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Dario Salvatori dovrebbe essere il capro espiatorio della prima edizione del Torino Jazz Festival

Redazione Quotidiano Piemontese

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Secondo Alberto Campo su Repubblica al Torino Jazz Festival c’è già maretta dopo la prima edizione cara, costosa nonostante la crisi, cha ha avuto non molti spettatori.

Le indiscrezioni sostengono infatti sia in corso un repentino avvicendamento in cabina di comando. Evidentemente qualcosa non è andato per il verso giusto la primavera scorsa. Non si tratta tanto di un problema di quantità: il maltempo che ha accompagnato l’intero svolgimento della manifestazione è diventato un perfetto e legittimo alibi per evitare di far di conto sugli spettatori degli eventi principali in piazza Castello. Semmai di qualità: le valutazioni degli addetti ai lavori sono state unanimemente poco tenere verso una programmazione generalista e disattenta al jazz in senso stretto. 
Capro espiatorio è diventato il direttore artistico Dario Salvatori, a suo tempo collocato  frettolosamente in quel ruolo e  –  immaginiamo  –  diretto responsabile delle scelte poco gradite dai puristi, dalla “fusion” datata degli Yellowjackets al patinato “easy listening” di Dionne Warwick. Niente più cappellini stile New Orleans alla conferenza stampa e maggiore sostanza, per condensarla in una battuta, questo il senso dell’inversione di rotta che si profila all’orizzonte.

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