Cronaca
Contro le mafie non eroi, ma persone normali – presentato il documentario su Bruno Caccia
“Il dovere è una cosa semplice, si deve fare e si fa. Sembrano cose ovvie, ma di un’ovvietà che, se messa in pratica da tutti, potrebbe smuovere le montagne”. Sono le parole di Bruno Caccia, capostipite piemontese dei magistrati martiri di mafia, lette dalla voce ancora tremante trent’anni dopo della figlia Cristina. Al suo fianco la sorella Paola che ricorda ad un cinema Massimo stracolmo i due modi migliori per ricordare suo papà: da un lato cercare la verità dietro la sua morte, con lo stesso “accanimento” con cui era solito farlo il Procuratore della Repubblica, ma non chi indagò sul suo assassinio; dall’altro far conoscere i valori a cui Bruno Caccia si ispirava, valori positivi e proiettati nel futuro che oggi si sostanziano nella cascina a lui dedicata a San Sebastiano Po, un bene confiscato alla mafia, precisamente a quel Domenico Belfiore, accertato mandante del suo omicidio e unica persona a pagare finora.
A gestire quella cascina in cui ora si produce il miele della legalità (e le nocciole)è l’associazione Libera Piemonte che della lotta alle mafie ne ha fatto una missione e che ieri sera presentava insieme alle figlie, al neopensionato giudice Gian Carlo Caselli e al direttore de La Stampa Mario Calabresi, il documentario “Bruno Caccia – Una storia ancora da scrivere”.
Il cortometraggio realizzato da Elena Ciccarello, Davide Pecorelli e Christian Nasi riprende un capitolo della storia torinese ormai perso nei ricordi e cerca di rendere giustizia ad un uomo integerrimo, che “non faceva sconti a nessuno”, ma la cui fine rimane avvolta nel mistero (la famiglia sta provando a chiedere la riapertura del caso)
L’ex Procuratore della Repubblica di Torino Caselli ha ricordato come persone come Caccia siano “creatori di credibilità grazie al loro lavoro, esempio e sacrificio”, in un’Italia in cui “lo Stato ha ancora la faccia di certi personaggi che con la mafia ci convivono e ci fanno affari”.
I recenti sviluppi del processo Minotauro dimostrano che la mafia al Nord esiste, ma non possiamo esserne stupiti perchè il giudice Caccia l’aveva scoperta oltre trent’anni fa e per questo è stato ammazzato.
Gli fa eco il direttore Calabresi che ricorda come
Chi fa rispettare la legge non deve essere definito come “eroe”. Chi fa rispettare la legge è una persona normale che compie il proprio dovere. Altrimenti passa il concetto che la normalità sia girare la testa dall’altra parte, essere collusi.
Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese