Cultura
L’Honda anomala, intervista con Pietro Ratto
Siamo nel dicembre del 2010 e un ispettore della Digos scova nella questura di Torino una lettera anonima con rivelazioni mai viste prime relativamente al rapimento di Aldo Moro, in Fani a Roma il 16 marzo 1978. Riguardano la famosa moto presente sul luogo e poi misteriosamente scomparsa dalle indagini.
Da questo evento di cronaca Pietro Ratto fa partire il suo L’Honda anomala, un saggio dettagliato e approfondito, edito da Bibliothela, raccontato come un vero e proprio giallo. Le indagini dell’ispettore e la ricostruzione di quanto accadde quella mattina fatte da un professore e uno studente. La Storia raccontata come se fosse una storia.
Ratto inevitabilmente non da risposte, ma apre scenari e fa ricostruzioni precise. Trovate la recensione completa del libro qui.
Pietro Ratto ha risposto alle nostre domande.
Una delle pagine più oscure del periodo più cupo della nostra Repubblica. Come mai su quanto è successo in quegli anni c’è ancora questa pesante coperta che copre tutto?
Su quello che è accaduto in quegli anni non si potrà mai far luce completamente. Le fortissime ingerenze straniere sulla nostra politica (in gran parte, ma non esclusivamente, americane) nonché la comunione di intenti di organizzazioni decisamente illegali come quelle legate alla mafia, al terrorismo, alla Loggia P2, in piena sintonia con vaste aree del mondo imprenditoriale e politico, dei servizi segreti e della Chiesa cattolica, sbarrano inesorabilmente la strada a qualsiasi onesta, oggettiva e disincantata analisi dei fatti storici.
Da cosa è nata la necessità di tornare a rimestare nella vicenda del rapimento di Aldo Moro?
Tutto comincia quando un collega, a scuola, mi gira una confidenza. Un amico di amici, ex ispettore della Digos, cerca qualcuno che racconti una storia nuova, diversa, sulla Strage di via Fani. Una storia su cui sostiene di aver indagato alacremente, fino al momento in cui qualcosa o qualcuno gli ha impedito di continuare. “Ratto, tu che sei uno che cerca grane”, esclama il collega in sala professori, alludendo alle mie ricerche e ai miei libri precedenti, “perché non gli parli tu?”
Così cominciano gli incontri, i dialoghi davanti a un caffè, le ricerche su documenti, su internet… La prima volta che ci vediamo è il 2 agosto 2016. Il 30 dello stesso mese, il libro è finito.
Come hai deciso invece di raccontare la storia come fosse un vero e proprio giallo?
La storia, purtroppo, è effettivamente un vero giallo. E non solo quella che riguarda questa oscura vicenda, bensì la Storia in generale, condizionata com’è dalle logiche e dalle narrazioni dominanti dei “vincitori”. Lo stratagemma forse un po’ nuovo, semmai, sta nell’aver intrecciato il racconto – scrupolosamente vero – delle indagini dell’ispettore Rossi, con un’immaginaria interrogazione sull’argomento, durante il colloquio orale di un Esame di Maturità. Un espediente per riassumere i capisaldi della vulgata riportata dai libri di testo – ma anche molti degli innumerevoli dubbi e delle infinite “casualità” che affollano anche solo i pochi minuti dell’agguato del 16 marzo e che non compaiono mai su nessun manuale di Storia – senza trasformare il libro in uno dei soliti trattati noiosi che nessun giovane leggerebbe mai. Perché è a loro, è soprattutto ai nostri giovani, che è indirizzato questo mio lavoro. Che a differenza di tutti gli altri pubblicati sullo stesso tema, è un libro incazzato. Un libro che prende posizione, che esige giustizia e verità con rabbia e con sarcasmo.
Tutto parte dalla Questura di Torino, che in quegli anni fu una delle aree più calde del paese. Secondo te come mai Torino divenne uno snodo così centrale?
Torino è la FIAT, soprattutto in quegli anni. È la sede delle grandi contestazioni operaie. L’epicentro storico delle maggiori battaglie sindacali, l’ambiente in cui prende forma il proposito rivoluzionario della lotta armata e del terrorismo marxista-leninista. Non a caso, è anche il punto di partenza e di ritorno di molti brigatisti, che da Torino si muovono (spesso in treno), per raggiungere le località in cui agire e per poi tornarsene rapidamente all’ombra della Mole.
La mia tradizionale ultima domanda: immagina una trasposizione cinematografica del libro (che peraltro non sarebbe per nulla una cattiva idea), quali attori ti piacere interpretassero i tuoi personaggi?
Io amo il cinema, ma lo confesso: ho il difetto di non ricordare molto i nomi dei vari attori..!
Sì, è vero. Credo che questo libro si presti molto a un’eventuale versione cinematografica.. Forse, limitandomi al “panorama” italiano, al posto dell’ispettore vedrei bene Giorgio Tirabassi. Nei panni dell’uomo di Gladio, pedinato dal Rossi e sospettato di esser stato a bordo della moto Honda presente in via Fani, vedrei benissimo Alessandro Gassman. Il ruolo del professore che interroga l’alunno all’esame potrebbe essere ricoperto egregiamente da un Alessandro Haber, da un Neri Marcorè o da Silvio Orlando, che nella parte del docente ha interpretato film davvero importanti sulla scuola italiana e sulle sue ipocrisie.
Un tema, quest’ultimo, che affronto direttamente nel mio prossimo libro, in uscita a giorni.
Un romanzo irriverente, decisamente contro la recente riforma demagogicamente chiamata “Buona Scuola”, in cui un professore controcorrente si trova a gestir da solo un istituto scolastico di milleduecento ragazzi e si inventa una didattica rivoluzionaria. Capace di interessare, appassionare e coinvolgere, insegnando loro a pensare con la propria testa e ad esser liberi ed autonomi da un punto di vista intellettuale e morale.
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