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Cesare Nosiglia per Pasqua: ricostruiamo rapporti di solidarietà e di giustizia gli uni verso gli altri

Redazione Quotidiano Piemontese

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L’omelia dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia alla messa del Giorno di Pasqua.

Questa notte abbiamo vegliato in preghiera, per celebrare la risurrezione del Signore dai morti; oggi eleviamo a Lui la nostra lode, cantando: «Questo è il giorno di Cristo Signore, alleluia». È il giorno che appartiene a Cristo risorto, perché la sua Pasqua si rinnova veramente per noi e per l’umanità intera. Il peccato e la morte sono sconfitti per sempre e la vittoria sul male è non solo possibile, ma già realizzata in Cristo.

È questo l’annuncio di speranza che risuona nel cuore e nella vita dei credenti: Cristo, con il suo sacrificio, ha abbattuto quel muro di separazione e di inimicizia che esisteva tra Dio e gli uomini a causa
del peccato e che impediva di costruire una vera pace. Lui, Cristo morto e risorto, è dunque la vera pace, che compie l’unità tra gli uomini e li conduce alla piena comunione con Dio e tra di loro. Se Cristo non fosse risorto, afferma l’apostolo Paolo, noi saremo i più illusi di tutti gli uomini e saremo ancora schiavi dei nostri peccati. Ma Cristo è veramente risorto e su di lui possiamo appoggiarci per risultare vittoriosi anche della morte e di tutte le morti che ogni giorno sperimentiamo in noi stessi e nel mondo.

Questa certezza di fede sembra smentita dalla realtà che ci invade con la sua terribile concretezza: il male sembra prevalere sul bene, la morte di tanti innocenti sulla vita, la guerra sulla pace, l’egoismo e
l’odio sul perdono. Dov’è la potenza della risurrezione del Signore?
La risposta a questo interrogativo ce la offre San Paolo nella seconda lettura di questa liturgia: «Non sapete fratelli che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per
essere pasta nuova. Infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,6-8). Il lievito vecchio è la nostra scarsa fede e l’incapacità di usufruire della potenza della risurrezione per cambiare la nostra vita e
renderla santa e per questo produttrice di grazia e di amore per tutti.

Se un cristiano è lievito nuovo e pasquale nella sua famiglia, nel suo ambiente di lavoro, nella società, farà sì che tutta si rinnovi; se invece è lievito vecchio, carico di malizia e di perversità, tutto resta come prima e anzi il male si estende nel mondo. Quando vediamo tanta violenza e malvagità, puntiamo il dito accusatore verso chi commette tali azioni e condanniamo con forza ogni peccato. Ma quando dobbiamo partire da noi stessi, dal nostro cuore, e valutare la nostra vita cristiana, allora siamo deboli e acquiescenti, ci giustifichiamo sempre e non siamo capaci di cambiare radicalmente i nostri comportamenti, agendo con coerenza e fedeltà al Vangelo. È questa la sfida più concreta, ma anche la nostra forza, a cui non possiamo sottrarci. Il male ed il peccato del mondo non sono solo davanti a noi; sono purtroppo anche dentro di noi e noi ne siamo tutti responsabili.

Ma oggi, giorno del Signore, sappiamo che in Lui è possibile vincere il male e sperare in una vita rinnovata, in un mondo diverso. Quella tomba vuota, che Maria di Magdala e poi i due discepoli Pietro e
Giovanni hanno contemplato, è lì davanti a noi a dirci che la morte non ha potere su chi crede in Cristo, che la vita è più forte della morte, che l’amore è più forte dell’odio e della violenza, che la
speranza è più forte di ogni disperazione. Il discepolo «vide e credette» (Gv 20,8): chiediamo al Signore di poter vedere e credere sempre in Cristo, anche se a volte la vita di ogni giorno ci abbatte e il bene sembra più debole del male. Per vedere occorre amare: chi non ama non vede niente, non si accorge degli altri e non vede i segni del loro amore, gli appelli del loro cuore.

L’indifferenza verso il prossimo, la paura del diverso da noi, i pregiudizi verso chi consideriamo straniero e non dei “nostri” suscitano un clima culturale e sociale di sospetto, di rabbia, di aggressività e di rifiuto del più debole e indifeso. Allora vediamo di più il male che il bene e non sappiamo far vedere a tutti che in realtà Cristo risorto continua a salvare e redimere l’umanità attraverso tante persone che, nel suo nome, lottano e soffrono per edificare un mondo più libero e pacifico.

Dice il proverbio che fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. Ed è proprio così: anche qui, nel nostro ambiente, ci sono innumerevoli persone che, nel silenzio, costruiscono il bene,
operano con amore verso gli altri più poveri e bisognosi, compiono azioni di giustizia e di solidarietà senza suonare le trombe, vivono da risorti nella loro casa in mezzo a situazioni anche difficili,
aiutano a sperare chi è solo e scoraggiato. È una rete che non si spezza, perché è intessuta con il filo del sacrifico e del dono di sé, come la morte di Cristo, e per questo come Lui risorge sempre, anche
da ogni apparente fallimento e avversità. È più forte di tutto e non dispera mai.

Il nostro impegno è di far parte di questa schiera di risorti che, come lievito nuovo, fanno fermentare tutta la pasta della società. Chiediamo al Signore di misurarci su questo impegno senza paura, anzitutto nelle nostre famiglie, rinnovandone sempre l’amore e la pace; nell’ambiente di lavoro, ricostruendo rapporti di solidarietà e di giustizia gli uni verso gli altri; nella comunità cristiana, partecipando alla sua vita da responsabili e attivi protagonisti del suo cammino di evangelizzazione e di carità; nella società,
perseguendo vie di onestà, di impegno democratico e civile a favore dei più poveri e sofferenti; nel mondo, interessandoci alle necessità dei nostri missionari e delle popolazioni più misere e prive di una
vita degna dell’uomo.

Buona Pasqua dunque, carissimi, a voi e alle vostre famiglie, ai vostri anziani e malati e a quanti vicino a voi attendono segni di speranza e di perdono. Possiate fare Pasqua con Gesù risorto e tra voi, ogni giorno forti della fede che oggi professiamo e dell’amore di Dio, che ci unisce in Cristo nostro Signore.

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