Seguici su

Cultura

Francesca Mogavero racconta La saponificatrice di Correggio

L’intervista con Francesca Mogavero su Leonarda Cianciulli

Gabriele Farina

Pubblicato

il

TORINOLeonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio. Tra il dicembre 1939 e il dicembre 1940 uccide (forse) tre donne nella sua abitazione, le fa a pezzettini (forse) per poi sbarazzarsi dei corpi facendo saponi (forse) e preparando dolci (forse). Si, poche certezze nella storia di una delle assassine più famose d’Italia, ma la corte la riterrà colpevole e solo parzialmente inferma di mente.

La storia de La saponificatrice di Correggio è ripresa da Francesca Mogavero in un volume della collana Nero900 di Giunti con toni che ci portano in un mondo di fiaba nera, una fiaba piena di misteri e dubbi, piena di orrori e bugie, tantissime bugie. Quelle che hanno sempre accompagnato la vita di Leonarda Cianciulli, il cui unico compito nella vita sembra essere stato quello di proteggere i suoi 4 figli (e del resto è comprensibile avendone persi ben 13 in tenera età).

Mogavero basa il suo racconto su una quantità enorme di documenti, con particolare attenzione al Memoriale scritto dalla stessa Cianciulli, un documento che pare essere un romanzo, ma anche al processo, alla storia di famiglia e alla partita a scacchi tra la Cianciulli e il professor Saporito, perito designato per certificare la sua eventuale infermità mentale. Un viaggio affascinante e inquietante, che abbiamo approfondito con alcune domande all’autrice.

L’intervista con Francesca Mogavero

Partiamo dal centro della questione: quanto di certo c’è nella storia di Leonarda Cianciulli?

Intanto, grazie mille per l’opportunità, sono felice di questa chiacchierata. Di certo, in questa storia, forse ci sono soltanto l’inizio e la fine: abbiamo la data di nascita di Leonarda Cianciulli (e anche su questo si è molto dibattuto: quando è venuta al mondo? Chi era suo padre? A chiarire i dubbi c’è un atto di nascita ufficiale), la sentenza del 1946 e, infine, la morte nel manicomio giudiziario di Pozzuoli, nel 1970.
In mezzo, una catena di reati via via più gravi, testimonianze e voci che si intrecciano con le stregherie e le “fake news” e tre corpi mai trovati.

Il tuo lavoro è una ricostruzione della vicenda partendo da una lunga serie di documenti, in particolare il famoso Memoriale Cianciulli. Di che si tratta?

È una sorta di “autobiografia” di circa settecento pagine, scritta da Leonarda nel periodo in cui fu internata nel manicomio giudiziario di Aversa per essere sottoposta a perizia psichiatrica.
Fu il dottor Filippo Saporito, che credeva nella scrittura come terapia, a proporle questa possibilità… Potremmo dire che lei non aspettasse altro: il Memoriale è il suo strumento di difesa, ma anche il suo palcoscenico e una tattica, forse, per nascondere in piena luce.

Nel libro proponi un parallelismo tra la vicenda di Leonarda e i topoi classici della fiaba (nera, molto nera). Ce lo spieghi?

Quando ho iniziato a studiare la figura di Leonarda, mi sono resa conto che c’era un prima – il periodo che precede i tre delitti, avvenuti tra il 1939 e il 1940 – decisamente complesso, un vissuto che doveva essere analizzato per meglio contestualizzare la “Saponificatrice”: un’esistenza, secondo quanto racconta lei stessa, costellata di eventi eccezionali, allontanamenti, divieti infranti, maledizioni, ritorni – gli “ingredienti” tipici del racconto di fate.
“La Cianciulli”, durante il processo, è stata presentata come una “strega”, una creatura da incubo perfetta per spaventare i bambini, ma la sua fiaba oscura era iniziata molto prima.
Trovata questa chiave di lettura, ho frammentato la vicenda, sovrapponendo i fatti alle trentuno funzioni di Propp: il risultato, quindi, non è una fabula, ma un intreccio, in cui di volta in volta Leonarda si presenta come protagonista, antagonista, aiutante di sé stessa e addirittura vittima.

Un’importanza fondamentale ha certamente il ruolo di madre di Leonarda: 4 figli vissuti e 13 persi in tenera età. E’ davvero questo il centro della storia?

A qualunque versione decidiamo di credere – delitti a scopo di rapina o a sfondo rituale – la maternità è il nucleo della storia e dell’esistenza di Leonarda: un ruolo fortemente voluto, cercato, vissuto a lungo e a pieno (di fatto, per vent’anni è sempre in attesa, che non sempre si rivela dolce).
Il susseguirsi di gravidanze, perdite, lutti non elaborati e nuove gravidanze deve aver messo alla prova la sua psiche, già provata da un’infanzia poco serena e dalle difficoltà del periodo.
Senza contare il suo istinto di protezione portato all’estremo: persi tredici figli, i quattro sopravvissuti sono costantemente sotto l’occhio vigile della Cianciulli. Che per proteggerli sarebbe disposta a tutto.

Definisci il gioco della parti tra Cianciulli e Saporito come una partita a scacchi. Più che cercare la verità hanno tentato di prevalere uno sull’altra?

Penso che a un certo punto siano andati nella stessa direzione: Leonarda ha messo in campo tutte le sue armi – le parole, in primis – per essere riconosciuta folle, il dottore – forse “stregato”, come sostenevano l’accusa e la stampa – ha cercato tutti i segni di quella follia, sforzandosi di vederli, di coglierli, registrarli.

A tuo parere la saponificatrice di Correggio era effettivamente folle o una lucida bugiarda che ha cercato di proteggere il figlio?

Era entrambe, magari, e la cosa non mi stupirebbe. In lei, forse, albergavano più anime, più identità – anche nel Memoriale, infatti, si presenta ora come Nardina, la madre fragile che necessita di essere difesa, ora come Norina, la metà oscura che agisce (o così vuole farci credere?) – e non escludo che, nel tentativo di sfuggire alla pena capitale (in Italia, all’epoca, vigeva ancora la pena di morte, tranne per le persone ritenute parzialmente o totalmente inferme di mente) e soprattutto di allontanare i sospetti dal figlio, sia caduta vittima del suo stesso incantesimo, finendo per credere alla sua stessa fiaba. Chissà, per trovare una spiegazione meno crudele, meno banale, al proprio gesto.

Leonarda Cianciulli è diventata un personaggio, un mostro, uno spauracchio, ritagliandosi un ruolo nerissimo nella cultura italiana. Come mai?

È considerata la prima serial killer italiana – potremmo domandarci se avrebbe continuato a uccidere, se non fosse stata scoperta – e questo è già un elemento rilevante.
Soprattutto, rappresenta uno spartiacque tra due epoche, due mondi: da un lato il fascismo, che bandisce la cronaca nera dai giornali (e di sicuro non può ammettere che una donna fedele al regime, una madre, si macchi di triplice omicidio); dall’altro, nella seconda fase del processo, l’Italia che è appena diventata Repubblica, in cui la stampa è tornata libera (e con il caso Cianciulli si scatena, alimentando fantasie che già allora erano state smascherate, come la questione del sapone e dei dolcetti preparati con le ossa e il sangue), ma tutto è da ricostruire (e la Saponificatrice è un “residuato bellico”, il memento di un periodo nero che si vorrebbe dimenticare). Leonarda, da questo punto di vista, è due volte scomoda, sempre fuori tempo.
Infine, la leggenda, da lei stessa alimentata, contribuisce a rendere la Cianciulli un personaggio “mostruoso” (sui giornali è sempre “donna-demonio”, “forsennata creatura”, mai donna e basta), qualcosa che attira lo sguardo e allo stesso tempo si presenta come altro, come alieno. È più facile affrontare una strega e prenderne le distanze, anziché fare i conti con una persona comune, che potrebbe essere una vicina di casa, un’amica… noi.

Iscriviti al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese

E tu cosa ne pensi?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *