Cronaca
Rifiuta il sesso a tre con il superiore e viene licenziata. Aspetta il risarcimento da 5 anni
Nella settimana che ha visto puntare i riflettori sulle donne e sull’invito a denunciare le molestie subite, si torna oggi a parlare di Elisabetta Ferrante, ingegnere, doppia vittima di una storia di mobbing sul lavoro.
È il 2000 quando nella multinazionale in cui lavora viene assunto un nuovo direttore. L’uomo inizia immediatamente a fare avances ad Elisabetta, sia in privato che sul posto di lavoro, poi, in occasione di una trasferta in Olanda, si sostituisce al collega incaricato di accompagnare la donna e, insieme ad una terza persona, i tre partono. La prima sera il direttore propone senza mezzi termini ad Elisabetta di fare sesso a tre con lui e l’altra donna, scopertasi poi essere l’amante del boss.
Avevo 40 anni, due figli e pensavo di far carriera grazie alle mie capacità – ha raccontato oggi in un servizio di Tgcom24 – queste proposte non erano proprio nelle mie corde. Rifiutai il sesso e fu la mia rovina
Dopo il no della donna, la coppia la minaccia di ritorsioni se avesse parlato di questa proposta con qualcuno, poi, al ritorno in Italia iniziano le ritorsioni:
Hanno cominciato togliendomi ufficio, armadi e collaboratori. Il direttore mi insultava davanti a testimoni (‘sei una stronza rompicoglioni, devi fare quello che dico io´). Mi hanno tolto ogni legittimità e ogni ruolo con i clienti. A luglio è arrivato l´ordine di trasferimento per La Spezia. Avevo già attacchi di panico e problemi al cuore, ma quella sera sono crollata.
Elisabetta, dopo un periodo di malattia dovuto ad un essaurimento nervoso dovuto alla situazione, torna in ufficio, ma le cose non migliorano. Tra cause e sentenze non a suo favore, il licenziamento arriva nel 2005.
Immediato il ricorso a cui segue una lunga battaglia legale (“sono fortunata ad aver avuto vicino la mia famiglia e mio marito che mi ha sempre sostenuto e ha accettato che spendessimo 100.000 euro in avvocati solo per i primi due processi”) che si conclude solo tre anni dopo. Nel 2008 la Corte di Cassazione dà ragione ad Elisabetta e ne ordina il reintegro in azienda. I giudici confermano l’ipotesi di mobbing e prevedono nella sentenza anche un risarcimento. Che però, a distanza di cinque anni, non è mai arrivato.
Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese