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QP intervista la giovane sorpresa Pdl a Torino: la ricetta di Silvio Magliano per curare la città

Redazione Quotidiano Piemontese

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QP ha intervistato Silvio Magliano (Pdl) dopo lo splendido successo elettorale personale (2096 preferenze) ottenuto alle comunali di Torino. Un incontro approfondito e pieno di spunti per scoprire un giovane protagonista della politica nel centrodestra, che ad ogni risposta fa emergere idee chiare e concrete (anche la capacità di eludere qualche ostacolo) come capita sempre quando a parlare è una persona già protagonista nella vita sociale.

Chi è Silvio Magliano, come e perché sei arrivato alla politica.

Sono un ragazzo di 30 anni, quasi 31. Ho sempre vissuto la rappresentanza come dimensione utile a me e agli altri. Già al liceo sono diventato presidente della Consulta degli studenti, una sfida nata da una riduzione di libertà. Io andavo al Valsalice, ho voluto vincere il pregiudizio secondo cui uno studente di una scuola privata non è degno di rappresentare tutti gli studenti. È nato tutto così. Poi ho fatto politica universitaria, in liste senza simboli di partito, e sono andato 6 mesi a Bruxelles, con l’onorevole Mario Mauro, per fare la tesi. Dopo mi sono candidato per la circoscrizione 3, dove ho vissuto 5 intensi anni di servizio. Ho sempre lavorato nel sociale: piazza dei Mestieri, Centro servizi per il volontariato, dove sono al terzo mandato come presidente e l’età media del consiglio direttivo è scesa da 62 a 34 anni. Adesso sono consulente per le politiche sociali e il volontariato del presidente Cota.

Un sacco di esperienze, a soli 30 anni.

Se si rischia sui talenti, i giovani si prendono le responsabilità, ma chi comanda deve rischiare, non mandare gli stagisti a fare le fotocopie. Dove c’è un problema di giovani, c’è un problema di maestri. Io sono di Cl, ho avuto grandi maestri, che mi hanno educato alla fede e alla politica. La prima politica è vivere: cosa compri, come ti comporti, dove vai. Ho sempre fatto politica, non come scribacchino di partito, ma tra la gente, vivendo l’appartenenza. Cito Giorgio Gaber, il mio cantante di riferimento: la libertà non è uno spazio libero ma la libertà è partecipazione.

Il principio di sussidiarietà è la base teorica della tua politica. Ce lo spieghi in parole semplici?

Sussidiarietà vuol dire che lo Stato interviene solo dove i cittadini non riescono a trovare risposte comuni ai bisogni che hanno. C’è un problema, io e te, insieme, rispondiamo. Un problema diffuso richiede una risposta organica, di un ente, di un’associazione. Lo Stato deve scommettere sulla libertà della gente, valorizzare ciò che nasce dal basso. In una formula, più società e meno Stato. Sussidiarietà è il contrario di statalismo e assistenzialismo.

Soddisfatto del risultato elettorale, tuo e di coalizione?

Che 2096 persone siano andate a votare e abbiano scritto sulla scheda elettorale il nome Magliano è commovente. Tutte le elezioni dovrebbero prevedere le preferenze, è democrazia, ne va della dignità dei cittadini. Quanto alla coalizione, è un risultato duro da digerire, rispetto alle aspettative. Ma Torino non è mai una piazza semplice.

Nel dato elettorale, non solo torinese, si può leggere un allontanamento del mondo cattolico dal centrodestra dovuto anche alle vicende di cui è stato protagonista Berlusconi?

In Italia ogni elezione è un referendum pro o contro Berlusconi. Ridurre a questo la scelta elettorale può aver portato nell’elettorato cattolico delle difficoltà nel riconoscersi in un certo modo di gestire la vita privata. Ma i fatti personali rimangono tali, sono problemi con la sua coscienza e con Dio. Io andavo a una scuola cattolica, ricordo un professore che ci chiedeva: preferite un governatore che fuma, beve e ha molte donne, o uno sobrio, astemio e fedele? Sobrio, astemio e fedele, rispondevamo noi. Bene, il primo è Churchill, il secondo Hitler. Questo per dire che la coerenza morale è importante, ma non è l’unico punto per valutare un politico.

Torniamo a Torino. Coppola era il candidato giusto?

Sicuramente Michele si è speso tanto, ci ha creduto fino in fondo, questo è un merito. Che poi fosse il candidato giusto o sbagliato, non so. Di certo è stato perso tanto tempo: Ghigo ha parlato di Coppola già ad agosto, ma la candidatura è stata lanciata solo un mese prima delle elezioni, un percorso che non ci ha portato a far conoscere il nostro programma.

Che tipo di opposizione farai?

Non urlata, non aprioristica, un’opposizione basata sul dialogo. Mi concentrerò sui temi fondamentali, come il debito e le politiche sociali. Io conosco bene gli ambiti del volontariato, vorrei portare chi governa a conoscere queste realtà. Siamo uomini, prima che politici, ripartiamo dai valori umani. E stringiamo un patto generazionale: gli elettori hanno dimostrato di preferire il giovane, a parità di contenuti. Dobbiamo capire che città vogliamo tra 20 anni.

Facciamo qualche proposta costruttiva sui temi che ti sono più congeniali. Iniziamo dalla famiglia.

La famiglia è il primo agente di welfare della nostra società, dobbiamo valorizzarla. Più la famiglia è famiglia, nel senso che ha figli, anziani, persone con disabilità a carico, meno deve pagare i servizi sociali e le tariffe comunali: non contributi, ma meno costi. Un modello efficace è quello sperimentato a Parma, che prevede tariffe differenziate su ogni famiglia. La logica degli scaglioni non funziona. Per esempio una famiglia rientra nello scaglione da 0 a 100, ma tra 5 e 95 c’è una bella differenza. Invece se la famiglia in questione ha un coefficiente di 45, paga 45. A Parma funziona così, a Roma ci stanno provando, si può fare.

Associazionismo e volontariato.

Andiamo a chiedere a chi fa volontariato sul territorio cosa vuol dire accoglienza, integrazione, anzianità, disabilità, quali sono i problemi reali. È il privato sociale che offre a chi ne ha bisogno i servizi che il pubblico non riesce a garantire, bisogna valorizzare esperienze come quella del banco alimentare. Basta con le gare d’appalto e i contributi, per sostenere il no profit bisogna pensare a sistemi di accreditamento che portino a convenzioni pluriennali, ovviamente con i dovuti sistemi di controllo. Solo così le associazioni potranno organizzarsi nel tempo e offrire un servizio migliore.

Giovani e lavoro.

Parto da una piccola proposta. La città di Torino è gemellata con mezzo mondo, facciamo uno scambio di cinque studenti per ogni gemellaggio: bisogna pensare politiche che portino sviluppo e crescita. In generale, chi ha un figlio ha più costi che sostegni, in un momento in cui i nomi arabi sono i più scelti all’anagrafe. Le politiche giovanili si intrecciano con le politiche per la famiglia, ma alla base c’è un problema culturale. Particolarismo, materialismo, relativismo etico hanno preso il posto di valori fondamentali, l’indebolimento della famiglia è un lascito degli anni ’70, come dice Sacconi i peggiori anni della nostra vita. Con la famiglia, hanno perso centralità altri modelli sociali, come l’oratorio o il partito politico, e il principale agente educativo è diventato mamma tv. Come si combatte tutto questo? Valorizzando esperienze di sussidiarietà, come l’affido e l’adozione, dando spazio ai tentativi dal basso.

Integrazione e sicurezza.

Torino è stata capace di accogliere 300mila persone tra gli anni ’60 e ’70, ma quel tipo di accoglienza ha generato anche problemi, vedi i quartieri dormitorio. L’immigrato, uomo unico e irripetibile, cerca benessere per sé e la sua famiglia, ma oggi la partita dell’integrazione è più complessa, perché riguarda le diversità di lingua, religione, abitudini. Non è un caso che rumeni e peruviani, di religione cattolica, si siano integrati più facilmente. E complessi sono i problemi da affrontare, perché a Porta Palazzo le case affittate agli extracomunitari sono dei torinesi, perché i giovani italiani certi lavori non li fanno più. Insomma accoglienza sì, ma evitando la logica di dare tutto e subito, perché porta allo scontro sociale. E ricordando una vecchia battuta: noi cattolici porgiamo anche l’altra guancia, ma fortunatamente il buon Dio ce ne ha date solo due… Se vieni in Italia per delinquere, ti metto su un aereo e ti rimando a casa. Se accetti le regole, la cultura, la religione, io ti do tutte le chances per integrarti, studiando nuovi requisiti di social housing e sostenendo le associazioni che si occupano di integrazione.

Pur partendo da posizioni diverse, mi sembra che ci possano essere dei punti di contatto con la maggioranza di Fassino.

Torino è sempre stata laboratorio della politica nazionale. La nostra generazione deve avere il coraggio di superare lo scontro ideologico e lavorare insieme a una città diversa, con la persona al centro.

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