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Economia

Dieci anni fa nasceva a Ivrea Arduino, la piattaforma hardware – software che ha cambiato il mondo e dato il via ai maker

Redazione Quotidiano Piemontese

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Dieci anni fa nasceva a Ivrea Arduino la piattaforma hardware e software open source che ha fatto crescere la generazione di maker. Arduino è nato a Ivrea nella Casa Blu era stata il centro studi Olivetti aIvrea e poi la sede dell’Interaction Design Institute dove Massimo Banzi ha insegnato dal 2002 al 2005 creando l’oggetto e il concetto che hanno rivoluzionato il mondo del digitale. Il suo nome deriva dalla caffetteria Arduino che si trova al numero 45 dell’omonima via in centro storico di Ivrea.

Arduino è uno strumento permettere di rilevare e controllare i dati del mondo fisico basato su una semplice scheda di sviluppo, e un ambiente di sviluppo per la scrittura di software per la scheda stessa.
Arduino può essere usato per sviluppare oggetti interattivi. Arduino trasforma la tecnologia in uno strumento creativo a disposizione di tutti.

Il sito di Make in Italy, la fondazione che ha realizzato Massimo Banzi con Carlo de Benedetti e Riccardo Luna, racconta la nascita di Arduino a Ivrea e i suoi passi successivi.

Banzi ci era arrivato “per caso”, senza nemmeno avere in tasca una laurea. Aveva preso il diploma di perito elettrotecnico all’ITIS (Istituto tecnico industriale statale) di Monza – la città dov’è nato il 20 febbraio 1968 – e poi aveva cominciato a frequentare Ingegneria al Politecnico di Milano. Ma i corsi universitari erano “noiosi” (“guardavamo slide tutto il giorno senza fare mai nulla di concreto”) e Banzi – uno che fin da bambino amava smontare e rimontare tutto – aveva presto lasciato l’università per tuffarsi nell’esperienza pratica: prima come webmaster per ItaliaOnline, poi a Londra con WorldCom e Sky.

Fino al 2002 quando, saputo che all’IDI cercavano il sostituto per un professore che improvvisamente aveva dovuto lasciare l’istituto, Banzi aveva deciso di fare domanda. L’istituto era diretto da Gilliam Crampton Smith, che aveva inventato il primo corso di interaction design del mondo al Royal College of Art di Londra, e aveva un’impostazione molto pratica e orientata al business, oltre che al design e alla tecnologia. Ma Banzi aveva capito presto che mancava qualcosa: gli studenti non avevano strumenti adatti a creare i prototipi degli oggetti che disegnavano; quelli disponibili erano complicati e costosi. Così era nato il Programma 2003, “il nonno di Arduino”, come lo definisce Banzi, che racconta: “Dal primo modello avevamo deciso di cambiare due cose, la prima era che la scheda doveva essere di colore blu e non verde. La seconda cosa era la forma, riconoscibile rispetto a tutte le altre”. Ma l’idea è rimasta la stessa: realizzare su una scheda grande come un pacchetto di sigarette e poco costosa (20 euro) un “computer” molto semplice, che chiunque – anche un bambino – può usare seguendo le istruzioni disponibili online, per creare quello che gli pare. Il tutto secondo la filosofia di condivisione e collaborazione della cultura digitale, perché tutti possono utilizzare Arduino liberamente: “La scheda è un semplice pezzo di hardware con licenza libera su cui gira un software open source – spiega Banzi -. Solo il nome è protetto, per il resto fateci quello che volete”.

A dieci anni dal suo debutto, avvenuto nel marzo 2005, è impossibile sottovalutare il ruolo giocato da Arduino nello sviluppo del movimento dei maker, la comunità di appassionati del “fai-da-te” che usa la “scheda blu” e le nuove stampanti 3D a basso costo per trovare soluzioni ai problemi più diversi. L’ha riconosciuto anche il presidente americano Barack Obama, che ha invitato Banzi alla prima Maker Faire tenuta alla Casa Bianca il 18 giugno 2014, giorno proclamato “National Day of Making”. “Adesso non avete più bisogno del permesso di nessuno per fare delle cose meravigliose”, aveva annunciato Banzi aprendo il Ted Global di Edimburgo nel 2012. E decine di migliaia di “inventori” l’hanno preso in parola.

C’è chi ha impiegato Arduino per comandare a distanza un macinacaffè, per togliere il volume alla tv quando parlano personaggi insulsi o per creare un’opera d’arte interattiva; un adolescente cileno, Sebastian Alegria, ha elaborato un sistema di monitoraggio dei terremoti prima di quello del suo governo; un gruppo di studenti ci ha fatto Ardusat, un satellite per esperimenti nello spazio aperto a chiunque ne abbia bisogno; persino il CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare) di Ginevra l’ha adottato per far funzionare un acceleratore di particelle. Arduino è poi un componente elettronico delle stampanti 3D di Makerbot, il produttore più famoso del settore. E grandi aziende come Apple, Google e Panasonic offrono prodotti integrati con Arduino. “Siamo solo agli albori di qualcosa di nuovo ed è impossibile individuare oggi il traguardo finale, ma in palio ci sarebbe qualcosa destinato a cambiare per sempre il significato di fabbrica, che in questo modo si avvia ad uscire dai mega capannoni per farsi rete, smaterializzarsi e diventare – al limite – il pc di casa”, ha scritto Riccardo Luna nel suo libro “Cambiamo tutto” (Laterza 2013).

La manifattura delle schede Arduino segue già un modello “a rete”: si svolge soprattutto nel Canavese, vicino a Ivrea e fa leva sulle competenze sviluppate in quell’area dai tempi d’oro dell’Olivetti. La progettazione e il disegno sono a cura di Smart Project, fondata nel 2004 dall’ingegnere elettronico Gianluca Martino, che è anche uno dei co-fondatori di Arduino (*). System Elettronica invece stampa i circuiti: il suo titolare Ludovico Apruzzese “vive il circuito stampato come se fosse una forma d’arte”, racconta Banzi. “Per fare il colore blu giusto c’è voluto un anno”, ha ricordato Apruzzese nel web documentario “Arduino: Creare è un gioco da ragazzi” di Andrea Girolami e Opificio Italia, per Wired. L’esempio del Canavese suggerisce che il matrimonio fra una nuova tecnologia come Arduino e la tradizione di distretti industriali basati su piccole e medie imprese può aprire nuove opportunità per il made in Italy, soprattutto se anche gli imprenditori si convertono a una mentalità collaborativa. Intanto Arduino nel 2011 ha aperto a Torino le Officine Arduino, il primo Fablab (laboratorio di fabbricazione digitale) italiano, dove macchine come le stampanti 3D sono messe a disposizione di chi vuole costruire prototipi per le sue invenzioni.

E alla Maker Faire Rome dell’ottobre 2014 Arduino ha lanciato la sua prima stampante 3D, Materia 101, progettata e realizzata insieme a un’altra eccellenza italiana, l’azienda Sharebot di Nibionno (Lecco), che condivide la stessa filosofia open source e DIY (Do It Yourself o “fattelo da solo”). Il nome e il look – disegnato dallo studio ToDo – sono un richiamo esplicito alla P101, alla sua semplicità d’uso e alla sua accessibilità anche per i non super esperti. È una sorta di “cubo” bianco – grande 31x33x35 centimetri -, pesa solo dieci chili ed ha un costo abbordabile (603 euro se in kit o 736 euro se assemblata, più Iva). Per stampare utilizza la tecnologia Fused Filament Fabrication, ovvero filamenti di acido polilattico (PLA), un materiale termoplastico e biodegradabile. Con Materia 101 o con altre stampanti 3D collegate alle schede Arduino, la creatività dei maker non ha limiti. E se un prototipo funziona, l’inventore può testare il mercato chiedendo il supporto finanziario diretto dei potenziali clienti attraverso le piattaforme di crowdsourcing come Kickstarter, fino a fondare una startup e avviare un vero business. “È un altro frutto della democratizzazione avviata da Internet”, osserva Banzi. Tutto era partito dal bar di Ivrea che ha ispirato il nome della scheda blu: l’Antica Caffetteria Arduino. Era lì che Banzi e i suoi studenti dell’Interaction Design Institute si fermavano fino a tarda notte per discutere dei loro progetti. Meriterebbe una targa da “locale storico” per l’innovazione italiana, come quella che c’è a Paolo Alto davanti al garage di Bill Hewlett e Dave Packard, “luogo di nascita della Silicon Valley”.

 

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