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Cultura

Salman Rushdie: “Videogame, hamburger e minigonne. Ecco come esporterei la democrazia”

Redazione Quotidiano Piemontese

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Altro che guerre, altro che missili intelligenti. “Io propongo di bombardare l’Iran con le Sony PlayStation 3, con gli hamburger e con i cd di musica pop. Le rivoluzioni nei paesi arabi ci hanno dimostrato che il mondo non è diviso tra conservatori e modernisti, moralisti e libertini. Tutti vogliamo le stesse cose: libertà, diritti, lavoro, possibilità di scegliere il futuro. Secondo me le minigonne sono un ottimo modo per esportare la democrazia. Naturalmente solo se avete il fisico adatto”. Attimo di pausa. “Questa è una frase molto berlusconiana”. Altra pausa. “Ah, a proposito, congratulazioni”. E il teatro Carignano si scioglie in un applauso. Irriverente, impenitente come al solito, parla Salman Rushdie, l’autore dei Versi Satanici e I figli della mezzanotte.

L’incontro, organizzato dal Circolo dei Lettori insieme a Collisioni, dovrebbe essere l’occasione per presentare l’ultimo libro dello scrittore indiano-britannico, Luka e il fuoco della vita (Mondadori), ma la circostanza ufficiale si trasforma ben presto in una scusa, un modo come un altro per esplorare gli orizzonti sconfinati della cultura. Con l’autore dialogano due interlocutori d’eccezione: Marino Sinibaldi (direttore di Radio3 Rai) e Hari Kunzru (scrittore e giornalista). Pur restando “tenacemente scrittore” (come fa notare Sinibaldi) Rushdie non si sottrae alle domande di attualità. “Dobbiamo guardare con fiducia ai movimenti degli ultimi mesi – dice, commentando la situazione nei paesi arabi – Bisogna celebrare lo spirito che li ha prodotti: è accaduto qualcosa di grande, uno spostamento incredibile. Questi ragazzi rifiutano una cultura soffocante e cercano di cambiare il mondo”. D’altra parte bisogna evitare di cadere nell’idealismo utopico, ci sono dei distinguo fondamentali da fare: “In Egitto la situazione è più consolidata, mentre nello Yemen c’è il rischio che si affacci l’ombra di Al Qaeda. Quanto alla Libia, siamo d’accordo sulla necessaria caduta di Gheddafi, ma poi chi prenderà il potere al suo posto? Chi sono esattamente questi ribelli? Forse non lo sanno nemmeno loro”.

Com’è da sempre nel suo stile, Rushdie oscilla continuamente tra serio e faceto, tra profondità, ironia e sarcasmo. Parlando di religione, ad esempio, inizia con un discorso degno di Woody Allen: “Mi sono sempre chiesto come si debba sentire un dio decaduto, una divinità dei Romani o, che so, degli Aztechi. Fino a ieri tutti ti osannavano e oggi, di punto in bianco, sei una nullità. I fulmini non funzionano più, nessuno ti bagna i piedi di sangue. E tu ti dici ‘ora con cosa lo sostituisco il sangue, con la coca-cola?’. Dev’essere una bella tragedia”. Può sembrare una facezia come tante altre, ma assume un certo peso, detta da un uomo che ha pagato a caro prezzo l’ironia sulla religione. Infatti i Versi satanici, giudicati blasfemi dagli ambienti islamici più tradizionalisti, hanno provocato nell’89 una fatwa che ha decretato la condanna a morte di Rushdie. L’autore si è salvato rifugiandosi nel Regno Unito e vivendo sotto protezione, ma tutt’ora la sua incolumità è in pericolo.

Il dialogo senza barriere e senza paletti dà modo ai protagonisti di spaziare, di muoversi con disinvoltura nei diversi campi del sapere. Si parla di politica, di religione, di cinema e ovviamente di libri. L’ultima fatica letteraria di Rushdie, Luka e il fuoco della vita, è costruita come una favola: il protagonista, un ragazzino di dodici anni, deve intraprendere un lungo viaggio alla ricerca del solo elemento che può risvegliare suo padre da un sonno simile alla morte. Il racconto è anche una riflessione sul potere incantatorio della narrazione. “Se sei nato in India, ti porti dentro un bagaglio di storie fantastiche: tappeti volanti, dragoni, incantesimi. Io ho recuperato parte di questo bagaglio. Mi piace l’idea di rivolgermi ai ragazzi perché sono esigenti e scettici: leggono con passione, ma se un libro non li conquista lo buttano dalla finestra senza pietà”. Poi il discorso si allarga a includere la narrazione in generale e il suo destino. “Il romanzo – spiega Rushdie – è  molto robusto, è una realtà capace di inglobare, di divorare tutto. Niente e nessuno è al sicuro, neppure voi – dice rivolgendosi al pubblico – Può mangiarsi il cinema, il web, perfino il mondo dei videogiochi. Solo che, a differenza dei videogiochi, il romanzo ha una dimensione morale: i protagonisti migrano, crescono, si trasformano. Nessuno, alla fine di un romanzo, rimane lo stesso”.

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