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Società

Il messaggio dell’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia per Pasqua

Redazione Quotidiano Piemontese

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Riportiamo qui di seguito l’omelia dell’Arcivescovo di Torino recitata durante la veglia di Pasqua 2018.

Il canto, che per tre volte è stato scandito all’inizio di questa solenne celebrazione della Pasqua, rivela, con il
suo profondo significato, l’evento di grazia che stiamo celebrando: è la fede in Cristo risorto, la luce che vince le tenebre del peccato e della morte per sempre e dona all’umanità la speranza della vita eterna.
Il cero, che d’ora innanzi sarà posto presso l’ambone sempre acceso nelle celebrazioni del tempo pasquale, ci ricorderà questa notte di veglia e di lode al Signore, che vive in eterno e che ci offre la sua luce per camminare con lui sulla via della vita. Sarà lì a ricordaci anche il dono che abbiamo ricevuto nel Battesimo, il sacramento che ci ha fatti cristiani e ci ha inseriti in Cristo come creature nuove, liberate dalla corruzione del peccato e della morte per sempre. È nel Battesimo, infatti, che siamo stati sepolti con Cristo nella sua morte, perché potessimo risuscitare con lui a vita nuova. L’apostolo Paolo ce ne ha indicato con profondità il senso e con vigore ci ha
detto: «Se siamo morti con Cristo, crediamo anche che vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rom 6,8-9.11).

I NOSTRI FRATELLI E SORELLE CATECUMENI, CHE SONO QUI tra noi e che tra poco riceveranno i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, cibandosi del Corpo e Sangue di Cristo, hanno adeguatamente approfondito e si sono spiritualmente preparati con fede e amore a ricevere questi santi segni pasquali. A loro rivolgiamo il nostro saluto e vivo grazie, perché CI PERMETTONO DI VIVERE QUEL MISTERO DELLA NUOVA NASCITA, che per noi, battezzati da piccoli, è
rimasto forse un ricordo lontano e sbiadito e che diamo forse per scontato.
Ma in questa notte siamo invitati dalla Chiesa a ripensare a quell’evento battesimale, che ci ha resi santi e santificati per grazia e che esige una risposta quotidiana di fede ed un cammino spirituale ed ecclesiale sempre più intenso, motivato e responsabile.

NON SI NASCE, INFATTI, CRISTIANI, MA LO SI DIVENTA; questo vuol dire che il Battesimo, dono gratuito come la vita, deve essere accolto, rinnovato e rivitalizzato continuamente come scelta personale di seguire Cristo, di credere in lui, di vivere nella comunità da attivi protagonisti della sua comunione e della sua missione nel mondo.
E il primo passo per diventare cristiani in ogni età della vita è la fede, da cui scaturiscono poi la vita di santità e la testimonianza. Senza la fede tutto si vanifica e si stempera ed il rapporto con Cristo e la comunità si riduce ad un fatto emotivo o sociologico, senza forza di conversione e di cambiamento della mentalità e della
vita. Curare la fede in Cristo diventa dunque il dovere primario per un cristiano e per ogni comunità. Una fede non solo individuale, ma ecclesiale, che si nutre della fraterna comunione con gli altri credenti e ricerca sempre l’unità per testimoniare insieme la Pasqua del Signore.

La fede pasquale, carissimi, non è solo atto individuale, ma comunitario. Tra poco rinnoveremo insieme le promesse del Battesimo. Quel noi, che scandirà la professione di fede, ci ricorda che solo nella Chiesa e con la Chiesa possiamo crescere nella comunione con Cristo e testimoniarlo poi nel mondo con coerenza e vigore. È dalla
Chiesa che riceviamo la Parola di Dio e i sacramenti; è nella Chiesa che possiamo viverli; e la Chiesa non è solo il contenitore di beni ed esperienze religiose, ma il soggetto vitale, come lo è la nostra famiglia, entro cui possiamo sperimentare l’amore di Dio e degli altri fratelli, per diventare una cosa sola in Cristo.
Le donne, che tornate dal sepolcro annunziano agli undici e a tutti gli altri discepoli la risurrezione del Signore, esprimono il compito di ogni credente: donare e ricevere la conferma della propria fede nella comunità, dove gli apostoli, primi testimoni della Pasqua, garantiscono la fedeltà e la verità della fede trasmessa di generazione in generazione. È questo il significato di quanto affermiamo nella professione di fede: «Credo la Chiesa». Non si crede
solo nella e con la Chiesa, ma si crede la Chiesa, nel senso che l’oggetto della fede cristiana è sì il Signore risorto, ma lo è anche a sua Chiesa che lo annuncia e lo testimonia.

Mi pare che, OGGI, SIANO TANTI, ANCHE I CRISTIANI E NON SOLO I LAICISTI, CHE VOGLIONO INSEGNARE ALLA CHIESA quello che deve fare e non deve fare; che si fanno maestri della Chiesa e non discepoli come dovrebbero; che rivendicano il diritto, soprattutto in materia morale, di seguire ciò che reputano giusto e valido, disattendendo l’insegnamento autorevole del Papa e dei Vescovi, in nome del primato della libertà di coscienza. Credere la Chiesa, al contrario, significa accogliere umilmente e con spirito di vera comunione quanto essa indica come via sicura per vivere il Vangelo e renderlo forza pasquale di vittoria sul peccato e su ogni forma di male, che distrugge i valori fondamentali su cui si fondano la vita umana, la famiglia, la giustizia e la pace. È una testimonianza da far risuonare anche quando forte è la tentazione di celarsi, di rassegnarsi, di lasciarsi condurre alla deriva dall’opinione prevalente e reclamizzata. Ricordiamoci, infatti, che non si può avere Dio per Padre, se non si
accetta la Chiesa per madre e maestra.

Il mio augurio, cari fratelli e sorelle, è che, alla testimonianza che la Chiesa in questa notte santa ci consegna solennemente, corrisponda la conferma della nostra fede. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto! Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.

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