Seguici su

Cronaca

Il patto dell’acciuga: la storia della nascita di Eataly a Torino da un attovagliamento di Chiamparino e Oscar Farinetti

Redazione Quotidiano Piemontese

Pubblicato

il

farinetti.chiamaprinoBlitz Quotidiano rilancia un articolo di Libero dal titolo come Chiamparino apparecchiò per Farinetti che racconta le genesi di Eataly a Torino a partire da un incontro a tavola del suo fondatore Oscar Farinetti con l’allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino descritto nel libro biografico di Farinetti

«Esageruma nen». Non esageriamo, in dialetto sabaudo. Sono queste le parole con cui l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino avrebbe stoppato le richieste eccessive del suo amico Natale Oscar Farinetti, l’imprenditore albese che gli chiedeva la concessione gratuita per 99 anni dei capannoni della Carpano, storica fabbrica di vermouth torinese, per aprire il suo primo supermercato degli «alti cibi», meglio conosciuto come Eataly. Lo si apprende sfogliando la biografia (autorizzata) di Farinetti, «Il mercante di utopie». «Esageruma nen» dunque. Siamo nel 2004, in piena euforia da Olimpiadi invernali (Torino 2006) e Chiamparino al vecchio compagno di mangiate affidò l’area per «soli» 60 anni. Ma le modalità lasciarono perplesso più d’uno.

I due erano seduti allo stesso tavolo a Ca’ del re (un nome, un programma) a Verduno (Cuneo) «con l’oste che appoggiava sulla tovaglia bianca e gialla piatti vari di peperoni agrodolci, tomini al verde, pomodori ripieni. E acciughe,appunto. Acciughe buonissime. Oscar era lì perché voleva il suo opificio (la fabbrica Carpano ndr). Chiamparino perché amava le Langhe». La storia della scalata di Farinetti al sindaco è pura poesia: «La cena era cominciata bene, intercalando frasi in dialetto, cosa che per una certa generazione è già prova di riconoscimento. Di fronte a un sindaco di centrosinistra Oscar aveva subito chiarito la sua posizione – di sinistra e non tiepidamente ».

Sergio Chiamparino si mise nel piatto altre acciughe e annuì: “Raccontami meglio questa Eataly”». Farinetti rispose: «Guarda un po’ qui Sergio. Ecco che cosa voglio fare». Il sindaco concluse: «Mi piace. Porterà ricchezza alla città e cultura». E il libro ci spiega che«in quel modo si sancì l’amicizia, con la complicità delle acciughe».

Con Libero Farinetti conferma che Chiamparino fu il primo a cui presentò il progetto, perché «volevo fare Eataly a Torino». Licenze poetiche a parte, il quadretto a qualcuno potrebbe risultare indigesto: una coppia di potenti, politicamente affini, che decidono in solitudine, davanti a una tavola imbandita, la destinazione di un’importante struttura, senza gare o concorsi di idee. Come fa un re con un suo vassallo. Ferdinando Ventriglia, all’epoca consigliere comunale di Alleanza nazionale si battè contro il progetto Eataly al Lingotto: «Allora si poteva. In quegli anni Farinetti era considerato ancora solo un imprenditore abile nel far valere le amicizie politiche giuste e non un maitre-à-penser cui chiedere soluzioni per i problemi del Paese». Per questo lui e il suo gruppo presentarono in consiglio comunale un’interpellanza intitolata: «Eataly, un grande grosso gambero rosso che si mangia la piccola e media impresa?».

Anche il capogruppo di Forza Italia dell’epoca, Luigi Tealdi, attualmente sostenitore della maggioranza di centro-sinistra del sindaco Piero Fassino, espresse un voto negativo alla variante sulla destinazione d’uso della zona: «L’area ceduta alla città, cui spetterebbero 8827 metri quadrati, si è ridotta a 5100, con un cospicuo regalo a qualche privato».

Le delibere più importanti videro la luce in piena estate. Nel luglio del 2003, per esempio, si approvò la variante contestata dalla minoranza e, di fronte alle obiezioni della provincia sul piano viario, la giunta rispose che «il nuovo servizio pubblico previsto (il cosiddetto Parco gastronomico) è una struttura particolare riconducibile più a un servizio di livello locale (centro commerciale pubblico a carattere tematico) che ad una attrezzatura di interesse generale e che quindi il problema dei servizi non si pone». Sul punto Ventriglia rincara: «La viabilità legata all’attività di Eataly (esplicitamente in violazione della convenzione) veniva accettata e sostenuta, come fatto compiuto,  all’amministrazione».

Un anno dopo il supermercato per gourmet divenne ufficialmente un progetto della giunta, la quale, per mettersi al riparo da eventuali contestazioni, si premurò di verificare se esistessero idee alternative per quell’area di fronte al nuovo Lingotto, zona divenuta strategica anche grazie alla fermata della metropolitana, posta proprio davanti all’ingresso della fabbrica. Ma la pubblicizzazione del bando non fu esattamente eclatante.

L’amministrazione scelse di pubblicare un piccolo francobollo, stampato in un corpo minuscolo, sull’edizione di Repubblica del 12 settembre del 2004, quindi in un periodo di vacanze estive. Era scritto nel riquadro: «È giunta alla città di Torino la proposta di un Parco Enogastronomico conforme alla destinazione d’uso. Con deliberazione del 6 luglio 2004 si è preso atto della proposta e dell’interesse pubblico della stessa. Nel termine di trenta giorni decorrenti dalla pubblicazione della presente chiunque fosse interessato può presentare progetti conformi alla destinazione d’uso».

Forse anche per il taglio singolarmente vago del bando nessuno presentò un progetto alternativo a quello covato e coccolato da Farinetti e Chiamparino, tra una cena e l’altra, nei mesi precedenti. «Il mercante di utopie» ci spiega, però, l’utilità di quel passaggio sul giornale: «Fu indetto il bando, è chiaro, che mai nessuno sospettasse accordi clandestini». Giammai. L’aggiu dicazione avvenne nel modo più limpido, è sottolineato nell’agiografia: «Poiché l’unico disposto a lanciarsi nell’affare fu Farinetti (venne calcolato che la ristrutturazione non sarebbe costata meno di 22 milioni di euro) il vecchio opificio se lo aggiudicò lui: suo per i successivi 60 anni, con l’obbligo di rimetterlo a nuovo, di pagarci l’Ici».

Assodato che Oscar non avrebbe voluto pagare nemmeno la tassa sugli immobili, alla fine la ristrutturazione richiese non più di 6-7 milioni e quindi oggi i 2.500 metri quadrati di Eataly dedicati alla vendita e alla ristorazione (considerando la concessione per 60 anni) costano come l’affitto di un bar o poco più.

Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese