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Cultura

Gli Agnelli, intervista con Antonio Parisi

Gabriele Farina

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E’ da poco uscito per Diarkos il libro di Antonio Parisi che risponde all’evocativo titolo Gli Agnelli. Il libro racconta gli aspetti più controversi e oscuri della famiglia che per oltre un secolo ha di fatto regnato sull’economia e su buona parte della politica italiana ed europea. Parisi pone l’attenzione in particolare sulla morte di Edoardo Agnelli, il figlio “scomodo” dell’Avvocato, trovato senza vita sotto un cavalcavia il 15 novembre del 2000.

Ricorderete quell’episodio come forse ricorderete i difficili rapporti tra Edoardo e il padre. Parisi va oltre e pubblica una serie di documenti che mettono in dubbio l’inchiesta (frettolosa) che sancì come suicidio la causa della morte di Edoardo. L’autore rimette tutto in gioco mostrando le incongruenze dell’epoca, i verbali, le testimonianze. Trovate qui la recensione completa del libro.

Antonio Parisi ha risposto alle mie domande.

Un libro coraggioso quello che hai appena pubblicato, che parte da una morte che i torinesi ricordano bene: quella di Edoardo Agnelli. Una morte ancora oggi avvolta da molti dubbi. Perchè hai deciso di riportare all’attenzione questa storia?

Ritengo che al pari di altri casi irrisolti, la morte di Edoardo Agnelli vada chiarita. Credo che in maniera forse un po’ frettolosa si è parlato di suicidio. Ci sono però almeno una ventina di dati che contrastano contro questa ipotesi. Tra questi lo stato del corpo del povero Edoardo, che fu ritrovato dopo essere precipitato da 80 metri di altezza, sostanzialemente intatto e con i mocassini ai piedi. Gli esperti mi hanno spiegato che dopo una caduta da quella altezza persino gli scarponcini ben allaciati degli alpinisti, volano via. Tra l’altro, come ormai acclarato dalla documentazione, mi chiedo perché non fu eseguita l’autopsia su Edoardo. Edoardo, spesso infangato in vita, era invece una persona che aveva avuto una vita difficile e problematica. Era buono Edoardo, studioso di religione ma forse disprezzato in famiglia. Nel libro si raccontano alcuni episodi in cui si comprende come veniva trattato. Una volta cercarono con un trucco di fargli firmare la sua cessione dei diritti Fiat. Toccanti alcune sue lettere al padre, l’avvocato Giovanni Agnelli. Altre di queste lettere sono dure: in una, chiamando il padre “Presidente della Fiat”, gli contesta un comportamento penalmente rilevante, rammentandogli che “scopo della Fiat è costruire automobili, non incrementare la corruzione in Italia”.

Nel libro non ci sono illazioni e nemmeno ipotesi. Ci sono documenti, ci sono le evidenze sulle contraddizioni dell’epoca. Mi sembra che tu non voglia convincere il lettore ma portarlo a ragionare, a porsi domande…

Io faccio il giornalista e pertanto debbo mantenermi il più possibile ancorato alla realtà dei fatti. Questo lo posso fare solo attraverso le documentazioni legali e attraverso le testimonianze di persone. Di carte ne ho consultate a bizzeffe e qualcuna è pubblicata nel libro. Tra le persone che ho intervistato c’è un malgaro di Fossano, Luigi Asteggiano, il quale afferma che il corpo era già sul greto del fiume, dove fu ritrovato, alle 8 del mattino. Secondo l’inchiesta invece Edoardo si sarebbe buttato dal viadotto “Romano” dell’autostrada Torino-Savona alle 10 del mattino. C’è una contraddizione importante. Qualcuno ha indagato in tal senso? L’amico di Edoardo, Marco Bava, prendendo spunto da queste contraddizioni ha cercato di far riaprire il caso. Dopo la pubblicazione del mio libro, Bava dice che ci potrebbero essere novità. Vedremo.

Ti occupi della morte di Edoardo e della famiglia Agnelli da anni. Hai avuto difficoltà nel trovare un editore disposto a pubblicare questo libro? O pressioni esterne perchè non venisse pubblicato?

Sono anni che mi occupo del caso e questo grazie a due persone. Uno il già citato Marco Bava e l’altro il giornalista Giuseppe Puppo. Quest’ultimo aveva scritto il libro “80 metri di mistero” sulla morte di Edoardo. Io intervistai Puppo preparando diversi articoli e realizzando anche un servizio televisivo sul libro. In breve mi trovai coinvolto anche emotivamente nella vicenda. Proprio a seguito della mia “competenza” sul caso, e la conoscenza approfondita sulle grandi “famiglie” europee, l’editore Diarkos mi ha chiesto di scrivere Gli Agnelli. Molti colleghi mi dicono che se fosse stato vivo l’avvocato Giovanni Agnelli non sarei riuscito a pubblicare il libro. Non so se veramente è così. Certo è che ci sono stati preoccupanti depistaggi da parte di sedicenti ambienti giudiziari ed investigativi di cui do conto nel libro e nelle note. Però voglio ricordare tre episodi non piacevoli. Il primo riguarda l’articolo da me scritto per il settimanale OGGI, con intervista ad Asteggiano. La proprietà della testata allora era riconducibile insieme con tutto il gruppo RCS agli Agnelli. Ebbene dopo quell’articolo clamoroso, pur pubblicato, io sostanzialmente non ho più collaborato con la testata, tra l’altro diretta da un grande giornalista come Umberto Brindani. Il secondo episodio si è verificato durante la realizzazione del mio servizio TV sulla morte di Edoardo. Volevo intervistare a Fossano l’uomo dell’agenzia funebre che aveva rimosso il corpo. Volevo sapere se ricordava lo stato del cadavere. Ero con Bava, Puppo con al seguito la telecamera e gli operatori. Ci vuoi credere? L’uomo si è barricato nel locale dove aveva le casse da morto e si è rifiutato di parlarci. Intanto i passanti cambiavano strada: avevano paura di essere intervistati. Non sembrava di essere in Piemonte, piuttosto avevo l’impressione di essere nella Sicilia di qualche anno fa.

L’ultimo fattaccio, si è verificato un po’ di tempo fa. Ero in compagnia di un collega del gruppo Rcs. Giravamo per Roma con una mia autovettura Nissan Serena e ci siamo fermati per prendere un caffe in prossimità della centralissima Piazza del Popolo. Avevo lasciato in macchina attrezzature fotografiche del valore di alcune miglia di euro ma anche una vecchia borsa, con dentro uno strano e corposo dossier sugli Agnelli giuntomi dal Brasile. Il contenuto di quelle carte era a dir poco delicato. Ebbene, entriamo con il collega nel bar posto a pochi metri, dopo qualche minuto siamo tornati alla vettura: abbiamo trovato i vetri rotti ma mentre le attrezzature erano state lasciate al loro posto, era sparita la borsa con il dossier. Per fortuna si trattava solo di fotocopie.

Nel libro allarghi poi il campo ad altri misteri nella storia/saga della famiglia Agnelli. Come mai secondo te è una storia così piena di lati oscuri?

Vi sono diversi misteri. Tra questi quello della morte del vero fondatore della Fiat, il conte Emanuele Cacherano di Bricherano, suicidatosi la sera prima di un consiglio di amministrazione Fiat in cui voleva chiedere conto a Giovanni Agnelli (nonno dell’avvocato Gianni Agnelli) circa l’amministrazione della Fiat, che fallì nel 1908. Vi sono misteri nella fine del papà dell’avvocato, Edoardo, morto il 14 luglio 1936,con la testa mozzata. Racconto della morte della madre dell’avvocato, la principessa Virginia di Borbone, morta anche lei con il collo spezzato mentre corre dall’amante. Anche il fratello dell’avvocato ebbe una fine oascura. Si tratta di Giorgio Agnelli, la cui morte è molto simile a quella del nipote Edoardo. Qualcuno potrebbe forse parlare di karma familiare e dell’azienda. In verità non solo gli Agnelli hanno una storia piena di tragedie e lati oscuri ma anche molte altre dinastie, si pensi alla famiglia Kennedy.

Gli Agnelli sono in fondo stati (o sono ancora?) gli ultimi regnanti d’Italia e di Torino. La Mole è ancora oggi legata a filo doppio a questa famiglia?

Dopo che Torino, nel 1865, perse il ruolo di capitale del Regno d’Italia, era in qualche modo alla ricerca di un riscatto. Non bastava a Torino la presenza di alcuni membri della famiglia reale, strategicamente lasciati nella ex capitale da Casa Savoia, ci voleva di più. Questo ruolo fu in qualche modo assunto dagli Agnelli, soprattutto dopo la caduta della monarchia nel 1946. Anzi nella Repubblica gli Agnelli sono stati una sorta di surrogato della regalità in Italia. Debbo dire che Gianni Agnelli e sua moglie donna Marella, in qualche modo il ruolo lo hanno svolto bene. Oggi però questo legame tra gli Agnelli è la Mole, credo non esista più. Quella sorta di magia che si era creata tra la famiglia e la città, credo sia perso.

Il libro mette in luce ovviamente le magagne della dinastia. Torino ha però avuto anche del buono dagli Agnelli?

C’è chi accusa gli Agnelli di aver sfruttato la città di Torino e l’Italia intera. Secondo me però la storia non è fatta solo di ombre ma anche di luce. Gli Agnelli hanno contribuito a far girare la “ruota” economica di Torino ed anche a dare un certo fascino alla città. Ora che non ci sono più credo si noti il “vuoto”.

Esiste nel mondo a tuo avviso una famiglia non regnante con una storia tanto importante e lunga come quella degli Agnelli?

Ci sono famiglie non regnanti che hanno per molti decenni occupato scranni economici di tutto rispetto. Si pensi ai Rockfeller, la cui storia si intreccia, tra l’altro, con quella dell’avvocato Agnelli. Vi sono i già citati Kennedy e vi sono poi altre famiglie potentissime di banchieri, che appaiono poco ma dal potere immenso, addirittura incalcolabile. Tra questi i Rothschild.

Speri che il tuo libro possa dare una mano a riaprire il caso della morte di Edoardo Agnelli?

Io spero di si. Secondo Bava, che ha inviato diversi esposti agli inquirenti, questa potrebbe essere la volta buona per riaprire l’inchiesta. Lo merita la memoria di Edoardo, il senso di giustizia che deve animare tutti, lo meritano i sacrifici di Bava e del collega Puppo, il quale ha dovuto lasciare Torino e trasferirsi a Lecce, dove dirige un apprezzato quotidiano on line.

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