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Mensa scolastica, Consiglio di Stato: sì al panino da casa

Redazione Quotidiano Piemontese

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Il Consiglio di Stato ha dato l’ok al diritto al pasto da casa al posto della refezione scolastica negando alle amministrazioni comunali il potere di impedire l’introduzione in mensa di cibo fatto dalle famiglie.

“Oggi, 3 settembre 2018, – scrive l’avvocato torinese Giorgio Vecchione, che da anni difende le famiglie che si sono rivolte ai giudici per permettere ai figli di portarsi il pasto da casa – il Consiglio di Stato, definitivamente pronunciandosi con la sentenza n. 5156/18 destinata ad avere un respiro di carattere NAZIONALE, interamente confermando la sentenza n. 1566/18 del TAR Campania, ha respinto l’appello del Comune di Benevento ed ha messo il suo sigillo sulla legittima esercitabilità del diritto al Pasto da casa in alternativa al servizio di refezione scolastica comunale”.

In primo luogo, scrive Vecchione “il Consiglio di Stato ha stabilito – accogliendo la tesi delle famiglie – che … “Vi è, anzitutto, un’incompetenza assoluta del Comune, che – spingendosi ultra vires – con il regolamento impugnato, impone prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa”.

Il Supremo Giudice amministrativo ha quindi annullato il regolamento comunale che interferiva illegittimamente con la circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca – MIUR n. 348 del 3 marzo 2017, che imponeva ai direttori degli Uffici scolastici regionali l’obbligo di rispettare le sentenze che riconoscevano la possibilità di consumare cibi portati da casa all’interno delle scuole, invitando, di conseguenza, tutti i dirigenti scolastici ad adottare le conseguenziali cautele e precauzioni per consentire l’esercizio del diritto. La scelta generalizzata del Comune di imporre il divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica, oltre che proveniente da un organo incompetente a dettare prescrizioni, è stata giudicata non supportata da concrete e dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene né commisurata ad un ragionevole equilibrio”.

E continua:

 

Tale scelta, in particolare …
“… limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici”.

Per poter legittimamente restringere una tale naturale facoltà dell’individuo, l’amministrazione avrebbe dovuto offrire la concreta prova di “dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali”. E tali ragioni, vertendosi in materia di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica.

“La restrizione praticata con l’impugnato regolamento – che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi – manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario”
Ed è proprio l’aspetto igienico sanitario, da sempre brandito dagli oppositori del diritto al Pasto da casa, che ha offerto al Consiglio di Stato l’occasione per confermare i principi già affermati dal TAR Campania.

“… l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico. L’inidoneità e l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla considerazione che non risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio igienico-sanitario”.

La tassativa e rigorosa prescrizione regolamentare che ha introdotto il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) si rivela, pertanto, affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito, oltre che incoerente rispetto alle altre occasioni che tradizionalmente vedono la libera introduzione di alimenti nei locali scolastici (merende).

Infine conclude:

“Alla INCOMPETENZA ASSOLUTA dei Comuni di incidere sull’organizzazione scolastica e sull’autonomia dei dirigenti, si accompagna, quindi il giudizio di assoluta IRRAGIONEVOLEZZA della scelta operata dall’Amministrazione comunale, più che altro motivata, surrettiziamente, da “mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato”.
Questo l’orientamento del Supremo Giudice Amministrativo, un giudizio che, unitamente alla consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa già formatasi, dovrà orientare le scelte di dirigenti scolastici ed amministratori locali”.

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