Cultura
Il cadavere volubile, intervista con Massimo Tallone
E’ da poco uscito in libreria per i tipi di Frilli Editori “Il cadavere volubile” di Massimo Tallone. Si tratta della nuova avventura del Cardo, personaggio nato dalla fantasia di Tallone e capace di affascinare migliaia di lettori.
Il Cardo vive in uno dei cascinali sulla strada per la Palazzina di Superga, senza tv, telefono, letto, senze nemmeno serratura alla porta. Una sera però torna a casa e nel suo letto (che non è un letto) trova un cadavere. Parte da qui la nuova vicenda, quella che il sottotitolo ci presenta come “Incubo ad Avigliana per il Cardo”.
Trovate qui la recensione del libro.
Massimo Tallone si è prestato a rispondere ad alcune delle nostre domande.
Torna il Cardo e questa volta se la vede davvero brutta. Un personaggio unico nel mondo del giallo italiano. Ci racconti come è nato?
L’idea d’origine è stata una sfida, quella di inventare un personaggio ai bordi, lurido, quasi spregevole per stile di vita e vedere se era possibile renderlo così simpatico da suscitare affetto nel lettore. Come per vedere se una sorta di innocenza di base fosse percettibile su una scorza quasi oscena. Ho cominciato a interessarmi di individui ai margini, di ascoltare i loro discorsi, e infine ho plasmato la figura del Cardo.
La vicinanza tra la confusione del Cardo e la perfezione quasi soprannaturale di Ribò. Un abbinamento che funziona alla perfezione e ti serve anche per lo svolgimento dell’intreccio…
Il Cardo è talmente pasticcione e impreparato da non poter essere lasciato solo, quando la vita si complica. Perciò gli ho messo a fianco una macchina perfetta, fredda e determinata, impassibile e distaccata: Ribò. Dato che la forma scelta era quella del giallo comico ho pensato che potevo permettermi di giocare con i requisiti umani spingendomi al limite del verosimile.
Ho trovato davvero notevole la serie di capitoli in cui il Cardo si trova con una pistola puntata in faccia e pensa. Pensa per un tempo notevolmente più lungo del tempo reale a disposizione. Lo hai quasi fermato, il tempo, per portarci nella mente (contorta) del personaggio. Una soluzione tecnica ardita che tuttavia funziona perfettamente. Come decidi il modo di impostare il racconto?
Preparo con cura l’intreccio del romanzo, dopo aver delineato in anticipo la trama globale, antefatti compresi, che saranno svelati solo al termine, ovviamente. E cerco di distribuire con equilibrio scene dialogate, scene descritte, azioni concitate, riflessioni. E mi tengo sempre in canna il colpo della suspense: una o due scene di pura tensione da dilatare fino allo spasimo. Quella della pistola puntata era una di quelle.
Il Cardo vive sullo stradone di Stupinigi. Che rapporto ha il tuo personaggio con Torino e che rapporto hai tu con la città?
Cardo è sociofobico e clochard per scelta, perciò vive ai margini, in ogni senso. Ma è una creatura di città, figlio dell’humus umano delle periferie, amante della scomparsa individuale che la città regala. Per quanto mi riguarda, io e la città siamo una cosa sola, e anch’io adoro sentirmi una molecola indistinta nel vasto composto urbano. Le vie di Torino sono per lo più ortogonali e ciò fa sì che anche dal centro si vedano le montagne, in distanza. Ecco, a me piacerebbe invece vedere le vie intrecciarsi in ulteriori quinte urbane, con angoli nuovi e scorci edificati…
Un giochino che faccio sempre a fine intervista. Immaginando una trasposizione cinematografica del libro, quali attori ti piacerebbe vedere nei ruoli dei tuoi personaggi?
Purtroppo non posso rispondere a questa domanda perché una delle mie regole narrative è quella di dare poche informazioni circa le caratteristiche del volto dei personaggi, affinché ogni lettore crei una propria immagine. Se fornissi la mia versione rischierei di confliggere in modo disturbante con quella dei lettori…
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