Economia
La lettera del ministro Fornero: riforma del lavoro agire insieme, ma presto – Il testo integrale
Il ministro del lavoro, Elsa Fornero, ha scritto a La Stampa una lettera per illustrare le sue linee guida della riforma del mercato del lavoro. Il ministro Fornero propone una riforma del lavoro da fare insieme alle parti sociali ma presto, per consentire al Paese di stare al passo con il continuo mutamento dell’economia mondiale. Nuove regole non senza una rete di sicurezza più ampia per i lavoratori però. Due, scrive il ministro, sono i requisiti fondamentali che dovrà avere il nuovo mercato del lavoro: Un adeguato grado di buona flessibilità del lavoro stesso da parte delle imprese e un adeguato sistema di strumenti assicurativi e assistenziali che consentano ai lavoratori e alle imprese di gestire il cambiamento e il rinnovamento strutturale, anziché subirli.
Il testo integrale della lettera:
L’Italia sta dimostrando di voler rapidamente superare le condizioni di debolezza strutturale che ne hanno fortemente frenato lo sviluppo nel corso negli ultimi decenni. Senza una riforma complessiva del mercato del lavoro, però, che renda il mercato stesso funzionale e dinamico il sistema produttivo italiano non riuscirà a risollevarsi: il nuovo mercato dovrà essere funzionale alle opportunità e alle sfide poste dall’economia globale con le sue nuove tecnologie, e dinamico, per adattarsi rapidamente a cicli economici e a fenomeni competitivi dai ritmi molto più veloci di un tempo. Senza tale riforma, le imprese non riusciranno a riorganizzarsi efficientemente, a stare al passo con il continuo mutamento che caratterizza l’economia mondiale e, conseguentemente, a creare occupazione, sviluppo, benessere.
Due sono i requisiti essenziali di questo nuovo mercato del lavoro: un adeguato grado di “buona” flessibilità nell’utilizzo del lavoro stesso da parte delle imprese, per rispondere a una domanda, interna e soprattutto internazionale, estremamente e rapidamente mutevole e un adeguato sistema di strumenti – assicurativi e assistenziali – che consentano ai lavoratori e alle imprese di gestire il cambiamento e il rinnovamento strutturale, anziché subirli. Il necessario, frequente, mutamento di mansioni e occupazioni, determinato dal rapidissimo rinnovamento tecnologico mondiale, deve avvenire senza traumi, nell’ambito di una “rete di sicurezza” più ampia di quella attuale per lavoratori e imprese. L’Italia è ancora lontana da questi obiettivi e il lungo percorso che deve fare, nel poco tempo che l’economia globale di fatto le concede, parte dalla presa di coscienza dei limiti del sistema attuale.
A partire dalla metà degli anni Novanta, le profonde modifiche apportate, in larga parte col consenso delle parti sociali, al mercato del lavoro italiano hanno introdotto significativi margini di flessibilità e sostenuto la crescita dell’occupazione con un aumento consistente della quota di lavoratori proveniente dai segmenti più svantaggiati, cioè i giovani e le donne. Il maggior grado di flessibilità e il conseguente calo del costo effettivo hanno però indotto alcune componenti del sistema produttivo a ritardare l’aggiustamento strutturale richiesto dal nuovo assetto mondiale anziché accelerarlo. A tale ritardo, ha contribuito anche lo scarso adattamento della formazione professionale – carente rispetto alla creazione di “capacità di apprendimento” e alle nuove tecnologie – e più in generale i ritardi della pubblica amministrazione. Le conseguenze sono, purtroppo, ben note: un quindicennio di debole
crescita che non ha consentito di trasformare la maggiore flessibilità in creazione di migliori opportunità di lavoro e un progressivo frazionamento della forza lavoro in due segmenti.Sul primo, largamente composto da giovani e lavoratori di settori nuovi, è ricaduto maggiormente l’onere della flessibilità, spesso trasformatasi in precarietà, mentre il secondo è rimasto maggiormente isolato e protetto dalle fluttuazioni e dai processi di ristrutturazione, riducendosi però di numero (fino a rappresentare ormai poco più della metà dei lavoratori dipendenti del settore privato). La segmentazione è stata aggravata dall’inadeguatezza del sistema di ammortizzatori sociali a operare nel nuovo contesto. Gli strumenti presenti nel nostro ordinamento – come, ad esempio, la Cig, i contratti di solidarietà, la mobilità lunga – hanno conservato, durante la crisi, la loro efficacia per il sostegno al reddito del lavoratore e il mantenimento del legame tra lo stesso e il suo posto di lavoro, preservandone la professionalità, ma hanno subìto un parallelo processo di restringimento dell’area di applicazione, accentuando così la disparità tra i lavoratori. Pensati per un mercato del lavoro molto meno flessibile, gli schemi esistenti si sono rivelati incapaci di offrire una rete di protezione a chi, negli anni precedenti, è stato maggiormente coinvolto dalla maggiore flessibilità.
Questa inadeguatezza è risultata evidente all’avvio della crisi, quando la Banca d’Italia stimava che oltre un milione e mezzo di lavoratori non avrebbero goduto di alcuna tutela in caso di perdita del posto o sospensione dal lavoro, nonostante gli interventi del Governo allora in carica. L’incoerenza tra la flessibilità introdotta nel mercato e l’attuale, limitato e troppo discrezionale, assetto degli ammortizzatori ha evidenti effetti sperequativi: vi sono settori e lavoratori che possono godere di generosi strumenti di sostegno e altri che ne sono del tutto esclusi. Ne discendono conseguenze negative non solo sul piano dell’equità ma anche su quello del funzionamento del sistema produttivo: si danneggia il processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, si indeboliscono gli incentivi all’acquisizione di valide competenze professionali e alla realizzazione di investimenti produttivi, si scoraggia la partecipazione al mercato del lavoro.
Per realizzare un mercato del lavoro dinamico, capace di contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, è necessario ripristinare la coerenza, adeguando il sistema di ammortizzatori e riconducendo, nel contempo, la necessaria flessibilità del lavoro, senza trasformarla in precarietà. Si tratta di un intervento radicale, che, per essere efficace, richiede un’azione pressoché contemporanea su tutti i fronti sopra delineati; di un intervento sicuramente difficile ma, altrettanto sicuramente, non impossibile. L’esempio più recente di una riforma complessiva del mercato del lavoro e degli strumenti di protezione sociale – prescindendo dal percorso recentemente avviato dalla Spagna – è offerto dagli interventi realizzati in Germania all’inizio del decennio scorso quando il Paese era ritenuto il “malato d’Europa”, incapace di crescere e di superare l’urto della riunificazione.
Le riforme tedesche hanno interessato tutti gli aspetti del mercato del lavoro e del welfare: miglioramento degli strumenti di istruzione professionalizzanti e facilitazione del passaggio tra scuola e lavoro; sostegno alla partecipazione al mercato del lavoro e all’occupazione, anche parziale, delle fasce più svantaggiate; rafforzamento del legame tra il godimento di particolari trattamenti e l’effettiva azione di riqualificazione e di ricerca di lavoro; potenziamento dell’attività dei centri per l’impiego; introduzione alle famiglie, i sussidi ai disoccupati, i provvedimenti per l’abitazione e contro l’esclusione sociale raggiungeva il 5,1 per cento del Pil, contro l’1,8 per cento in Italia. Le azioni coordinate, decisa dal governo con il concorso delle parti sociali hanno contribuito ad aumentare in misura significativa il grado di dinamismo del mercato del lavoro, migliorando l’incontro tra domanda e offerta, sia negli aspetti quantitativi sia in quelli qualitativi. Ne è derivata una rapida caduta dei tassi di disoccupazione e dell’incidenza della disoccupazione di lunga durata e un ampliamento della partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto tra i più giovani, tra gli anziani e tra le donne. Gli interventi hanno consentito alla Germania di cogliere più rapidamente ed efficacemente che in precedenza l’onda positiva della congiuntura avviatasi nella seconda metà dello scorso decennio. Il Paese è così tornato a registrare significativi ritmi di crescita.
Oltre che andare chiaramente nel senso della crescita il disegno del nuovo mercato del lavoro deve esser chiaro e altrettanto chiaro deve risultare il percorso che ci porterà a destinazione. Un mercato del lavoro dinamico, con flessibilità più equamente distribuita e adeguatamente remunerata e con ammortizzatori universalistici rappresenta un ingrediente essenziale di una ricetta più complessa per rimediare alle debolezze strutturali del Paese. Ed è nel quadro di quella ricetta che gli interventi prefigurati vanno intesi e valutati. La riforma è necessaria ma da sola non è sufficiente a garantire la creazione di benessere. L’innovazione radicale è fonte di timori comprensibili, ancor più in fasi, come quella che stiamo attraversando, di profonda crisi economica e di perdita di fiducia. Vi sono segnali di una ripresa della domanda mondiale a partire dal prossimo anno, o forse addirittura nell’ultima parte del 2012 ma occorre che il Paese sia in grado di recuperare, in tempi rapidi, la fiducia dei mercati internazionali affinché, normalizzandosi le condizioni sul mercato del credito, si sia in grado di beneficiarne appieno. E occorre non farsi sfuggire la prossima onda positiva. È quindi necessario agire insieme, presto e bene, senza naturalmente dimenticare la cautela indispensabile per ben ponderare le situazioni di chi sta soffrendo più intensamente gli effetti negativi della crisi.
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