Cultura
Bagnata e felice: l’Italia del concerto in piazza Vittorio
Se l’Italia fosse una giovane sposa, 150 anni appena, il bouquet in mano sotto il velo tricolore, dovrebbe essere, a rigor di proverbio consolatorio coniato dalle mamme italiche, molto fortunata. Di sicuro è bagnata fradicia, con l’acqua che le gronda dai capelli, ma che non riesce a spegnerle il sorriso. E’ così che si presenta questa adolescente centocinquantenne, se guardata dalla prospettiva di Piazza Vittorio Veneto: una selva di ombrelli intrecciati e festosi, radunati sotto il palco del grande concerto che apre le celebrazioni. I torinesi, invitati alla festa e contemporaneamente festeggiati, non fanno troppo caso alla pioggia ostinata e battente: arrivano alla spicciolata, i più stoici già dalle 21, e come tante gocce prendono possesso della piazza.
Inizia una lunga serata di musica: a tratti (clima a parte) vengono in mente le notti della taranta, quelle kermesse di danze indiavolate fino all’alba che colorano le estati del sud Italia. Tanti artisti, uno per ogni regione, danno vita a un interessante collage di tradizioni: il folk insieme al rock, la pizzica salentina seguita dalle nostalgiche melodie friulane, il dialetto ligure alternato al napoletano e al siculo. Sono già passate le 23 quando sale sul palco Davide Van De Sfroos: il suo stile (un ironico folk comasco condito di rock e di Sud America) non è strutturalmente molto diverso da quello degli altri cantanti, ma l’allure sanremese, che nel giro di poche settimane lo ha portato a conquistare le radio, si sente e si vede. Gli applausi sono calorosi, soprattutto quando Van De Sfross duetta con Irene Fornaciari e con Beppe Dettori, leader dei Tazenda.
Intanto, sotto gli ombrelli aperti, si crea una specie di comunità affettiva. C’è davvero l’Italia in piazza: la lingua nazionale e tanti dei suoi dialetti, i ragazzini che urlano a volte fino a coprire la musica e i pensionati composti, le famiglie con i bambini, le mamme neoitaliane con l’hijab. Verso mezzanotte, improvvisamente, questa collettività variegata si ammutolisce: per qualche istante l’Italia ha le fattezze di una ragazza avvolta nel tricolore, che volteggia in aria appesa a una mongolfiera. Un vero colpo di teatro, un’immagine leggiadra e bellissima.
Dopo lo spettacolo mozzafiato dei fuochi tricolori con colonna sonora verdiana, quando piazza Vittorio e via Po sono completamente invase dalla gente in festa,  arriva il vincitore di Sanremo, Vecchioni, la guest star della serata. Gli adolescenti lo aspettano e lo acclamano quasi fosse un’icona rock. Strano modo, il suo, di arrivare al grande pubblico, con uno stile sempre in bilico tra la poesia autentica e la retorica più pericolosa, con una canzone, Chiamami ancora amore, che tutto fa tranne innovare e che nonostante questo (o forse proprio per questo) riesce a intercettare qualche bisogno profondo della gente. All’una e mezza passata, con Samarcanda e Luci a San Siro (“immaginatevela ambientata a Torino”, propone Vecchioni) la festa arriva al culmine. Poi impermeabili fradici e ombrelli iniziano a sciamare lungo via Po, consapevoli, forse, di aver partecipato a una serata memorabile, destinata, come le notti olimpiche del 2006, a rimanere nel cuore di tanti torinesi.
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