Lavoro
Le professoresse italiane: sulla cinquantina, soddisfatte, ma poco considerate – Indagine Talis sulla scuola media
Passano più tempo dei genitori con i bambini, ma non per questo viene riconosciuto loro un ruolo sociale (ed economico) della giusta importanza. Gli insegnanti sono una casta solamente perché il Ministero dell’Istruzione non bandisce più concorsi per entrarvi in pianta stabile, non certo per un elitarismo che non appartiene a chi, otto ore al giorno, cerca di insegnare qualcosa di utile per la vita futura ai nostri figli. Come mostra l’indagine Talis sul 2013 (questionari compilati in oltre 30 Paesi e relativi alla scuola media inferiore), l’identikit del “prof” italiano fa riflettere: donna, sulla cinquantina, sicura dei propri mezzi didattici e altrettanto convinta che il proprio lavoro non sia adeguatamente valorizzato dalla società.
Veniamo ai numeri. L’87% dei docenti italiani delle scuole secondarie di I grado ha fiducia nelle proprie capacità di motivare gli studenti, superando di gran lunga il 70% di media nei Paesi Talis e in controtendenza è anche il dato relativo al saper portare gli studenti a credere nelle loro possibilità di raggiungere buoni risultati: il 98% degli insegnanti italiani dichiara di riuscirci, contro il “solo” 86% di media negli altri Stati. L’88% dei professori e professoresse nostrane pensano che l’insegnamento sia poco considerato nella società in cui vivono, ma, nonostante questo, il 94% si dice comunque soddisfatto del proprio lavoro. Eroi moderni, si potrebbe pensare, considerando anche il fatto che in Italia si svolgono poche attività di sviluppo professionale (nel 75% dei casi contro una media dell’88%) e che solo il 30% degli insegnanti riceve una valutazione formale del proprio operato da parte dei dirigenti scolastici (contro il 93% degli altri Paesi). Un feedback informale viene invece ricevuto da altre fonti della scuola da poco più della metà (58%) degli insegnanti, rispetto ad un lontanissimo 88% in altre nazioni.
Dall’indagine Talis emergono però anche alcuni fattori negativi sulle attività svolte nelle nostre aule. In Italia il metodo di valutazione degli studenti è ancora nella quasi totalità dei casi (l’80%) l’interrogazione davanti all’intera classe, metodo che ormai utilizza solo il 49% dei colleghi stranieri; i prof italiani lavorano poco, 29,4 ore alla settimana contro le 38,3 di media Talis, meno di noi solo i cileni, mentre risultano irraggiungibili gli stacanovisti giapponesi con 54 ore. Mancano i computer, i materiali didattici e il personale di supporto alla didattica (in Italia 1 unità ogni 60 docenti, media Talis di 1 a 14), è vero, ma il rapporto di studenti per insegnante è più basso che altrove (9,8 quando in Francia o Inghilterra è di 13,6 ed in Giappone di 20).
La distinzione di genere è molto forte, essendo il corpo docenti del Belpaese composto principalmente da donne (79%) che hanno in media 49 anni (6 in più dei pari ruolo all’estero, dato che fa della classe insegnante italiana la più vecchia dei 33 Paesi Talis) di cui 20 di esperienza (la media è di 16 anni). Parti invertite per quanto riguarda invece i dirigenti scolastici, uomini nel 45% dei casi, più anziani (57 anni) e capaci di gestire complessi scolastici più grandi della media: 795 alunni, 86 insegnanti e 24 unità di personale non docente nel nostro Paese, contro 546 studenti, 45 professori e 24 collaboratori.
In ultimo, la valutazione si sposta sui precari: come prevedibile, i prof a contratto in Italia sono il 18,5%, quota quasi doppia rispetto alla Francia (9,8%) e alla media raggiunta altrove del 10%, che ci pone nelle ultime posizioni, superati solo da Cile, Romania e Cipro.
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