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Alessandria

Maestre d’Italia, intervista con Bruna Bertolo

Gabriele Farina

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Quali storie nascondono le Maestre d’Italia? Che ruolo hanno avuto nei primi anni dell’unità e poi negli anni successivi, fino al ventennio fascista e alla seconda Guerra Mondiale? Queste e molte altre domande trovano risposta nell’interessante volume di Bruna Bertolo, Neos Edizioni.

Sono tante piccole storie, storie di donne, spesso di giovani donne, che trovano nel loro insieme una forma nuova per diventare storia di un Paese. Sono storie di emancipazione, di lotta, di resistenza, di libertà, di politica vera. Sono le storie delle maestre di Senigallia, le prime ad avere il diritto di voto, le storie di Italia Donati, vittima di stalking ante litteram proprio perchè maestra.

E tantissime sono le maestre piemontesi presenti nel libro. Da Eugenia Barruero, la maestrina dalla penna rossa del libro Cuore, a Emilia Mariani, a Elvira “mamma” Pajetta Berrini, da Ada Billia Verzone a Camilla Ravera, prima senatrice a vita, da Clelia Montagnana a Ille Zanetta. E ancora Modesta “Tuska” Terreno, partigiana di lotta, come Ines Poggetto, o Lidia Rolfi Beccaria, deportata nell'”inferno delle donne di Ravensbruk. E molte altre ancora, protagoniste d’Italia. Trovate qui la recensione completa del libro.

Bruna Bertolo ha risposto alle nostre domande.

Da cosa nasce la necessità di raccontare le storie delle maestre d’Italia?

Da una decina di anni mi sono dedicata in modo particolare alla ricostruzione del ruolo della donna nella storia dell’800 e del 900, partendo dal significativo apporto nel Risorgimento, per poi continuare con la prima guerra mondiale e la Resistenza. Facendo le ricerche, negli archivi, nei giornali del tempo, mi sono resa conto che spesso le maestre avevano avuto ruoli significativi. Da qui l’idea di racchiudere in un volume le storie, anche personali, rintracciate e ricostruite. Un modo dunque per raccontare storie nella Storia. Spesso si ricorda la famosa frase attribuita a Massimo D’Azeglio Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli Italiani”. Un’espressione che sottolineava la necessità di creare una identità nazionale, attraverso l’uso di una lingua comune e che doveva necessariamente trovare nell’istruzione pubblica obbligatoria, non più basata sulla beneficienza, un mezzo per educare il popolo e renderlo anche, in un certo senso, fedele al nuovo ordine politico. Le maestre furono le grandi realizzatrici di questo progetto. Pensiamo al fatto che, nel 1861, su quasi 22 milioni di Italiani, gli analfabeti ammontavano a circa 17 milioni. Una storia dunque quella costruita attraverso il lavoro delle maestre che non poteva mancare nelle mie ricerche dedicate alle donne!

Sono storie private che raccontano la storia di un Paese. Quasi sempre però sono storie di lotta: emancipazione, rispetto, guerra, resistenza…

Nella mia premessa sottolineo il fatto che le maestre di cui parlo nel libro sono in grado di cambiare profondamente le abitudini di un popolo ancora schiacciato dall’ingoranza, capaci di soffrire e di trovare anche nella loro sofferenza i semi di un riscatto che ha attraversato la storia delle donne nella nostra Società. Maestre non soltanto di calligrafia e di calcolo, ma anche di lotte sul cammino dell’acquisizione delle pari opportunità di genere. Donne che non si tirano indietro nei momenti critici del Paese, soprattutto quelli della guerra, partecipando, spesso con enormi sacrifici personali. Maestre che scrivono pagine importanti nella Storia del nostro tempo, ma anche insegnanti preparate capaci di portare avanti discorsi nuovi nel campo della didattica, in grado di modificare, a poco a poco, in modo irreversibile, la concezione stessa del rapporto docente/alunno.

Leggendo il libro l’impressione è che tu abbia fatto un lavoro di ricerca enorme…

Il lavoro di ricerca è stato davvero intenso, lungo e direi coinvolgente. Quasi come entrare nell’intimità di ognuna di loro e riportarle in scena. Ogni ricerca storica è un modo per ridare vita a personaggi che altrimenti verrebbero sepolti dalla polvere del tempo e dall’oblio da parte degli uomini. Non c’è soltanto una macrostoria costruita da grandi personaggi, ma anche una microstoria in cui in fondo ognuno di noi è inserito. Ricostruire queste storie, spesso dimenticate, è importante. “la storia siamo noi”, dice una canzone di Francesco De Gregori. Una ricerca condotta su più fronti, a seconda del periodo considerato, e anche in varie parti d’Italia, con collaborazioni che sono venute da Archivi, da Associazioni culturali, da Musei, da Biblioteche, qualche volta anche da suggerimenti qualificati personali.

Moltissime sono le figure di maestre piemontesi presenti nel libro. Ce ne segnali due la cui storia ti ha particolarmente colpito?

Tra le maestre piemontesi, una delle più combattive, sia sul piano della didattica, che su quello della lotta per la parità di stipendio e di preparazione con i colleghi maschi, fu sicuramente Emilia Mariani, una delle prime interpreti del femminismo torinese. Non dimentichiamo che lo stipendio delle maestre fu per molto tempo inferiore a quello dei maestri! Emilia Mariani fu una delle protagoniste delle prime associazioni magistrali che lottarono per il tanto invocato “pareggio degli stipendi” ma anche per il passaggio delle scuole elementari dai Comuni allo Stato. Fu lei a fondare, nel 1905, la Sezione torinese femminile dell’Unione delle Maestre e a lottare, per tutta la vita, perché le donne potessero ottenere il diritto di voto. Un’altra maestra piemontese che vorrei ricordare è senz’altro Elvira Berrini Pajetta, conosciuta semplicemente come Mamma Pajetta: a lei in Piemonte sono intitolate molte scuole! Insegnava nelle scuole elementari del Borgo San Paolo, a Torino, un quartiere operaio pieno di fermenti sociali. Nel 1927, per una ritorsione fascista, fu privata della sua cattedra di maestra elementare per “essersi rifiutata di collaborare con la polizia nell’opera di stroncamento di attività delittuose”. Mamma Pajetta, alla fine della guerra, venne eletta, nel ’46, consigliera comunale a Torino con centoventiduemila voti di proferenza, diventano poi assessore alla pubblica istruzione nella prima giunta democratica della città.

Impossibile infine non fare un cenno ad una maestra, anch’essa piemontese, che è stata eternata dalla penna di Edmondo De Amicis: Eugenia Barruero.

Già, la famosa maestrina dalla penna rossa resa magicamente eterna nel libro “Cuore” da De Amicis. Un intero capitolo del libro è dedicato a lei, al suo essersi ritrovata, quasi a sua insaputa, protagonista di una storia immortale, lei che era stata insegnante di Ugo, figlio dello scrittore, presso la scuola Moncenisio di Torino da molti anni non più esistente. Sono passati 60 anni dalla sua morte. Abitava in largo Montebello dove una lapide ricorda ancora la sua figura. E rappresentava per la città un mito: nessuno sapeva chi fosse Eugenia Barruero, ma tutti si infiammavano per “la maestrina dalla penna rossa”. Un mito, dicevo, per Torino: come il Po, il Valentino, i gianduiotti. Quando morì, nel 1957, ci furono per lei funerali pubblici e l’ultimo omaggio le venne dalla copertina della “Domenica del Corriere” che la ritraeva ancora bella, sorridente, circondata dai suoi allievi, con le gote arrossate. Perennemente giovane, l’aveva disegnata così Walter Molino. Ma del resto i miti non invecchiano mai.

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