Cronaca
Roberto Cota nei guai: ha mentito ai magistrati come altri dieci consiglieri regionali durante gli interrogatori di Spesopoli
Roberto Cota sembra essere stato scoperto a mentire alla Procura della Repubblica negli interrogatori subiti per i rimborsi delle spese in Regione Piemonte. Cota è stato messo in difficoltà , come altri 10 consiglieri regionali su 43, dall’incrocio fra le sue  dichiarazioni e i tabulati telefonici.  Cota aveva sostenuto di non aver potuto fare determinate spese perchè quel giorno non era nei luoghi citati,  ma poi dai tabulati dei suoi telefoni si è scoperto che in quei posti c’era eccome, proprio mentre venivano battuti gli scontrini che gli rinfaccia la Procura.  Cota ha annunciato la  presentazione di un esposto per la continua fuga di notizie sull’inchiesta sui rimborsi dei gruppi del consiglio regionale del Piemonte da parte del suo avvocato Domenico Ajello che ha dichiarato: “Alcune testate giornalistiche, nel peggior solco di un’informazione parziale ed affastellata che confonde piuttosto che informare hanno pubblicato notizie false e ricostruzioni bizantine su risultanze insignificanti e parziali dell’indagine”.
Per lui, come per numerosi altri consiglieri che avevano adottato in interrogatorio la stessa tecnica. Dieci politici su 43, è stato accertato, hanno detto il falso: le celle dei loro telefoni li hanno collocati esattamente nel posto in cui veniva emesso lo scontrino incriminato. E rinnegato. Cota, in particolare, si trovava proprio alla cassa di quell’autogrill quando la dipendente scannerizzava i prodotti. Lo testimoniano i segnali che inviava il suo telefonino alle celle telefoniche poi consultate dagli inquirenti. Eppure si è presentato davanti ai pm con un lungo e dettagliato calendario di trasferte istituzionali per dire che lui lì non c’era mai stato. Ed è così finito nell’elenco di consiglieri che hanno fornito versioni false per giustificare le spese pazze che la Procura di Torino gli contestava. Forse nella speranza che le celle telefoniche non li avessero mai “agganciati”. O che nessuno facesse un lavoro tanto certosino.
Se un indagato mente non commette reato. Questo bisogna dirlo. Negare una colpa è una delle linee di difesa che si possono concordare con l’avvocato. Stupisce che il presidente Cota proprio all’indomani della notifica della chiusura indagini, nella quale spiccano questi e altri dettagli imbarazzanti, rilasci pubbliche dichiarazioni di questo tenore: “Quello che mi preme maggiormente scrive in una lettera aperta come uomo prima che come politico, è far sapere a tutti i piemontesi che il loro presidente è una persona onesta, dedita al lavoro, che non esclude la possibilità dell’errore, ma è sempre stato rispettoso delle leggi”.
Sempre Repubblica ricorda che che Cota aveva aveva pronunciato a suo tempo queste parole
“Non posso restare Presidente anche solo con l’ombra di un avviso di garanzia”. Pronunciava queste parole, lapidarie, il governatore del Piemonte, Roberto Cota, ai magistrati della procura di Torino che lo ascoltavano in merito all’inchiesta sulle spese pazze della Regione. Era l’11 gennaio 2013. Da allora sono passati più di 11 mesi. E nonostante sia stata raggiunto da ben due provvedimenti, avviso di garanzia e chiusura indagini, è ancora oggi alla guida del governo piemontese.
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