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La storia dei filobus a Torino: dal progresso elettrico al ricordo nostalgico

Dal loro debutto negli anni ’30 fino alla loro scomparsa negli anni ’80, i filobus hanno accompagnato la crescita e il cambiamento di Torino

Gabriele Farina

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TORINO – Torino, città dalla grande tradizione industriale e tecnologica, ha visto nascere e crescere molte innovazioni legate ai trasporti pubblici. Tra queste, una delle più affascinanti e, per certi versi, nostalgiche, è quella dei filobus. Questo mezzo di trasporto, che unisce i vantaggi della mobilità su gomma e l’alimentazione elettrica, ha rappresentato un’era significativa nella storia della città. La storia dei filobus a Torino è una parabola di progresso, innovazione e declino, e merita di essere raccontata in tutta la sua complessità.

L’inizio del filobus a Torino: gli anni ’30

Il filobus, o trolleybus, arrivò a Torino negli anni ’30, quando l’amministrazione comunale, alla ricerca di una soluzione più moderna rispetto al tram, iniziò a considerare questo mezzo come alternativa. Le prime linee di filobus furono istituite nel 1931, in un periodo in cui la città stava sperimentando una rapida espansione urbana e industriale. A differenza dei tram, i filobus non richiedevano l’installazione di costose rotaie, ma sfruttavano la rete elettrica tramite due aste che collegavano il veicolo a cavi aerei, fornendo energia direttamente al motore elettrico del mezzo.

La prima linea, la 503, collegava la stazione di Porta Nuova con il quartiere di Madonna di Campagna, e rappresentò l’inizio di un decennio di espansione per la rete filoviaria torinese. I filobus si diffusero rapidamente perché combinavano la flessibilità degli autobus con la sostenibilità dei tram elettrici. Torino, città all’avanguardia, era già dotata di una vasta rete tramviaria, ma il filobus si proponeva come un’opzione versatile, in grado di rispondere alla crescente domanda di trasporto pubblico nelle nuove aree urbane.

La rapida espansione durante il Dopoguerra

Dopo la seconda guerra mondiale, Torino visse una forte crescita economica e demografica, accompagnata da un aumento della richiesta di trasporti pubblici. Gli anni ’50 e ’60 furono l’età d’oro del filobus. L’ATM (Azienda Torinese Mobilità) puntava molto su questa tecnologia, e le linee filoviarie aumentarono di numero e di estensione. In questo periodo furono attivate alcune delle linee più note, come la 63 e la 64, che collegavano il centro cittadino con i sobborghi industriali.

Il filobus si rivelava particolarmente adatto per Torino, una città con molte aree collinari e strade strette dove il tram non poteva arrivare. I modelli utilizzati in quegli anni includevano il famoso Fiat 668, prodotto dalla stessa casa automobilistica torinese, che divenne un simbolo dei trasporti pubblici del periodo.

In questo contesto di crescita e modernizzazione, il filobus si affermò come una delle principali colonne del sistema di trasporto cittadino. La rete arrivò a coprire vasti settori della città, soprattutto le periferie in espansione, grazie alla flessibilità e ai costi relativamente contenuti rispetto alla costruzione di nuove linee tramviarie.

Declino e smantellamento negli anni ’70 e ’80

Nonostante l’iniziale successo, gli anni ’70 segnarono l’inizio di un lento declino per i filobus a Torino. Diversi fattori contribuirono alla dismissione graduale di questo mezzo. Prima di tutto, la crescente motorizzazione privata portò a un aumento delle automobili in circolazione, rendendo le strade più congestionate. Questo influì negativamente sui filobus, che erano vincolati alla rete elettrica e non potevano deviare dal percorso, a differenza degli autobus a motore diesel, che offrivano maggiore flessibilità.

Inoltre, la manutenzione della rete filoviaria diventava sempre più onerosa. I cavi elettrici, le aste di collegamento e i mezzi stessi richiedevano interventi continui, e molte amministrazioni locali preferirono investire in autobus tradizionali, più economici da gestire e in grado di servire meglio le nuove esigenze di mobilità. A questo si aggiunse la percezione generale che i filobus fossero ormai una tecnologia “vecchia”, superata dalle nuove soluzioni di trasporto.

Negli anni ’80, l’ultima linea filoviaria ancora operativa, la 76, venne definitivamente smantellata, segnando la fine ufficiale del servizio filobus a Torino. Era la fine di un’era: le linee, i cavi e i veicoli vennero dismessi, e Torino abbandonò questa soluzione di trasporto per concentrarsi sul potenziamento della rete degli autobus e, successivamente, della metropolitana.

La nostalgia per il filobus e la sua eredità

Nonostante il declino e la scomparsa del filobus, questo mezzo ha lasciato un’impronta duratura nella memoria collettiva torinese. Ancora oggi, molti cittadini ricordano con affetto i vecchi filobus che percorrevano le strade cittadine, simbolo di un’epoca di sviluppo e progresso. Il filobus ha rappresentato, per decenni, un’icona della mobilità urbana torinese, un mezzo che combinava l’efficienza energetica e il rispetto per l’ambiente, precorrendo in qualche modo l’attuale interesse per i trasporti sostenibili.

Oggi, con la crescente attenzione verso la riduzione delle emissioni inquinanti e il ritorno ai sistemi di trasporto elettrici, alcuni guardano con nostalgia alla rete filoviaria. L’introduzione di autobus elettrici e ibridi a Torino negli ultimi anni ha suscitato interesse per un eventuale ritorno del filobus, anche se, per ora, rimane un ricordo del passato. Altre città italiane, come Bologna e Milano, hanno mantenuto in funzione le loro reti filoviarie, alimentando il dibattito sulla possibilità di reintrodurre questo mezzo anche a Torino.

Filobus e trasporto sostenibile: una visione per il futuro?

Oggi, la mobilità sostenibile è tornata al centro del dibattito pubblico, e con essa l’idea di un sistema di trasporto pubblico elettrificato. Il filobus, con la sua alimentazione elettrica e l’assenza di emissioni dirette, rappresenterebbe una soluzione perfetta per una città come Torino, che ha da sempre mostrato grande attenzione alla tecnologia e all’innovazione.

Le moderne tecnologie consentono lo sviluppo di filobus di nuova generazione, con batterie per brevi tratti senza fili e sistemi di ricarica avanzati. In un contesto in cui si cerca di ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità dell’aria, un ritorno dei filobus potrebbe essere una scelta logica e strategica. Tuttavia, la costruzione o la ricostruzione di una rete di infrastrutture filoviarie richiederebbe ingenti investimenti, e al momento non sembra essere una priorità per l’amministrazione torinese.

(Immagine di Lucarelli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4590135)

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5 Commenti

1 Commento

  1. Avatar

    Maurizio

    15 Ottobre 2024 at 11:37

    Recentemente a Montreaux in Svizzera, paese notoriamente “sottosviluppato” ho notato diverse linee modernissime di filobus. Come sempre abbiamo accantonato soluzioni valide per compiacere qualcuno per poi bloccare il traffico per livelli esagerati di componenti inquinanti. Senza parole….. Per ultimo la denominazione atm significava in origine “azienda tranvie municipali”

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      MaxTo

      16 Ottobre 2024 at 13:35

      il filobus è l’elettrico silenzioso che non usa batterie. meraviglioso.

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      Letizia

      16 Ottobre 2024 at 14:32

      in realtà negli anni in questione ATM era Azienda Municipale Trasporti, divenne Azienda Mobilità nel 1996, a seguito della riforma della municipalizzazione (abrogazione, purtroppo)

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    Roberto Fortina

    15 Ottobre 2024 at 13:38

    in realtà le linee attivate negli anni 50 furono la 53 e 54, e la 55 che collegava il Lingotto con Nichelino.
    Non dimentichiamo poi le linee interurbane,non gestite da Atm,per Rivoli con diramazioni per Grugliasco e Collegno,e Chieri

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    Antonio Linea

    22 Ottobre 2024 at 10:18

    Ma chi ha scritto questo articolo? La linea 503 Porta Nuova – Madonna di Campagna non è mai esistita, né come tram, né come filobus, né come autobus.
    Le linee 63 e 64 furono linee di autobus e non di filobus.
    La linea 76 non è mai esistita.
    MA perché dovete scrivere articoli pieni zeppi di inesattezze?

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