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Piemonte

Cesare Nosiglia: un Natale di speranza e coraggio per superare assieme la crisi

Redazione Quotidiano Piemontese

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L’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Cesare Nosiglia ha voluto inviare il suo messaggio di Natale.

Anzitutto, auguri di buon Natale a voi e ai vostri cari. La mia lettera di Natale Non temete, vi annuncio una Grande Gioia, che vi consegno, ci invita a superare o ad affrontare comunque qualsiasi situazione di difficoltà e sfiducia, con la certezza che possiamo contare sulla presenza amorevole e forte del figlio di Dio che si è fatto uno di noi per aiutarci e salvarci. Oggi viviamo in un mondo in ansia, dove predominano la paura, il timore di ciò che potrebbe accadere, l’insicurezza del domani per tanti giovani e famiglie con il problema del lavoro, della casa e della povertà. Il Natale è festa di gioia e di speranza: ci annuncia che non siamo soli a lottare e sostenere questa situazione e le dure necessità che la vita a volte comporta. Gesù è venuto per salvarci e non lo fa dal di fuori del nostro mondo, ma operando come fratello e amico dentro il tessuto concreto del nostro oggi e del nostro domani.

Malgrado tutto, il Natale ritorna a riproporre il suo messaggio di bene e di fiducia. Non è solo una festa pure bella e familiare – e dunque ricca di sentimenti positivi e incoraggianti –, ma un volano che può farci guardare al nostro domani con maggiore coraggio e determinazione nel credere alla forza del bene e dell’amore che lo accompagna. La crudezza di quanto sta avvenendo nel mondo e la cronaca quotidiana delle vicende drammatiche e dolorose che segnano la vita di tante persone, famiglie e popoli tarpano le ali alla speranza. Ma proprio qui subentra il messaggio del Natale: non temete, oggi vi è nato un Salvatore. Sì, non bastiamo a noi stessi: abbiamo bisogno di un salvatore, per cui la nascita di Gesù è fonte di nuova luce e certezza che non siamo soli a combattere contro ogni avversità.

Il dono del Natale è un bambino, una persona dunque e non un insieme di cose, anche preziose, e di regali spesso inutili. È la persona, ogni persona che ci vive accanto o è comunque giunta nel nostro Paese, il dono più bello e più grande; e noi lo possiamo essere per lui o per lei. Quando sono convinto di questo, allora posso vedere nel profondo le attese del mio prossimo e valorizzo ogni persona per quello che è, al di là di quello che mi può dare o non dare e di ogni altro rapporto puramente esteriore e strumentale, che non tocca il nostro cuore. Questa centralità della persona, rispetto ad ogni altro, pure importante, investimento finanziario ed economico, richiama in primo piano l’attuale situazione relativa al tema del lavoro nella nostra regione.

La crisi di tante aziende, che mi appellano per avere una concreta solidarietà da parte della Chiesa, mi colpisce profondamente nel cuore e mi sento impotente di fronte a situazioni che non si riesce a risolvere come vorremmo. Il lavoro è tornato ad essere il primo problema del nostro territorio e rischia di innescare una scia negativa a catena, che investe sempre nuove imprese e dunque produce anche nuovi e numerosi lavoratori che restano senza lavoro o con scarse possibilità per il proprio domani e quello della propria famiglia. Si dimentica che il capitale più prezioso di un’impresa, da salvaguardare e accrescere, è ogni persona che lavora. Il profitto e il proprio tornaconto, i guadagni finanziari e ogni altro risultato vanno commisurati a partire da chi lavora, che non può essere considerato una merce da spostare da un territorio all’altro, per ragioni spesso di ordine speculativo o di risparmio sul personale e sulle tasse, che purtroppo ogni Stato della comunità europea regola a suo uso e consumo, dimenticando che fa parte di un mercato comune e di un’unitaria legislazione sul lavoro, più volte auspicata e purtroppo mai decollata.

Il lavoro comunque non è solo un diritto primario di ogni persona, ma è anche il primo dovere di uno Stato e dunque di un governo e di ogni altra istituzione che voglia rispondere al suo vero fine di servire il bene comune. Anche la Chiesa ne è coinvolta e non deve e non può restare muta o ai margini di questo problema. Deve intervenire e far sentire la sua voce, esprimere la sua vicinanza e solidarietà effettiva e non solo a parole con chi si trova in questa situazione. Io prego pertanto il Signore, che ha lavorato e sa che cosa significhi non avere lavoro, di suscitare nelle coscienze di tutti coloro che hanno in mano 2 la sorte di tante imprese e dei loro dipendenti un sussulto di dignità e di umanità, che li spinga a cercare alleanze e solidarietà, perché di questo si tratta primariamente. Da parte della Chiesa di Torino ci sarà sempre il massimo di disponibilità e coinvolgimento in ogni grave e difficile situazione che coinvolga le persone e imprese del suo territorio. La disuguaglianza si combatte, e si vince, con la solidarietà e la conoscenza diretta tra le persone. Se invece ci si rassegna al fatto che oggi le vite di tanti, dei giovani soprattutto, devono essere precarie, il gioco è fatto. Ho sperimentato in più occasioni il valore del coinvolgimento diretto.

Vorrei ricordare la vicenda dell’ex Moi, dove soluzioni (lente, faticose, certo!) hanno cominciato ad emergere quando tutte le forze in campo hanno cominciato a parlarsi e a coordinare le proprie azioni. Ma vorrei ricordare anche come, in un passato recente, quando si agitava lo spettro dell’“invasione” di rifugiati extracomunitari, gli inserimenti più efficaci si sono potuti realizzare dove le singole comunità si sono fatte carico di poche persone concrete: una famiglia accolta in una singola parrocchia, un piccolo gruppo destinato a quel certo paese o quartiere. Allora è diventato molto più facile, naturale, trovare un appartamento per quella famiglia, un singolo “lavoretto” per quel padre o quel giovanotto che tutti avevano conosciuto…

Credo che ciò che conta di più, oggi come ieri, è che gli operatori economici, con spirito di solidarietà e di coraggio, sappiano cogliere l’importanza del nesso inscindibile che esiste tra scelte e indirizzi economici e il rispetto e la promozione integrale dell’uomo, della sua famiglia, del suo habitat naturale, dei tempi di lavoro e di riposo, traendone le dovute conseguenze sul piano non solo dell’etica personale, ma anche sociale. Allora, si potrà guardare al domani con rinnovata fiducia e speranza. Solo uno sviluppo buono ed un’economia che risponda anche a criteri etici sono in grado di sostenere la qualità della vita in tutti i suoi aspetti, compreso quello ambientale e quello propriamente spirituale della persona umana, della sua famiglia, del suo ambiente di vita. Le attuali difficoltà economiche fanno prevedere scenari difficili, che vanno attentamente considerati e prevenuti con un’accorta strategia, che veda le forze culturali (formazione), imprenditoriali, politiche e sociali agire insieme per gestire questa fase con accortezza e spirito di solidarietà, in vista di un patto sociale e generazionale che guardi al futuro del nostro territorio, valorizzi le imprese che malgrado tutto resistono e cercano sbocchi nuovi di mercato per affrontare l’attuale momento difficile.

Questo senza disattendere purtroppo le attese – e sono tante, nell’ambito delle piccole e medie imprese – di chi versa in difficoltà, tenendo in forte considerazione in particolare le famiglie monoreddito, minacciate dalla perdita del lavoro o dalla cassa integrazione o dalla mobilità. C’è una cosa che più di altre mi preoccupa, un rischio da evitare: che ci rassegniamo alla miseria o che ciascuno pensi a se stesso e non si preoccupi più di tanto se altri soffrono una situazione di gravi difficoltà. Nel territorio torinese, più che altrove, la crisi e i cambiamenti dei sistemi di produzione hanno aperto voragini mai viste. Oggi, diversamente da qualche anno fa, di questo sono convinti tutti: istituzioni, mondo dell’impresa, gli stessi lavoratori e le loro organizzazioni. Ma ecco, voglio dire questo: quando ci affanniamo a cercare soluzioni per una certa crisi, per un certo gruppo di persone, abbiamo un po’ tutti la sensazione che ci manchino gli strumenti decisivi non solo per risolvere un singolo caso, ma per affrontare problemi che hanno assunto carattere generale. Anche le istituzioni e chi dovrebbe reagire con proposte concrete e fattibili si limita alla denuncia o alla protesta, che lascia il tempo che trova. Vale per i senzatetto e per gli operai in cassa integrazione, per il problema della casa, così come per gli anziani rimasti soli e con pensioni insufficienti.

Vale per i casi sempre più numerosi di famiglie in cui non solo mancano i sostentamenti materiali, ma anche (e forse soprattutto) gli strumenti culturali per affrontare le situazioni più delicate. E vale soprattutto per tanti giovani che non trovano lavoro o, delusi e scoraggiati, non lo cercano nemmeno più. La disuguaglianza si combatte, e si vince, con la solidarietà e la conoscenza e condivisione diretta tra le persone. Bisogna mettersi in ascolto di chi soffre e vive situazioni difficili e non limitarsi a rispondere con mille parole vuote, che possono suscitare il consenso, ma non producono soluzioni appropriate per risolvere i problemi. Se poi ci si rassegna al fatto che oggi le vite di tanti devono essere precarie, il gioco è fatto. Allora non serve più lamentarsi, perché tutto resta immutabile e senza speranza e voglia di lottare 3 uniti, coscienti che le difficoltà di una persona – o addirittura di tanti – sono di tutti e tutti dobbiamo esserne solidali, anche se direttamente non ne siamo coinvolti.

Buon Natale! Il mio augurio ad ogni sacerdote e diacono, religiosa e religioso, famiglie e comunità cristiane è duplice. Anzitutto invito tutti, me per primo, ad avere il coraggio di credere e di sperare anche contro ogni speranza umana, perché il Signore è con noi ogni giorno e la fede in lui produce frutti fecondi di vita cristiana, anche nel cuore umano più arido e indifferente. In secondo luogo, auguro che proprio da questa fede scaturisca quella carica positiva e coinvolgente di carità, capace di condurre a celebrare il Natale gustando la stessa gioia di Dio attraverso il dono gratuito e disinteressato di se stessi per gli altri. Auguri per un sereno Natale nella vostra famiglia perché possiate, con l’aiuto del Divin Bambino, mantenere e irrobustire l’unità e la concordia, il dialogo e l’incontro responsabile tra sposi, genitori e figli, anziani e nipoti. Una famiglia come quella di Nazareth, dove si possa crescere insieme davanti a Dio e agli uomini. Auguri a voi bambini, ragazzi e giovani, perché Gesù, che si è fatto uno di voi, ha provato le vostre stesse emozioni, ha vissuto le stesse esperienze di famiglia e di amicizia. Su di lui potete dunque contare come Amico vero, sincero e fedele. Auguri a voi anziani, che nelle feste di Natale attendete un segno di prossimità più intensa e meno frettolosa da parte dei figli. Il Signore vi sostenga con la loro presenza e vi renda consapevoli del grande compito di testimonianza a cui siete chiamati verso i figli, nipoti e parenti. Auguri a voi, che vivete situazioni di dolore: la perdita di una persona cara, qualche malattia grave, divisioni in famiglia, solitudine o abbandono.

Il Salvatore che nasce è fonte di speranza e di vita nuova per chi crede in lui. Auguri a chi vive la situazione della crisi economica con preoccupazione per il mantenimento del lavoro, a chi deve trovarne uno nuovo in seguito al licenziamento, agli immigrati che senza lavoro rischiano di perdere il permesso di soggiorno. Il Divin Bambino ha dovuto subire fin dalla nascita situazioni difficili: egli saprà dunque condividere le vostre difficoltà e vi dà forza e conforto. Auguri anche per chi non ha con sé la famiglia o non ha più una famiglia di riferimento e ha scelto di vivere da solo sulla strada. C’è per tutti una grande famiglia di Dio, che è la comunità di coloro che celebrano nel Natale la nascita del loro Salvatore e si sentono uniti dalla stessa fede e dalla sua presenza nella Chiesa. Di questa famiglia tutti possono fare parte e sentirsi accolti, compresi, amati. Auguri agli immigrati, perché trovino un’accoglienza degna di ogni figlio di Dio e nostro fratello, e abbiano una prospettiva di inserimento nel tessuto produttivo e sociale del nostro territorio. Il Divin Bambino ha dovuto subire, insieme alla sua famiglia, fin dalla nascita la stessa situazione di straniero in terra d’Egitto: egli condivide perciò la vostra sofferenza e vi offre forza e conforto. Buon Natale a tutti e che il Figlio di Dio benedica con la sua presenza le vostre case, mentre assicuro il mio ricordo nella preghiera, che esprime la paternità e amicizia del vescovo verso ciascuno di voi.

Il messaggio natalizio dell’arcivescovi Cesare di Torino Cesare Nosiglia alle diocesi di Torino e di Susa

Cari amici, il vangelo di Luca racconta che la notte di Natale i pastori andarono alla grotta di Betlemme, dopo l’annuncio dell’angelo, e videro il bambino Gesù, che giaceva in una mangiatoia. La tradizione del presepe ci dice che essi portarono doni semplici, ma necessari, per Gesù e la sua famiglia, Maria e Giuseppe. Il Figlio di Dio, per cui tutto esiste, ha scelto questa via semplice e sofferente per entrare nella storia degli uomini: è nato in una famiglia povera, è stato rifiutato prima ancora di nascere, «perché 4 non c’era posto per sua madre e Giuseppe, nelle case della città», ed è stato deposto in una mangiatoia di una stalla in mezzo agli animali. Eppure, i pastori e successivamente i Magi venuti dall’Oriente carichi di oro, argento e mirra, riconoscono quel bambino come loro Dio, Messia e Salvatore.

I loro occhi sanno andare oltre le apparenze e la loro fede, nutrita dall’annuncio del Vangelo, sa vedere e contemplare il grande mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che si è fatto uomo. A Natale risuona lo stesso Vangelo di gioia e di pace: «Oggi vi è nato un salvatore, che è Cristo Signore». Dunque, anche per noi si ripropone oggi l’invito ad incontrare e vedere il Signore e riconoscerlo. Ci aiutano le parole stesse di Gesù, che dice: «Io ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere, ero straniero e mi hai ospitato, nudo e mi hai vestito, malato e mi hai visitato, in carcere e sei venuto a trovarmi». Non è facile vedere Gesù nel volto del povero e del sofferente: si fa finta di non vedere, per non impegnarsi; si vedono persone, che sono in difficoltà, ma non si ha tempo o voglia di aiutarle; si ha sempre così tanto da fare che spesso nemmeno in famiglia si “vedono” le persone, che appellano, in modo silenzioso ma concreto, al nostro amore.

Quante persone “invisibili” vivono nelle nostre città e paesi: esistono, hanno un volto, un nome, ma è come se non ci fossero, perché le consideriamo estranee e rifiutiamo di vederle, perché non sono “dei nostri”. Il mio augurio è che questo Natale 2019, segnato ancora da un’estesa di crisi economica, che grava su tante persone e famiglie, apra i nostri occhi illuminati dalla fede, per vedere le loro concrete necessità e farcene carico con quella prossimità di amore che ci ricorda Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose al più piccolo dei miei fratelli, le avete fatte a me». Così, il Natale rinnova la fede dell’incontro con lui, il Dio vicino, il Dio con noi, che viene a salvarci dal peccato di egoismo e di rifiuto degli altri e a donarci la speranza di vivere l’Amore, che porta la vera gioia.

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