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Piemonte

Atleta 20enne colpito da ictus salvato in solo 80 minuti al San Giovanni Bosco di Torino

Redazione Quotidiano Piemontese

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Sono le 11,45 del 19 ottobre quando il ragazzo, 20enne atleta professionista del rugby si sveglia. Nel momento in cui si avvia a fare colazione però, improvvisamente si accascia a terra con il lato sinistro del corpo completamente paralizzato. In quel momento i compagni di squadra con cui vive in un comune alle porte di Torino, chiamato 118 che a sua volta allerta il Pronto Soccorso del San Giovanni Bosco, dove un tempestivo e rapidissimo intervento coordinato dei Neurologi e Neuroradiologi gli salva la vita, con completo recupero del deficit.

In soli 80 minuti dall’arrivo del paziente al Pronto soccorso, gli Specialisti del San Giovanni Bosco hanno lottato e vinto contro l’ictus, che in giovane età è spesso letale perché può subentrare un massiccio e incontrollabile edema cerebrale che, aumentando la pressione all’interno della scatola cranica, nonostante interventi neurochirurgici decompressivi, può portare al decesso del paziente.

Ecco il crono-racconto dell’intervento 

Ore 12,50: mettendo in atto una catena ben codificata, che prevede l’allerta del neurologo di guardia e la sala TAC della Radiologia, il paziente arriva in Pronto Soccorso dove trova già attivato il percorso ictus.

Cosciente e  vigile, ma plegico a sinistra, con gli occhi e lo sguardo deviati verso destra, il giovane viene immediatamente valutato dal neurologo di guardia e, monitorizzato, accompagnato in Radiologia.

Ore 13,10: viene sottoposto a TAC cranio, presente il Neuroradiologo interventista Simone Comelli: “L’esame non evidenziava alcuna lesione cerebrale, ma l’arteria cerebrale media destra all’origine era nettamente iperdensa, segno inequivocabile di occlusione recente del vaso – spiega – ottenute le scansioni basali dell’encefalo, mentre lo studio radiologico veniva completato con l’angio-TAC e la TAC perfusionale, abbiamo avviato la trombolisi endovenosa mentre era ancora sul lettino della TAC, solo 25 minuti dopo il suo arrivo in Pronto Soccorso”.

Ore 13,15: inizio della terapia con farmaco trombolitico e successivo completamento della TAC cranio.

Ore 13,40: in sala angiografica inizia anche la trombectomia meccanica per la rimozione del trombo.

Ore 14,09: conclusione della procedura con recupero delle condizioni neurologiche del paziente.

Il ragazzo è stato dimesso il 25 ottobre 2017 con ritorno al proprio domicilio in condizioni neurologiche di normalità.

Il 20 novembre verrà ricoverato presso la Cardiologia del San Giovanni Bosco per essere sottoposto a intervento di  correzione del difetto interatriale cardiaco che ha causato l’ictus.

“Nell’ictus cerebrale ischemico, l’attuale vero nemico è il tempo – commenta Roberto Cavallo, Direttore della Neurologia dell’Ospedale Giovanni Bosco – in ogni singolo minuto trascorso senza apporto di sangue e ossigeno muoiono milioni di cellule nervose ed è quindi di fondamentale importanza cercare di riaprire l’arteria occlusa nel più breve tempo possibile”.

“La trombolisi endovenosa spesso da sola non è in grado di riaprire l’arteria occlusa e per questo motivo, da qualche anno, la procedura di riperfusione cerebrale è completata con la trombectomia meccanica – ­ spiega Giacomo Paolo Vaudano, Direttore della Neuroradiologia dell’Ospedale Giovanni Bosco ­– al termine dello studio radiologico e mentre era ancora in corso la terapia trombolitica endovenosa, il paziente è stato trasferito in sala angiografica, dove il Dottor Comelli è riuscito a riaprire l’arteria cerebrale media destra, occlusa da un trombo di probabile origine cardioembolica. In soli 80 minuti dall’arrivo del paziente in Pronto Soccorso, le sue condizioni neurologiche sono migliorate rapidamente e in pochi minuti ha riacquistato completamente il movimento e la forza del braccio e della gamba sinistra”.

“Sicuramente la giovanissima età del paziente è stata una motivazione fortissima ad accelerare il più possibile ogni passaggio per tutto il personale infermieristico, tecnico e medico coinvolto. Questo dimostra però che se il percorso diagnostico-terapeutico stabilito viene messo in pratica da tutti, ognuno per la sua parte e competenza, si riescono ad ottenere ottimi risultati clinici – commenta Roberta Bongioanni, la neurologa che ha seguito il paziente durante i vari passaggi.

 

 

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