Cultura
Le streghe di Atripalda, intervista con Teodoro Lorenzo
Racconti di sport. Questo è Le streghe di Atripalda, raccolta firmata da Teodoro Lorenzo per Bradipolibri. Torinese, ex calciatore, ora avvocato, Lorenzo ci aveva già regalato con il precedente “Saluti da Buenos Aires” una bella raccolta, che bissa in maniera intelligente con questi altri quattordici racconti.
Sono racconti che hanno lo sport per contorno, o magari al centro ma ne raccontano un aspetto, una parte, una riflessione. Sono racconti di vita, piccole vicende personali, piccoli eroi di provincia a cui lo sport ha dato molto. Trovate la recensione completa del libro qui.
Teodoro Lorenzo ha risposto alle nostre domande.
Quattordici racconti di sport in cui lo sport è solo un aspetto (importante) della vita dei protagonisti. E’ questo Le streghe di Atripalda?
n verità lo sport è solo un pretesto narrativo, la cornice entro la quale far muovere i personaggi e far emergere i loro sentimenti e le loro emozioni, che sono poi i veri protagonisti del mio libro.
Sono piccole storie, piccoli personaggi, piccole vicende che spaziano tra le più varie discipline sportive. Lo sport, un qualunque sport, può cambiare una vita?
Cambiarla, nel senso di stravolgerla, farle cambiare direzione sicuramente no, ma aiutarla, innervarla, renderla piena e sicura questo sì. Il percorso lo scegli tu ma lo sport, inteso come coagulo di valori, rispetto degli altri, disciplina, consapevolezza dei propri limiti e nel contempo desiderio di superarli con l’impegno ed il sacrificio, ti fa camminare sempre a testa alta.
Qual è il tuo rapporto con lo sport?
Cerco di viverlo ancora attivamente, compatibilmente con i miei anni non più freschi. Gioco sempre a calcio, quando mi chiamano sono sempre pronto a fare la borsa. Ma con il calcio ho un rapporto particolare. L’ho giocato per 18 anni. Ho cominciato a 10 anni nei bambini della Juve e ho fatto lì tutta la trafila delle giovanili. Poi ho fatto qualche anno di professionismo (roba piccola, serie C), quando mi sono laureato e ho cominciato a lavorare ho smesso non avendo più tempo. Giocare a calcio mi fa tornare bambino, e lo faccio con la stessa gioia.
Perchè hai scelto il racconto Le streghe di Atripanda per dare il titolo alla raccolta?
La scelta del titolo di un libro, così come della copertina, è sempre difficile. E’ il suo biglietto da visita e quindi va ponderato accuratamente. Il titolo non deve essere troppo banale ma nemmeno troppo difficile e quindi incomprensibile; deve essere suggestivo ed accattivante, dire qualcosa ma non troppo, evocare piuttosto che proclamare. “Le streghe di Atripalda” fra i miei racconti era quello che più si avvicinava a questi caratteri.
Questa raccolta arriva dopo Saluti da Buenos Aires. Quanti altri racconti di sport hai nascosto in quel cassetto?
No, i miei cassetti al momento sono vuoti. In realtà sto meditando l’idea di scriverne altri 14, trattare gli sport che sono rimasti fuori dai miei due libri e così completare la mia passeggiata letteraria nel mondo delle discipline sportive. Ma non è impresa facile e non so se riuscirò a portarla a termine. Spero che oltre ai cassetti non sia rimasta vuota di idee anche la mia testa.
Sei torinese e l’ultima domanda è inevitabile. Qual è il tuo rapporto con la città?
La sento intimamente affine alla mia natura. E’ una città che odia i fronzoli e bada alla sostanza, che pensa prima al dovere e poi al piacere, che mette il lavoro prima di ogni cosa, che non ostenta, ama la riservatezza e si sente appagata mostrando il suo basso profilo.
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