Cultura
Garofano rosso, la storia di Maurizo Garino raccontata dalla nipote Laura
L’intervista con Laura Garino

TORINO – Se non siete appassionati di storia italiana contemporanea è probabile che il nome di Maurzio Garino vi dica poco, eppure si tratta di una figura fondamentale della lotta operaia, dell’industria torinese, dell’antifascismo, dell’antimilitarismo. Maurizio Garino, il “garofano rosso”, fu anarchico per tutta la vita. Duro, intransigente, eppure rifiutava la violenza, tanto da essere apprezzato anche dai suoi avversari, il senatore Giovanni Agnelli in primis.
La sua storia viene raccontata con un occhio particolare in Garofano Rosso, Neos Edizioni, dalla nipote Laura Garino, figlia di Aldo, partigiano che condivise col padre ideali e parte della sua storia. Operaio specializzato, era modellista, Maurizio Garino fondò la Scuola Moderna con Pietro Ferrero e fu protagonista della settimana rossa torinese e dei moti del 1917. Arrestato più volte, fu protagonista dell’occupazione delle fabbriche nel 1920 e sfuggì per caso alla Strage fascista di Torino del 1922, nella quale venne ucciso anche il suo grande amico Ferrero. Gran parte della sua vita lavorativa la dedicò alla SAMMA, società di modellisti da lui gestita come una grande famiglia, con modalità di servizi e aiuti ai dipendenti molto simili a quelle utilizzate da Adriano Olivetti a Ivrea. Verrà tenuto sotto controllo dalla Questura di Torino per quasi 60 anni.
L’intervista con Laura Garino
Quella di Maurizio Garino è una storia di un personaggio incredibile eppure poco conosciuta. Come si potrebbe riassumere in poche righe?
Infanzia dalla Sardegna al Piemonte, in una famiglia con risorse limitate. Inizia a lavorare come apprendista falegname a 11 anni, a 15 si sposta a Torino dove viene a contatto con gruppi operai socialisti e anarchici. Grazie alla sua intelligenza e alla capacità di coinvolgere le persone diventa ben presto un esponente di spicco nella Torino operaia. Con l’amico Pietro Ferrero fonda la Scuola Moderna, frequentata da operai dopo l’orario di lavoro. Viene schedato dalla Pubblica Sicurezza per la sua partecipazione alle proteste contro la prima guerra mondiale e contro la guerra stessa e le sue conseguenze. Amico di Antonio Gramsci, partecipa alla occupazione delle fabbriche ed è figura di spicco durante il Biennio Rosso. Dopo la strage del 18 dicembre 1922, in cui muore l’amico Ferrero, non espatria in Francia come lo consigliano alcuni compagni ma resta in Italia e subisce le persecuzioni da parte del regime, sotto forma di continui arresti e ripetuti licenziamenti dal posto di lavoro.
Non si espone più di tanto e vive sotto traccia per tutto il periodo fascista, continuando comunque le sue attività politiche e una vita coerente con le sue idee. Ad esempio trasforma la Cooperativa Modellisti da lui fondata nel 1919 in società per azioni (SAMMA) di cui però le maestranze diventavano,dopo qualche anno di lavoro, azionisti e quindi partecipi come erano stati i soci della cooperativa. Fiancheggiò la Resistenza fino a essere arrestato con il figlio Aldo e detenuto alle Nuove nel braccio dei prigionieri politici. Dopo la Liberazione il suo impegno politico si limitò alla partecipazione a conferenze, interviste, aiuti anche finanziari a gruppi anarchici. Il malore che gli fu fatale, nel 1977, lo colse durante l’assemblea in cui si concludeva la storia della SAMMA, da lui già lasciata nel 1960 per la pensione, ed in quell’occasione ceduta ad altro gruppo a causa delle difficoltà finanziarie.
Anarchico, intransigente, rifiutava la violenza. Era apprezzato anche dagli avversari probabilmente per la sua onestà intellettuale. Qual era la caratteristica principale di Maurizio Garino?
Risponderò con le sue parole: “Non so nemmeno io perché godessi di una immensa, ingiustificabile simpatia anche presso gli avversari. Io avevo una massima, e anche oggi ho questa massima: se non lasciavo la parola all’avversario, se non lo lasciavo parlare, non avrei potuto prender la parola nei comizi di allora.” E I suoi avversari non erano da poco. Basti ricordare i ripetuti incontri-scontri con Agnelli, e i rapporti con il partito fascista. Il figlio Aldo racconta questo colloquio con il federale fascista: “A noi basta una firma, due righe al Duce e la lasciamo tranquillo. La stimiamo, sa? Di uomini come lei abbiamo bisogno: le sue capacità, la sua intelligenza, la sua integrità morale sarebbero preziose per il regime! Anche noi vogliamo la giustizia sociale, perché non viene dalla nostra parte?” Lui era irremovibile: niente firma, niente “cicca” (il distintivo fascista). Sicché continuarono ad arrestarlo in ogni occasione. Durante la visita di un gerarca a Torino, nelle ricorrenze fasciste e in tutte le circostanze politiche ostili al regime.”
Negli anni dei moti di Torino fu protagonista praticamente in tutte le proteste operaie. Tanto che da quel momento e per quasi 60 anni venne tenuto sotto controllo dalla Questura. Quali erano le sue posizioni principali, sulle quali non accettava compromessi?
Era soprattutto un libertario: sosteneva la necessità di sostituire le vecchie commissioni interne con dei consigli di fabbrica in cui dovevano essere rappresentati tutti gli operai, non solo quelli che avevano la tessera del sindacato. Dovevano diventare organismi autonomi e indipendenti dall’ideologia politica, con lo scopo di creare una società dove non ci fossero sfruttatori né sfruttati, mancando ogni gerarchia al loro interno. I commissari, poi, non avrebbero dovuto avere scadenza fissa, ma essere revocabili in qualunque momento da parte degli operai che li avevano eletti. Se Gramsci sosteneva che quella del proletariato non sarebbe stata una vera dittatura bensì l’impadronirsi delle leve di comando per realizzare il socialismo, Maurizio obiettava che anche le dittature collettive possono trasformarsi in dittature di un gruppo di uomini, e quindi limitare le libertà. E rinforzava il suo punto di vista dicendo che se si fosse instaurata la dittatura proposta da Gramsci i primi ad essere fucilati sarebbero stati proprio loro, gli anarchici. E in queste sue idee, di controllo diretto da parte degli operai, si rifletteva proprio in quanto detto sopra, dalla cooperativa alla società per azioni in cui gli operai medesimi erano azionisti…
Sfuggì alla Strage di Torino del 1922. Fu quello un episodio che lo segnò profondamente anche per la morte dell’amico Pietro Ferrero?
Sfuggì alla strage per puro caso, e per un colpo di fortuna a un succesivo agguato collegato ad essa. Con Ferrero erano amici fraterni, e quindi la sua perdita fu devastante. Fu lui a riconoscerne a malapena il corpo scempiato nella camera mortuaria del San Giovanni, e fu con la moglie uno dei sedici che parteciparono al suo funerale il 20 dicembre. Poichè era stato lui a proporlo nel 1919 come segretario della FIOM, si chiese tante volte: se lui non lo avesse proposto, se non lo avessero eletto, avrebbe fatto quella tragica fine durante la Strage di Torino?
C’è poi tutta una parte della sua vita dedicata alla SAMMA, azienda che guidò con lungimiranza e particolare attenzione ai dipendenti e alle loro famiglie. Una modalità di gestione che poco lontano da Torino divenne molto nota grazie ad Adriano Olivetti. Ci sono somiglianze tra le due esperienze di gestione dei lavoratori?
Partiamo dalle differenze: Olivetti nato in una famiglia più che benestante, ingegnere e imprenditore dal destino già tracciato. Garino, proletario dalla nascita, modellista, autodidatta, creatore del proprio ruolo, imprenditore suo malgrado… In barba alle premesse così differenti sono molti i punti in comune. Per entrambi il benessere dell’operaio non si fermava ai confini della fabbrica, dove comunque dovevano essere mantenuti il rispetto per il lavoratore e per i suoi diritti, ma si espandeva all’esterno. Per entrambi era fondamentale allargare l’orizzone culturale del lavoratore e le sue competenze, erano ridotte al minimo le differenze tra le diverse forze lavoratrici (ricordo che Garino anche con ruolo dirigenziale ha riscosso un salario da impiegato fino alla soglia della pensione). Anche nel tempo libero venivano da entrambi favorite tra le maestranze attività sociali e ricreative.
Impossibile in poche domande esaurire tutte le attività compiute da Garino. Inevitabile però raccontare qualcosa relativamente al periodo della Resistenza ed al suo rapporto particolare col figlio Aldo…
Nel periodo della Resistenza le vicende di Maurizio sono strettamente intrecciate a quelle del figlio Aldo. Erano sfollati in Valle Angrogna quando vi fu la chiamata di leva per i nati nel 1924, e Aldo si unì al gruppo del Bagnou, alla Vaccera. Il commiato del padre fu: “Sei in gamba, te la caverai.” Grande era quindi la fiducia nelle capacità del figlio. I rapporti tra i due si mantennero stretti sia nel primo periodo, in Valle Angrogna, che nel secondo, in Val di Lanzo, quando si recò più volte a incontrarlo in montagna. Il periodo più buio fu senza dubbio quello relativo alla detenzione alle Nuove. Per entrambi le accuse erano molto pesanti: Aldo di essere partigiano e Maurizio di essere uno dei capi della Resistenza e organizzatore di bande armate dietro il paravento della fabbrica. Come si sentivano diero le sbarre? Ecco come descrive il suo stato d’animo Aldo: “Prelevavano continuamente gente dalle carceri, per impiccarli o fucilarli come rappresaglia per qualche attentato. Io ero stranamente pacifico. Non pensavo alla morte, non più del necessario. Mio padre mi diceva: “Come fai, Aldo, a essere così tranquillo?”.La nostra vita era attaccata a un filo. Eppure era come se la cosa non mi riguardasse. Mio padre aggiungeva: “Tu mi dai coraggio.” La faccenda, credo, era tutta lì. Ero con mio padre. Intendiamoci. Non che io mi mantenessi così serafico solo per dargli coraggio. Era qualcosa di più. Era che mi sentivo forte e sereno proprio perché ero con lui.È vero che all’orizzonte si profilava il disastro per entrambi, ma a maggior ragione mi sentivo orgoglioso di essergli insieme. Sentivo dentro una inusuale fierezza, in quello stargli accanto nella stretta finale. In prigione accanto a lui, l’uomo di tante battaglie!”.
Credo non ci sia altro da aggiungere.
La parte finale del libro è quella più intima, in cui ricordi Maurizio Garino nella sua versione “casalinga”, quella da nonno. Com’era Garino nel rapporto con la sua famiglia?
Il concetto di “famiglia” era per lui fondamentale. Fin dall’adolescenza aveva dedicato gran parte delle sue energie a madre e fratelli, integrati nella sua vita anche dopo il matrimonio e la paternità. Con noi era sempre molto presente. Dopo la pensione si era trasferito dalla Barriera di Milano, dove aveva trascorso gran parte della sua vita, nel quartiere dove abitavamo noi, al portone a fianco. Le nostre visite, di mio padre e di noi nipoti, erano quotidiane, e si parlava molto. Di tutto. Per mio padre era confidente e consigliere, condivisione e sostegno. Con noi, ragazzi, era sempre disponibile, a volte più di quanto, adolescenti, desiderassimo. Le vacanze, i viaggi, molto del tempo libero, si trascorrevano insieme. Era parte integrante della nostra vita.
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