Piemonte
Per Piero Fassino: Renzi interpreta bene quella che è sempre stata la mia idea di sinistra
Il sindaco di Torino Piero Fassino prima delle vacanze ha rilasciato una lunga intervista a Libero in cui parla del suo passato, presente e futuro e in cui parla del suo rapporto con il premier MatteoRenzi
Lei è stato il primo ex comunista ad abbracciare Renzi. Opportunismo?
«Coerenza con la mia storia. Aderii con convinzione alla svolta della Bolognina, perché condividevo con Occhetto la consapevolezza che era necessaria una fase nuova. Quando mi candidai alla segreteria dei Ds, nel 2001, lo feci con lo slogan “O si cambia o si muore”».
Ma cosa può avere lei in comune con un ex democristiano?
«Renzi interpreta bene quella che è sempre stata la mia idea di sinistra. Quando fui eletto segretario dei Ds, nel 2001, dissi: io credo in una sinistra che non ha paura di misurarsi con il mondo che cambia».
Fatto sta che voi ex Pci avete consegnato il partito a un ex scout Dc. Non lo reputa un fallimento?
«Affatto. Il Pd è nato per dare all’Italia un grande partito che interpretasse i valori di progresso e liberazione e Renzi li esprime pienamente, tant’è che è con lui che il Pd ha preso oltre il 40%. E in lui si identificano tantissimi come me che vengono da una storia di sinistra».
Appunto, nessuno di voi c’era mai riuscito prima. Come mai?
«Io ho fatto il Pd per superare il 40%, ma non sta scritto da nessuna parte che bisognava arrivarci il primo giorno. Senza la decisione dei Ds e della Margherita di fondersi, il Pd non sarebbe mai nato. E come un neonato, nei suoi primi anni di vita non poteva che essere fortemente dipendente da chi lo aveva generato. Oggi il Pd è nella fase dell’adolescenza e afferma la propria indipendenza dai genitori, con i quali qualche volta può anche essere in conflitto».
Alla faccia del conflitto: Renzi prima ha rottamato i genitori, poi ha ucciso l’ex vicesegretario del Pd per prendere il suo posto a Palazzo Chigi.
«Io sono uno dei pochi che, nei giorni difficili in cui si è arrivati al cambio di Letta al governo, gli ha espresso gratitudine, perché Enrico si è caricato l’incombenza di guidare il Paese in un momento difficile e ha dovuto fare scelte impopolari. Ma quell’esperienza si stava consumando rapidamente nel rapporto con l’opinione pubblica».
Quindi ha fatto bene Renzi a farlo fuori dopo avergli detto «stai sereno»?
«Non è che ha fatto bene… ha preso atto che c’era una consunzione di credibilità. Non di Letta come persona, ma della sua esperienza di governo. E se non s’interveniva con un fattore di rottura, quella situazione sarebbe degenerata ulteriormente pregiudicando non solo un governo, ma una prospettiva politica. Ho fatto il segretario di partito per sette anni e so bene che ci sono momenti in cui un leader è chiamato a fare scelte difficili, che passano anche per qualche ingiustizia umana. Lo dico avendole anche vissute sulla mia pelle».
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