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Cronaca

I sindacati spiegano i problemi del trasporto ferroviario nell’ultimo anno

Di seguito riportiamo il resoconto completo firmato in calce

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TORINO – I problemi che affliggono le rete ferroviaria negli ultimi giorni nei nodi di Milano, Bologna e Roma hanno avuto ripercussioni anche a Torino e come spiegano i sindacati COBAS Lavoro Privato, Assemblea Nazionale Lavoratori Manutenzione e CUB Trasporti è dovuto a un cambio sulla gestione dei guasti da parte di Rfi, entrato in azione a partire da Giugno 2024.

Di seguito riportiamo il resoconto completo firmato in calce da Domenico Teramo dei COBAS, Alberto Russo dell’Assemblea Nazionale Lavoratori Manutenzione e Antonio Amoroso di CUB Trasporti.

“In questi giorni è tornata prepotentemente d’attualità la questione dei problemi che affliggono il trasporto ferroviario. Sono quasi 8 mesi, a nostro avviso dal 3 giugno 2024, che il susseguirsi quotidiano di ritardi, che incombono su coloro che utilizzano il treno come mezzo di trasporto, ha sostanzialmente “sabotato” il loro diritto alla mobilità.

Infatti quanto accaduto in Rete Ferroviaria Italiana nell’ultimo anno meriterebbe una particolare attenzione poiché le scelte della società sono difficilmente riconducibili ad un mero errore di valutazione.

Le conseguenze a cui assistiamo e l’impegno con cui, da più parti, si cerca di dirottare altrove delle responsabilità che a nostro avviso sono evidenti, dovrebbero essere attenzionate con più cura.

Proviamo quindi ad illustrare il quadro che ha caratterizzato l’ultimo anno, in RFI. Il 10 gennaio 2024 l’azienda sottoscrive un accordo con i sindacati che definisce la base normativa che dà il via alla nuova riorganizzazione dell’infrastruttura ferroviaria. Le conseguenze per i lavoratori, come immaginabile, si riveleranno devastanti sia in termini di qualità della vita che di sicurezza sul lavoro, ma sin da subito è chiaro a tutti quelli che quel mondo lo conoscono, che il sistema imposto non avrebbe mai potuto funzionare e che ben presto quel modello avrebbe provocato conseguenze pesanti.

I manutentori iniziano a scioperare contro questo accordo e questa riorganizzazione, e sin da subito denunciano le possibili conseguenze di quella scelta per il trasporto ferroviario. Arriviamo così al 3 giugno 2024, data in cui la riorganizzazione dipana i suoi tentacoli e ridefinisce come si dovrà operare da lì in avanti.

Da lì a poco accade quello che era prevedibile, ovvero lo smantellamento delle squadre come concepite prima del 3 giugno che provoca, tra gli altri, due fenomeni che si riveleranno determinanti: il primo vede il personale distribuito su più turni svuotandone la capacità operativa, mentre il secondo, vede ridimensionare drasticamente anche le squadre di pronto intervento (il personale reperibile).

Infatti se prima una squadra era composta, a seconda dei servizi interessati (IS, TE, Lavori), da almeno 4/5 agenti, adesso parliamo molto spesso di squadre composte da un paio di agenti quando va bene, e questo va da sé che ridimensiona fortemente la capacità operativa; molto spesso, infatti, per poter operare e raggiungere un numero minimo di agenti che siano in grado di svolgere le operazioni necessarie, occorre vengano accorpate più squadre, e questo vuol dire aspettare o spostarsi anche di diverse decine di chilometri (condizione che inevitabilmente incide sui tempi di realizzazione dell’intervento). Questo aspetto, se da una parte penalizza fortemente la capacità manutentiva su una infrastruttura già fragile (ricordiamo che il ciclo manutentivo è già da anni passato da un approccio preventivo ad una condizione di intervento “on conditions”, che avrà forse ridotto i costi, ma ha esposto l’infrastruttura ad un inevitabile aumento dei guasti), dall’altra rende il quadro in cui gli agenti devono operare estremamente precario, costringendo i manutentori a sottostare ad una articolazione del loro lavoro che non segue alcuna logica, che cambia (tra l’altro) continuamente, facendo venire meno qualsiasi punto di riferimento e affidando di fatto all’improvvisazione la gestione di una materia a dir poco delicata.

Ridimensionare drasticamente anche le squadre di personale reperibile evidenzia una volontà di indebolire la capacità di ripristino in caso di guasto: basti pensare che quel personale finisce spesso per essere dirottato verso attività diverse dall’intervento su guasto lasciando quindi, in molte occasioni, del tutto scoperta anche quella possibilità residua di intervenire in tempi brevi laddove necessario.

Per quanto i lavoratori facciano miracoli viste le condizioni in cui sono costretti ad operare, il risultato, dal 3 giugno 2024 in avanti, è facilmente leggibile nei tabelloni di tutte le stazioni d’Italia che riportano quotidianamente ritardi.

Se da una parte occorre chiedersi del perché RFI, che tra l’altro vede come azionista di maggioranza lo stato, sostenga la scelta di generare un disservizio facilmente prevedibile e non metta in atto alcun correttivo di qualsiasi tipo non curandosi nemmeno delle conseguenze per l’utenza, dall’altra ci costringe ad assistere ad una operazione continua di occultamento dei fatti che dovrebbe quanto meno far riflettere.

Come abbiamo detto, questa riorganizzazione così come concepita e condivisa tra l’altro anche dai sindacati che hanno firmato l’accordo del 10 gennaio, non avrebbe mai potuto funzionare e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Sono quasi 8 mesi che i tabelloni raccontano cosa stia accadendo e a più riprese assistiamo alle letture più assurde di questo fenomeno, con un coro di attribuzione che punta ai cantieri del PNRR, operazione che sposta sul piano della contrapposizione politica il dibattito pubblico, e distoglie l’attenzione dalle vere cause dei continui ritardi, una vera distrazione di massa che ha come risultato che nel paese si parli di tutto tranne che delle cause di questo dissesto.

Quello che resta un elemento poco chiaro è come mai nessuno sia interessato a capire le reali cause di questi disservizi. Nonostante l’argomento, come vediamo, è molto sentito nel paese, sembra quasi vi sia una sorta di copertura recitata a più voci che garantisce una cappa quasi “omertosa” difficile da diradare. In questi mesi abbiamo visto a più riprese puntare il dito su più parti, ma sempre lontano dalla realtà dei fatti: così prima i lavori del PNRR, poi i chiodi che hanno crocifisso la stazione di Roma Termini, e leggiamo proprio in queste ore la difesa di ufficio che RFI fa cercando di individuare nel sabotaggio le ragioni di questo dissesto.

Una difesa così strenua di questa operazione che RFI sta portando avanti senza dimostrare alcun ripensamento e alcun tentativo di ricalibrare la propria azione per contenere i danni che sta producendo, non può non generare dubbi sulla scelta che deliberatamente viene portata avanti.

Per chi lavora in RFI il clima è pesante, sia per le condizioni di lavoro, sia perché è sempre più pressante l’input che arriva dai piani alti di non comunicare in alcun modo all’“esterno”. Siamo arrivati addirittura al punto che, quando avvertita preventivamente della presenza di giornalisti, la dirigenza faccia avvertire il personale di sparire dalla vista per non incorrere in sanzioni disciplinari.

Quello che però come già abbiamo evidenziato è ancora più grave, non è nemmeno una riorganizzazione sbagliata: se così fosse avremmo assistito ad interventi correttivi importanti o rallentamenti nella sua realizzazione dove evidentemente non c’erano le basi per partire; il rischio è che quella a cui stiamo assistendo è un’operazione che ha un obiettivo ben preciso, che sembra essere lo smantellare la manutenzione infrastruttura facendola implodere, e una volta messa in discussione la capacità dei manutentori di garantirne l’efficienza, indirizzare questa attività e le ingenti risorse che, aldilà del PNRR, questa si porta dietro verso altri “lidi”.

Per far meglio comprendere cosa intendiamo è un po’ come quando si decide di chiudere un magazzino materiali: prima si smette di approvvigionarlo di ciò che serve, poi si evidenzia l’inutilità dello stesso e infine lo si chiude per poi rivolgersi altrove.

A tutto ciò va aggiunta la posizione del Ministro dei Trasporti che non solo ha in questi mesi contribuito attivamente a distogliere l’attenzione dai problemi reali che Rete Ferroviaria Italiana sta vivendo, ma non è intervenuto in alcun modo a difesa del diritto alla mobilità dei cittadini in questo paese, né a difesa di RFI che è un bene del Paese.

In considerazione di quanto fin qui esposto, pertanto, siamo a chiedere se nelle iniziative intraprese dal gruppo dirigente di Rete Ferroviaria Italiana possano esservi elementi configurabili come lesivi dell’interesse pubblico, in quanto in contrasto con la funzione sociale di una Azienda il cui azionista di maggioranza è lo stato.

Siamo a chiedere inoltre se nelle iniziative intraprese dal gruppo dirigente di Rete Ferroviaria Italiana si possa ravvedere il favoreggiamento di interessi in conflitto con quelli dell’Azienda stessa. Siamo infine a chiedere se nei comportamenti mediatici del Ministro dei Trasporti e nell’immobilismo dimostrato nell’affrontare questa vicenda vi siano elementi penalmente rilevanti.”

 

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