocemente presunti colpevoli, alle difficoltà oggettive di dover scavare nel passato. Una sorta di cold case, dove però ci si può ritrovare alla fine spiazzati, perché la morale di questo percorso è che non sempre le indagini vanno a finire bene. A volte possono finire male, possono anche non finire, interrompersi, per sbagli, errori di valutazione, variabili indipendenti che sopraggiungono, come nel caso, il COVID 19.

Accanto a Meucci e Vivaldi trova sempre più spazio Federico, diventato capo della Omicidi. Il duo è diventato un trio?

Vero. Beh, la mia scelta narrativa è stata quella di far invecchiare i protagonisti, farli avanzare di grado, andare in pensione, vivere e a volte subire le fasi della vita che passa. Questa serie arrivata al dodicesimo volume dura da quindici anni. Nella prima loro avventura il capo della omicidi era Maurizio Vivaldi, Meucci un semplice ispettore. Federico non esisteva ancora. Con il tempo i giovani sbirri sono invecchiati, hanno mutato forma, sostanza. Federico è emerso dalle retrovie, con la tradizionale gavetta. Un atto dovuto.

Torino al tempo del Covid. Hai trattato il tema in sottofondo, come base inevitabile di una storia ambientata nel 2020. Quanto ci è pesata la Pandemia?

La pandemia ci è pesata molto. Non è facile scrivere un libro, raccontare una storia, eludendo una tale tragedia. Il problema è che non bisogna però lasciarsi trascinare a fondo dall’emotività che questa ha comportato e comporta tuttora. Penso di aver trattato l’argomento in punta di piedi, con il dovuto rispetto, legandolo però fatalmente a un episodio preciso, quello della Val Susa. Anche questa una scelta precisa.

La conclusione del romanzo è estremamente amara. E’ un’amarezza dei personaggi e della vicenda o c’è qualcosa dell’autore?

Quello che vivono i miei personaggi è esattamente il mio stato d’animo. L’ho sempre detto, non è solo Maurizio Vivaldi il mio alter ego, ma la somma di entrambi, amici speculari e contraddittori, facce della stessa medaglia. Mi sono immerso in loro, nelle loro gioie e dolori, ho vissuto con loro e in loro da tanto tempo; forse proprio grazie a questi personaggi ho vomitato al mondo quello che avevo dentro, compresa l’amarezza che pervade irrimediabilmente il finale del romanzo. Un’amarezza che arriva da molto lontano, una tristezza malinconica e pervadente legata al mondo che cambia, a noi che invecchiamo e spesso ci troviamo in una posizione scomoda di inadeguatezza. E poi a quell’abitudine che hanno i nostalgici idealisti romantici, quella di voltarsi indietro troppo spesso e pensare a quanto erano belli i nostri tempi che non torneranno mai più.

Meucci e Vivaldi sono delusi e molto stanchi. Perchè ho avuto l’impressione che questa possa essere stata la loro ultima avventura?

Meucci e Vivaldi sono stanchi perché io sono stanco. Ripeto, questa è una serie che dura da quindici anni, con alti e bassi e con parecchi editori diversi. Forse hanno bisogno di riposare, meditare sul da farsi, attendere che qualcosa accada. Forse veramente non hanno più voglia di continuare, in fondo chi glielo fa fare?

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