Cultura
Rabbia senza volto, intervista con Maurizio Blini
Sarà dal 27 ottobre in libreria e negli store online il nuovo romanzo di Maurizio Blini. Rabbia senza volto, Golem edizioni, è il ritorno all’azione di Alessandro Meucci, ormai diventato capo della sezione Omicidi della polizia di Torino.
E’ un giallo molto torinese, in cui la città ha tanta parte. A cominciare dagli omicidi, che si svolgono in riva al Po. Ritroverete quindi Torino seguendo i passi dell’indagine per cercare di scoprire chi può aver commesso una serie di omicidi mordendo le sue vittime e come questo sia potuto accadere.
Trovate qui la recensione dettagliata del romanzo.
Maurizio Blini ha risposto alle nostre domande.
Tornano Meucci, Vivaldi e i loro colleghi. Ci racconti come sono nati i tuoi personaggi principali ed il loro rapporto con Torino?
Alessandro Meucci e Maurizio Vivaldi compaiono per la prima volta in alcuni racconti raccolti nell’antologia «Giulia e altre storie», Ennepilibri Editore, pubblicato nel 2007. Da allora, hanno rappresentato la serialità nei successivi otto romanzi. Sono personaggi, così come i loro colleghi, ispirati da poliziotti veri, pertanto portatori di realtà vissute a cui aggiungo, come in una gustosa ricetta di cucina, un pizzico di fantasia. Quanto basta. I loro vizi e le loro virtù sono esattamente reali. Vivono la professione nella città di Torino arrivando da esperienze diverse e, nel tempo, sono divenuti amici inseparabili. Il loro rapporto con la città è simbiotico. Loro fanno parte della città, loro sono la città, proprio perché la città è protagonista pari a loro.
Da cosa nasce invece l’idea di questo romanzo?
Le idee nascono spesso per caso. E’ sufficiente osservare la città e la gente con curiosità. Ognuno di noi in verità ha una storia da raccontare. Bisogna lasciarsi attrarre fatalmente e poi prendere in mano la situazione. Lavorarci sopra con serietà. In Rabbia senza volto (Golem Edizioni) le storie sono parecchie. Di norma non mi limito mai ad unico percorso. Intreccio storie diverse, confondo le idee al lettore, lo porto a volte su false piste proprio per trovarlo impreparato nel finale e colpirlo con un colpo di scena. Tutto ha inizio con un cadavere ritrovato al parco del Valentino e una indagine rognosa per il buon Meucci. Ma, ripeto, questo non è che l’incipit di emozioni forti e scorribande per la città in un turbinio di capovolgimenti di fronte. Con un’ispirazione fatale nel finale.
La storia è coinvolgente e accompagna il lettore in una corsa continua fino alla soluzione. Però è una corsa puntellata di dubbi ed errori. Il tuo racconto non ci nasconde le debolezze dei protagonisti. Scopriamo degli uomini, più che degli eroi…
L’aver lavorato in polizia per oltre trent’anni mi ha indotto a scegliere questa strada. Nessuno è infallibile e i poliziotti non sono che uomini e donne dentro o dietro a delle divise. Possono sbagliare, esprimere i loro dubbi, limiti, debolezze, fragilità. Secondo me è proprio questo il punto di forza dei miei romanzi. Nessun supereroe ma persone semplici, assolutamente normali, simili proprio al lettore che si identifica in loro. La normalità diventa così un valore assoluto e condiviso e le storie più vere.
Torino ha un ruolo importante nella vicenda, non solo come luogo in cui si svolge il tutto. Qual è il tuo rapporto con la città e con i suoi cambiamenti degli ultimi decenni?
Torino è il centro di tutte le mie store anche se a volte sconfino nell’astigiano, luogo in cui ho vissuto per molti anni. La città è importante quanto un protagonista, non rappresenta solo lo sfondo, la mera location, ma vive con le sue dinamiche e la sua gente, con i suoi umori e frenesie. E poi Torino è una città in piena trasformazione. Una città che accoglie e che guarda al futuro. Ovvio considerare che la globalizzazione rappresenti anche se stessa attraverso una diversa criminalità, nuova, spesso più feroce e spavalda di prima, con diversi protagonisti figli di culture diverse e lontane tra loro. Il mio rapporto con la città in questo contesto è quello dello spettatore, osservatore. E’ importante registrare ogni singolo cambiamento, novità, rivoluzione, per poi raccontarla e descriverla nei romanzi.
Un gioco con cui concludo sempre le interviste. Immaginando una trasposizione cinematografica del romanzo, quali attori ti piacerebbe vedere nei ruoli dei tuoi personaggi? Sbilanciati, tanto è solo un gioco…
Per Maurizio Vivaldi sicuramente Pier Francesco Favino, Michele Placido, persino Diego Abatantuono nella sua veste drammatica. Per Meucci invece andrebbero benissimo Giuseppe Battiston o Bebo Storti. Tutti grandi attori.
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