Piemonte
I Somali rifugiati di Torino e del Piemonte dimostrano ai Celebrity Games
In una lettera scritta nel 2010 al presidente Napolitano i somali presenti a Torino scrivevano
Siamo arrivati a Lampedusa, a Brindisi, a Crotone, a Mazara del Vallo.
Siamo stati ingabbiati per mesi nei centri di “accoglienza” – Lei sa di che parliamo.
Ci hanno preso le impronte digitali, e da questo il nostro ingresso in Europa è targato Italia.
Ci hanno congedato con un “Siete registrati, andate pure dove volete”. Ma dove?
Abbiamo attraversato l’Italia, ci siamo spinti fino in Germania, Olanda, Norvegia.
Ovunque abbiamo trovato denunce, multe, diffide, respingimenti.
Da ovunque ci hanno rimandato qui – il trattato di Shengen parla chiaro.
A Torino abbiamo trovato un ricovero autogestito in un palazzo abbandonato ed occupato.
Poi, da settembre, siamo stati ospitati in una ex caserma in Via Asti – che cosa questa rappresenti per Torino Lei lo sa molto bene.
Lì viviamo in 110 – altri 50 dormono sulle panchine di questa città, un’altra decina è ospitata da cittadini sensibili.
Signor Presidente, abbiamo bisogno che l’Italia rispetti i trattati sul diritto d’asilo:
– abbiamo bisogno di case, non di caserme
– abbiamo bisogno di cibo, senza essere accusati di rubarlo e rivenderlo
– abbiamo bisogno di lavoro: siamo giovani e possiamo dare tanto
– abbiamo bisogno di istruzione e di formazione
– abbiamo bisogno di muoverci per Torino senza essere (inutilmente) multati sui mezzi pubblici
– abbiamo bisogno di regolamenti di ospitalità non così oppressivi, come quello che ci esclude da Via Asti se ci assentiamo per 48 ore: e come facciamo a cercarci un lavoro in campagna?
Se l’Italia non è in grado di assisterci, ce lo dichiari per iscritto: così potremo cercare ospitalità in altre nazioni europee.
Se l’Italia non è in grado di assisterci e le altre nazioni europee non ci vogliono, almeno aiutateci a ritornare in Somalia: là abbiamo sempre avuto di che vivere, nonostante la guerra. Meglio affrontare la guerra là che chiedere l’elemosina qui.
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