Cittadini
Chiamparino: il sindaco a più facce
Mentre secondo lo Spiffero si stanno facendo i primi nomi di una eventuale e futuribile giunta regionale Chiamparino con Chionetti, Saitta, Morando , Soave e Chiama, il Giornale racconta senza filtri alcuno passaggi della carriera di Chiamparino.
il 15 gennaio, quando il neo candidato ha annunciato le dimissioni dalla poltrona dorata della Fondazione San Paolo, per candidarsi (quando sarà) evitando (fin d’ora) «di coinvolgere la Compagnia in vicende politiche rispetto alle quali deve restare estranea». Tutto molto virtuoso, com’è nello stile del Chiampa, che è, sì uomo di mondo, ma soprattutto un furbacchione. Infatti non perde occasione per avvantaggiarsi, velando però i suoi appetiti con piroette e dinieghi di maniera.
Per esempio, scaduto da sindaco di Torino, l’amico e successore, Piero Fassino, lo sondò per la presidenza della Compagnia San Paolo. Chiampa declinò, dicendo: «Il mondo è pieno di banchieri che non sanno fare il mestiere». Sembrava un’onesta ammissione di incompetenza. Invece, in capo a qualche mese, «cedendo alle insistenze» accettò l’incarico «per spirito di servizio», diventando tra le massime e remunerate eminenze grigie peninsulari. Anche adesso, che dopo due anni se ne va, motiva nobilmente la sua uscita col desiderio di preservare la Compagnia dalla politica. Ma non si chiede se non strida la sua attuale presidenza bancaria con la prossima candidatura alla Regione senza metterci in mezzo un congruo intervallo, che fughi ogni sospetto di intrecci. Compito principale della Compagnia è, infatti, finanziare benevolmente attività culturali, istituzioni artistiche, teatri e musei. Quanti enti e persone beneficate in questi anni dal presidente Chiamparino saranno, per ciò stesso, indotte a votarlo Governatore? Ed è solo uno degli interrogativi che si potrebbero porre sul conflitto di interesse.
Ma col Chiampa i torinesi sono di manica larga per i suoi passati meriti di sindaco. Un mito coltivato dalla Stampa, prediletto quotidiano cittadino, che lo ha coccolato come un puttino sapendolo un protegé dei proprietari, gli Agnelli. Ascoltate il tono turiferario col quale giorni fa ha accolto la sua discesa nella lizza regionale: «Squillino le trombe, rullino i tamburi:… è tornato… l’ex sindaco oggetto di culto a Torino e per una piccola pattuglia di buongustai della politica nazionale… lancia la sfida… il dado è tratto». Ave Caesar. La foto a corredo mostra la faccia del Chiampa col mento sul pugno, tipo pensatore di Rodin, e la didascalia: «Ha legato la storia del suo mandato alla rinascita della città». Sviolinata che fa il paio con le foto che per un decennio La Stampa ha pubblicato mostrando il sindaco che raccoglieva la carta gettandola nel cestino, carezzava bambini e altri miracoli.
Se invece accantoniamo i pifferi, il sessantacinquenne Chiampa – famiglia operaia, laurea in Scienze politiche, una vita nel Pci-Pds-Ds-Pd da moderato – è stato un sindaco a più facce. Suo maggiore successo sono state le Olimpiadi invernali del 2006 e connessa modernizzazione di Torino con la costruzione della Metro. L’imperdonabile delitto è la voragine di debiti in cui ha sprofondato la città, che gli è valsa il nomignolo di Indebitetor. Nonostante avesse ricevuto dallo Stato 1,2 miliardi per i Giochi invernali e 0,5 miliardi per il centocinquantenario dell’unità d’Italia, ha lasciato buffi per cinque miliardi (il triplo dell’1,7 che aveva trovato). Si calcola non basteranno due generazioni per pagarli (2040 circa).
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