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Cronaca

La Fiat lascia l’Italia: si, no, forse

Redazione Quotidiano Piemontese

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Giornata di dichiarazioni e di successive smentite a proposito del destino futuro di Fiat. Nel pomeriggio di mercoledì era stata diffusa una dichiarazione di Sergio Marchionne che sosteneva che ”La Fiat è una multinazionale, continueremo ad andare avanti. Abbiamo attività fuori dall’Italia e venderemo altrove. Chi pensa di condizionare la Fiat si sbaglia. Il fatto è  che un operaio su dieci vuole condizionare l’andamento dell’azienda. La Fiat  non può essere la vittima di questa minoranza. Non si può investire così, parliamo di miliardi di euro di investimenti, non di aprire un supermercato. Possiamo lasciare l’Italia. Siamo una multinazionale e abbiamo attività in tutto il mondo. Potremmo andare avanti anche senza l’Italia. Chi pensa di poter condizionare la Fiat, si sbaglia alla grande”.

Marchionne aveva ampliato il ragionamento “Il governo non c’entra nulla e Monti, quel povero uomo che ha un mondo di cose da fare, cosa c’entra con la Fiat? Monti deve portare avanti una serie di manovre per cercare di ottenere la tranquillità a livello europeo dei finanziamenti del Paese e se non ce la fa, fallisce il progetto. Per questo deve essere assistito e appoggiato dalla politica fino a quando ha risolto il problema. Non abbiamo altra scelta. Bisogna lasciarlo lavorare. Ho una grande fiducia nelle sue capacità di gestione”.

In serata Fiat ha smentito parte del discorso di Marchionne. ”Il dottor Marchionne non ha mai parlato di lasciare l’Italia. Le dichiarazioni dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, riportate giovedì da alcune agenzie di stampa riprendono in modo parziale e arbitrario alcune frasi pronunciate mercoledì a Washington alla presenza di numerosi giornalisti italiani tra i quali il corrispondente di Radio24. Non si e’ trattato quindi di una intervista esclusiva. Il dottor Marchionne rispondendo a una domanda del giornalista di Radio24 che conteneva le parole lasciare l’Italia ha testualmente affermato “la Fiat è una multinazionale. Gestiamo attività in tutte le parti del mondo. Abbiamo attività economiche e industriali al di fuori dell’Italia.

Vendiamo macchine in Brasile, in Cina, in America, in Messico. La cosa importante è la sopravvivenza della Fiat che non può essere messa in discussione. Ci abbiamo messo otto anni per rimetterla in piedi. Abbiamo creato un’alternativa con Chrysler e non possiamo metterla in dubbio. Chiunque pensa di condizionare la Fiat si sbaglia. Queste affermazioni  sono state correttamente riportate ieri sera dalle agenzie di stampa e stamattina dai principali quotidiani, i cui corrispondenti erano presenti al momento delle dichiarazioni. In estrema sintesi  il Dottor Marchionne non ha ma parlato di lasciare l’Italia”.

Oggi è anche uscita un’ interessante intervistaErnest Ferrari  

«Il mercato italiano è troppo piccolo per una grande azienda qual è la Fiat, lo ha recentemente detto anche Marchionne, quando ha alluso alla decrescita della vendita di auto Fiat nel nostro paese. Il baricentro, quindi, si sposterà sempre di più verso Ovest, verso gli Usa e l’Italia e Torino conteranno sempre meno».

Al Bel Paese non resterà che accontentarsi di un ruolo marginale, quasi di testimonianza, legato al passato e a una storia che non ritorna. Anche Fabbrica Italia rimane un progetto aleatorio, mai presentato in modo ufficiale e dettagliato: «Si parla di produrre nel nostro paese 1,4 milioni di vetture entro il 2014, ma come si fa se sono passate in un anno da 800 mila a 600 mila?». Certo, per quanto riguarda Torino è diverso: qui la Fiat è nata e con lei sono sorte centinaia di medie e piccole aziende dell’indotto. Qui c’è la vocazione di un territorio che ha sempre progettato e prodotto auto. Caratteristiche che, però, possono essere sostanziali o marginali. «Il know-how che sviluppa un territorio può contare moltissimo, ma non mi pare sia questo il caso: la Fiat continuerà a delocalizzare, per trovare nuovi mercati e costi di produzione e sistemi fiscali sempre più vantaggiosi». Un distacco che avviene per fasi: la fuoriuscita da Confindustria, le prese di posizione sui contratti dei lavoratori, il trasferimento delle produzioni più prestigiose verso altri paesi. Un distacco che si compie lentamente, ma che ormai è palese. Anche perché della vecchia tradizione di company town, a Torino, restano solo i primati penalizzanti. Mirafiori è tra i più vecchi stabilimenti automobilistici d’Europa e la sua tenuta è un’altra incognita su cui pesa la permanenza di Fiat sotto la Mole: «Così com’è non regge – chiosa Ferrari -. Sarebbe indispensabile un intervento dello Stato, altrimenti è pronto per diventare un museo». O un gigantesco ipermercato.

Ci si interroga sul futuro delle altre proprietà italiane di Fiat come l’editoria (La Stampa e PK principalmente) e la Juve, mentre il destino di Alpitour è di essere ceduta.

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