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Il pane e le rose di Michele Curto (Sel): “Premi alle aziende contro il precariato e nuovo welfare”

Redazione Quotidiano Piemontese

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QP ha intervistato Michele Curto dopo lo splendido successo elettorale (2225 preferenze) ottenuto. Un incontro approfondito e pieno di spunti interessanti, a 360°, significativo dei quante energie ed idee possano arrivare alla politica dalla società civile, da un giovane, da una persona che crede nell’impegno personale e nel confronto, che crede nel futuro oltre le difficoltà di oggi. Ecco perchè.

Chi è Michele Curto, come e perché sei arrivato alla politica?

Sono un ragazzo di 31 anni. Finora sono stato presidente dell’associazione Terra del Fuoco, da me fondata nel 2001 e lasciata a gennaio, quando ho deciso di candidarmi alle primarie, e responsabile europeo di Libera, l’associazione contro le mafie. Tuttora sono presidente del network internazionale Flare, che si occupa di contrasto alla criminalità organizzata in Europa. Ci siamo resi conto che c’è un vuoto di rappresentanza, perché la politica non riesce a interpretare il bisogno di cambiamento espresso dalla società e a farsene interprete. È il momento di mettere in gioco la nostra esperienza e nostra passione.

Elezioni lunghe, le tue, visto che hai iniziato dalle primarie.

Le primarie servono a valutare l’offerta politica migliore per la coalizione. Io sapevo di non poter vincere, ma serviva costruire un’alternativa per il futuro. Fassino è vincente oggi, anche perché rassicura la città, io ho parlato al futuro della città.
Il futuro è, o dovrebbe essere, dei giovani.Io non sono il candidato dei giovani, sono un candidato giovane, percepito come progetto di futuro. La mia generazione è di periferia urbana, ma spesso anche umana. E aggiungo che il tema dei  giovani non è chiuso in una generazione, ma interessa tutti, sono preoccupate anche mia madre e mia nonna. In campagna elettorale ho parlato della questione del pane e delle rose. Mi spiego. Alle giovani generazioni viene spesso negato il pane. La mancanza di lavoro stabile, che tocca l’84% dei giovani che lavorano, e la precarietà economica sono la causa; la conseguenza sono persone che pur lavorando non determinano benessere. È una nuova categoria sociologica, cui viene sottratto il futuro: la mia generazione non a caso fa pochi figli, il futuro negato nega a sua volta futuro. Poi c’è la questione delle rose. Noi dovremmo cambiare, riprenderci i nostri spazi e il nostro futuro, ma siamo marginali dal punto di vista democratico, è la  prima volta che accade: i partigiani avevano un’età media bassa, lo scontro ideologico degli anni ’60 e ’70 era guidato dai giovani. Questo elemento a noi viene negato, non abbiamo centralità democratica, non siamo più agenti del cambiamento. La cooptazione e il nepotismo sono le regole, vale in politica come nelle altre sfere della società. E la generazione giovanile si fa assuefare dal nepotismo, siamo il Paese dei figli d’arte. È la neutralizzazione delle prerogative giovanili. Già siamo minoranza demografica, già siamo banalizzati come consumatori prima che cittadini, ma è una minoranza da rappresentare. C’è bisogno di un cambiamento più profondo, un confronto/scontro. Per tornare alle primarie, il mio confronto scontro con Fassino è stato costruttivo: non ballate più da soli.

Ti aspettavi di essere eletto? Soddisfatto del risultato elettorale tuo e di Sel?

Mi aspettavo un buon risultato, ma non così, non l’avrei immaginato mai, mai, mai. Noi ci piazziamo dietro i poteri forti di centrodestra e centrosinistra, un successo così è motivo di orgoglio. Il segnale portato dalle elezioni ha confermato che c’è bisogno di una proposta giovane. Non c’è mai stata una proposta generazionale e femminile così marcata, la risposta degli elettori è stata chiara, l’alternativa c’è. I primi cinque votati sono giovani, tre eletti su quattro hanno meno di 35 anni. Io sono stato il più votato, proporzionalmente parlando: il mio partito ha preso il 5.6 per cento, io 2200 voti.

Quanto è costata la tua campagna elettorale?

19.000 euro, cifre e voci di spesa sono sul mio sito. Questa cifra non rappresenta solo me, ma anche Nina Leone, delegata metalmeccanica di Mirafiori, più 10 ragazzi candidati nella circoscrizioni: una campagna a rete, una proposta collettiva. Il giornale ‘Domani’ è stato il fulcro della mia campagna elettorale, scritto come se fosse un giornale del 2016, immaginando quello che vorremmo accadesse. Un’utopia. Mi viene in mente una scritta bellissima che ho visto su un muro di Genova: ‘visto che i fatti sono questi, fateci un po’ di promesse’. Ecco, ragioniamo di futuro.

Come cambierà la tua vita da consigliere comunale?

Cambierà sicuramente, faccio fatica a capire come, perché devo ancora relativizzare tutto quello che è successo, anche come dimensione umana. Sono un ragazzo fortunato, lascio un lavoro che mi piaceva tantissimo, perché raccontare l’Italia dell’antimafia in giro per l’Europa è bellissimo, è un onore raccontare di Falcone, Borsellino, don Ciotti, del giudice Livatino, di Peppino Impastato… mi dispiace rinunciare a girare L’Europa con questi argomenti, questo sì.

Si parla insistentemente di un tuo posto da assessore. Sel qualcosa avrà…

Prima di parlare dei nomi io credo che bisognerebbe parlare dei temi. Sicuramente Sel ha avuto un ruolo politico importante, anche perché ha fermato l’avanzata di Grillo a Torino.

In Consiglio, pensi di poter essere tu il ‘ponte’ con gli eletti a ‘5 Stelle’?

Siamo già ponte tra la politica e l’area del dissenso e del disinteresse. Io non trovo interessante il fenomeno Grillo dal punto di vista politico, perché c’è tanta demagogia, ma il vero elemento di interesse è la denuncia di una politica che ha organizzato il consenso non accorgendosi che il consenso è sempre più ristretto. Il Pci è arrivato ad avere due milioni di iscritti, oggi gli iscritti del Pd sono paragonabili ai tesserati della curva della Juve. Credo che l’esperienza dei grillini non sia di cambiamento, ma una forma con cui il cambiamento viene sterilizzato. Viene sottratta la spinta della realtà, viene negato il confronto quotidiano con i poteri reali, anche con i poteri forti che ci governano, con il rischio di essere una valvola di sfogo non costruttiva. La grande sfida è dare parola a tutti, agli ultimi, a chi non ha rappresentanza, dare gusto e senso alla rabbia senza uscire dall’arco democratico. C’è bisogno di un fondamentale cambio di paradigma rispetto alle forme organizzate tradizionali, perché i partiti sono strutture vecchie, ma anche di un cambio individuale, attraverso scelte di coerenza. Parlo di me: lavorando sui migranti e sui diritti delle minoranze, non è stato solo importante ma necessario andare a vivere al Dado di Settimo, insieme alle famiglie rom. Per recuperare il legame sentimentale con le persone e bucare il muro dei preconcetti e dell’indifferenza, per sfatare la cantilena ‘zingari, zingari, zingari’ tramite la coerenza assoluta. Basta con la demagogia e il populismo, con la tentazione del colpo di spugna e con la logica di chi grida più forte. Sarà faticoso, ma è una fatica da fare, io per primo, tu con me, un ponte verso il larghissimo strato della popolazione del disinteresse, da non regalare alla non partecipazione.

Un argomento di stretta attualità. In questi giorni la situazione intorno a Chiomonte si sta di nuovo scaldando, tu cosa ne pensi della Tav?

Grazie per la domanda. Penso che mi piacerebbe parlare di cose interessanti, e invece parliamo di una cosa che non si farà, perché non ci sono i soldi per farla. Io non sono contrario a priori alle grandi opere, ma prima ragioniamo, prima ditemi se la Tav si farà, se i soldi ci sono. Il prosieguo della discussione sarà più facile. Secondo me non stiamo assistendo allo scontro tra due maggioranze – ovvero la maggioranza nazionale che vuole la Tav contro la maggioranza locale che dice ‘non solo a scapito mio’ – ma c’è una minoranza che vuole contrapporre quelle due maggioranze per i suoi interessi.

Parliamo di cose più interessanti, allora. Cosa serve alla città di Torino, le priorità?

Le priorità assolute, secondo me, sono tre. Il lavoro, l’emergenza sociale e l’ambiente.

Partiamo dal lavoro.

L’amministrazione cittadina ha competenze limitate ma non può essere una scusa. Abbiamo bisogno di dare un segnale forte, la città è il primo datore di lavoro sul territorio, non deve accettare precariato e contratti a tempo tra gli strumenti a sua disposizione, non deve ricercare la logica del massimo ribasso nelle gare d’appalto. Dobbiamo promuovere la tutela del lavoro, soprattutto giovanile, dando il buon esempio, e dobbiamo incentivare l’incontro della buona offerta con la buona domanda. Mi spiego con un esempio. Sabato a Palermo ho partecipato alla festa nazionale di ‘Addio pizzo’: in alcuni quartieri di Palermo viene riconosciuto un premio a chi non paga pizzo, a chi si espone contro il pizzo. Da noi si potrebbero stabilire dei premi fiscale comunali, per esempio sulla tassa rifiuti, per la piccola impresa e il commercio che decide di rispettare un codice etico, che escluda l’abuso di contratti atipici e precari e preveda la tutela del lavoro stabile e stabilizzato. Poi bisogna motivare la comunità di consumatori: la mia generazione ha più diritti come consumatore che come lavoratore, ma questa può anche essere un’opportunità, per esempio istituendo un marchio di qualità che faccia da leva al consumo consapevole.

Secondo, l’emergenza sociale.

La sfida sociale è enorme per questa città, dove assistiamo a un’esplosione di bisogno dovuto alla crisi economica ma non solo, con l’aggravante della contrazione delle risorse pubbliche per affrontare questo bisogno. Più problemi creano una situazione più complessa. In un nucleo famigliare, non ci sono solo il problema della casa, o la non autosufficienza di un membro della famiglia, o i servizi scolastici, adesso dobbiamo rispondere alla compresenza di più fragilità. Fasce anagrafiche e categorie sociali sempre più ampie si sentono più fragili e sole, in un caso su tre ci sono problemi di reddito, in uno su cinque c’è un potenziale conflitto tra padre e figlio sul lavoro. Due ricette. Aiutare la rete informale che Torino ha di privato sociale e di associazionismo, una rete che spesso ha sopperito al welfare pubblico, che non sa dare a tutti ed è datato, non si è adattato ai nuovi bisogni. Secondo elemento, incrociare i bisogni, liberare le energie sociali della città. Faccio un esempio concreto. Centocinquanta anziani danno ospitalità a centocinquanta studenti fuori sede, a costo zero per l’amministrazione, se non la mediazione sociale. È un incrocio tra il bisogno dell’anziano di non essere da solo, e il bisogno dello studente di non essere salassato in una città che costruisce ma ha un  mercato degli affitti sproporzionato.

Terzo, l’ambiente.

È una grande sfida, che riguarda la salute, la vivibilità e anche, un argomento tutto in mano al Comune, l’urbanistica. L’amministrazione uscente ha fatto bene, ma a volte non bene come avrebbe potuto, vedi Spina tre, un nuovo quartiere che nasce senza spazi di aggregazione se non i centri commerciali, c’è qualcosa che non funziona. I bisogni di avere vivibilità alta e ambiente sano si incrociano, la nuova giunta deve fare salto di qualità a questo proposito.

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