Cultura
Nulla più come prima, intervista con Caterina Schiavon
Se mi dite che non stavate aspettando un’antologia con racconti sull’epidemia di Covid-19 e sulla quarantena devo confessarvi che non vi credo. Ed in effetti l’antologia è arrivata, si chiama Nulla più come prima – raccontare il mondo dopo l’epidemia e l’ha curata Caterina Schiavon per la torinese Neos Edizioni.
Un bel panorama di racconti, molto diversi tra loro, che non raccontano direttamente l’epidemia o la quarantena, ma ne parlano di riflesso, pechè il tema centrale delle storie è il mondo “dopo” l’epidemia, il mondo nuovo nato dalla fortissima esperienza che ha vissuto l’intera popolazione mondiale. Sul mio blog trovate come sempre la recensione completa del libro, intanto sappiate che i racconti presenti nell’antologia sono di Marco Amedeo, Egle Bolognesi, Luca Borioni, Giuseppe Busso, Giovanni Casalegno, Ernesto Chiabotto, Valeria De Cubellis, Ottavia Fiore, Silvia Forno, Arrigo Geroli, Annamaria Gonella, Giorgio Macor, Riccardo Marchina, Gian Luca Margheriti, Cesare Melchiori, Giuseppe Milano, Carla Negro, Fiorenza Pistocchi, Laura Remondino, Caterina Schiavon, Teodora Trevisan.
La curatrice Caterina Schiavon ha risposto alle mie domande.
La prima domanda è inevitabile: perchè un’antologia di racconti sull’epidemia e sulla quarantena?
Più che sull’epidemia l’intenzione era quella di immaginare il mondo dopo il Corona Virus. I motivi? Svariati. Ci siamo trovati all’improvviso immersi in una situazione surreale che ha prodotto incredulità e smarrimento. Disorientati da qualcosa di sconosciuto, un nemico invisibile che ha costretto ad alterare le nostre abitudini, avevamo la necessità e il desiderio di ritrovare una nostra trama. La narrazione come sappiamo mette ordine e dà un senso agli accadimenti che altrimenti risulterebbero incomprensibili, slegati tra loro e immersi in piccoli o grandi bacini caotici. Attraverso le storie mettiamo ordine nel disordine, inventiamo trame e percorsi. Queste funzioni del narrare ci sono note da sempre. L’uomo fino dall’antichità sente il bisogno di raccontare e di raccontarsi, di ascoltare e interpretare immagini e scritture. Narrare serve a capire, a non dimenticare, a fissare punti fermi. Quindi questa nostra raccolta voleva svolgere una funzione terapeutica: racconto dunque sono e continuo ad essere nonostante tutto. C’era poi l’idea di ritrovarsi in un progetto comune: far rete per condividere oltre alle ansie anche una ipotesi, un disegno e quindi un futuro: se scriviamo sul dopo Corona Virus vuol dire che un dopo ci sarà. Quindi emozione, desiderio di non lasciarci prendere dallo sconforto, voglia di non sentirci soli e al contempo la voglia di lasciare un segno di questo momento, un ricordo, una testimonianza.
In che momento avete deciso di realizzare questo instant book?
L’idea mi è venuta nel corso della seconda settimana di lockdown, quella peggiore, la settimana più spaesante, il periodo in cui ogni giorno ci giungevano cattive notizie e sempre più decise restrizioni. Non abbiamo voluto rinchiudere in zona rossa anche il pensiero e così abbiamo scritto.
Come avete scelto gli autori e cosa avete chiesto loro di raccontare?
Abbiamo diramato l’invito agli autori che ruotano intorno alla casa editrice e che sono protagonisti insieme ai loro racconti di numerose antologie della Neos; abbiamo poi pensato di coinvolgere anche alcuni allievi della Scuola di Scrittura Neos desiderosi di mettere in pratica ciò che avevano imparato durante il corso che si era concluso proprio appena prima del lockdown. Tutti hanno aderito con entusiasmo e tutti hanno rispettato i tempi di consegna che sono stati davvero stretti.
Ne sono venuti fuori racconti molto diversi tra loro, come stile e come genere. Cosa troviamo nella raccolta?
Il titolo della raccolta recita “Nulla più come prima, raccontare il mondo dopo la pandemia”. I racconti pubblicati nel volume sono ventuno e formano tre insiemi distinti. Ognuno di questi insiemi sviluppa il tema del cambiamento post Corona Virus in modo diverso.
Nel primo insieme gli autori pronosticano il ritorno alla situazione di normalità che precedeva la crisi e parlano più che di un vero e proprio cambiamento di un futuro appena velato da una incertezza in più. I racconti che formano il secondo insieme declinano l’idea di un mondo completamente diverso rispetto a quello pre epidemia all’insegna del “è andato tutto bene, abbiamo capito la lezione e ne siamo usciti migliori” o al contrario l’idea di una realtà distopica che immagina un domani altamente negativo. Il terzo gruppo narrativo immagina una prossima convivenza con la viralità che rifugge tanto da consolazioni rassicuranti, quanto da paure paralizzanti.
Nel testo troviamo storie di giovani che del virus hanno perso la memoria, di vecchi che ricordano o che vogliono dimenticare, di quartieri sorvegliati dai guardiani del coprifuoco, di donne che scoprono dimensioni nuove del vivere.
Nella raccolta c’è anche un tuo racconto. Come immagini tu il mondo che nascerà?
Lo ho raccontato con una metafora che associa la pandemia ad altre invasioni solo in apparenza meno mortifere del virus. Stiamo assistendo a disastri più o meno annunciati e rischiamo di perdere il contatto con ciò che dovremmo proteggere. Il mio racconto è una favola che si snoda nel tempo all’interno della mia città natale, Venezia, calpestata dal virus dell’indifferenza, dell’ignoranza e dell’eccesso. Ma io sono per il lieto fine realistico: la protagonista della mia storia rifonda un tempo nuovo dando spazio anche al ricordo della paura.
Infine la domanda che non si deve fare ad un curatore. Escluso il tuo, qual è il racconto che preferisci?
Considero questa raccolta un piccolo affresco collettivo: ogni racconto ha un valore di per sé ma è anche la micro sequenza di una narrazione complessa che tenta domande più che risposte.
Il racconto che preferisco è quello che emerge dall’insieme degli sforzi narrativi dei vari autori e che parla di paura, di speranza, di relazioni, di solitudine e di nuove visioni del mondo.
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